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La ricerca dello stupore perduto: lo sguardo di Domenico Flora sul turismo di massa
Fotografia
di Luca Vona
«Non c’è stato un inizio preciso», racconta Domenico Flora. La sua passione per la fotografia è nata quasi per caso, tra le usa e getta che immortalavano ricordi di viaggio. «Mi è stata messa una macchinetta in mano per ricordare un viaggio, poi un altro, e un altro ancora». Da quel gesto ripetuto, quasi rituale, è scaturita un’ossessione creativa che ha plasmato il suo sguardo critico sul mondo.
Il progetto alla base della mostra All You Can Trip – alla Galleria delle Arti di Roma, a cura di Gemma Gulisano, fino al 5 maggio 2025 – nasce da una riflessione amara: “Siamo tutti turisti”. Il titolo, un gioco di parole sulla formula all you can eat, evoca un turismo bulimico e low budget, specchio di una frenesia globale. Come nel Grand Tour, i luoghi immortalati da Flora – piazze iconiche, monumenti invasi da folle – sono vittime del place grabbing, spazi strappati alla quotidianità locale per diventare scenari di consumo frenetico.

Da bambino, cresciuto tra le meraviglie di Roma, rimaneva incantato dai grandi monumenti, con uno sguardo pieno di meraviglia. Da adulto, ha cercato invano quello stupore nei volti dei turisti, trovando invece «Una ruota per criceti».
Con il flash acceso in pieno giorno, Flora trasforma le piazze in set surreali, catturando la realtà «Goffa e compressa» del turismo di massa. I suoi scatti rivelano pose goffe, selfie compulsivi, espressioni grottesche, mentre il cielo blu intenso dietro i soggetti dona alle immagini un’aura di universalità. La tecnica, simile a quella di Martin Parr, enfatizza colori brillanti e alienazione. Il risultato è un’estetica pop e beffarda, dove il turista – con il gelato in mano e lo smartphone alzato – diventa simbolo di un’umanità troppo occupata a possedere l’esperienza per viverla.

Come scriveva Susan Sontag, fotografare è «Un modo di rifiutare la realtà, riducendola a souvenir». L’approccio di Domenico Flora è istintivo e unico: «Non fotografo dal mirino, la macchina è sempre all’altezza dell’anca», rivela. Muovendosi tra la folla come un segugio, osserva e scatta in movimento, cercando “belle facce” che ricordino i film di Monicelli o Fellini. «Punto il soggetto e scatto, conscio di non avere una seconda chance».

Il flash, utilizzato in pieno giorno, cristallizza l’attimo in un lampo di ironia, trasformando il caos in tableau vivant. Dietro ogni scatto, però, c’è uno studio rapido ma attento: «Cerco qualcosa che parli della natura umana, anche in una frazione di secondo».
I protagonisti sono turisti in cerca di trofei: «Un selfie, una monetina lanciata, una corsa verso la prossima tappa». Li osserva mentre invadono Fontana di Trevi o il Colosseo, seguendo itinerari “fotocopia”. «Sembrano criceti su una giostra», commenta, sottolineando la fatica dietro i sorrisi forzati. Dietro questa «Transumanza globale», Flora individua l’influenza dei social: il bisogno di apparire, i modelli estetici imposti, l’impulso di riempire memorie digitali con archivi dimenticati.

La mostra di Domenico Flora non è un semplice atto di denuncia, è una commedia umana, tragica e grottesca. Attraverso scatti che uniscono cinismo e poesia, l’artista invita a riflettere su un paradosso: nel tentativo di immortalare la bellezza, il turista la oscura. I suoi lavori, sfrontati e autentici, catturano un’umanità intrappolata tra la frenesia del mordi e fuggi e un’esperienza svuotata di significato. Come criceti su una ruota, i suoi soggetti corrono da un monumento all’altro, senza mai fermarsi a guardare veramente. Flora, con il suo flash, inchioda un istante di quel movimento perpetuo trasformandolo in arte.
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