02 dicembre 2022

Other identity #38. Altre forme di identità culturali e pubbliche: Elena Marini

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Other Identity è la rubrica dedicata al racconto delle nuove identità visive e culturali e della loro rappresentazione, nel terzo millennio: intervista a Elena Marini

Elena Marini, RITRATTO, courtesy, archivio Marini, foto della figlia Lou

Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana l’ospite intervistato è Elena Marini.

Elena Marini, SPOT nº 1, 2016, collage su carta 40×30 cm

Other Identity: Elena Marini

Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?

«No, per me il privato è privatissimo. Detto questo, ogni SPOT è un’autentica confessione. Non mi interessa comunicare ma esprimermi».

Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?

 «La mia identità consiste nel far coincidere l’arte con la vita e la vita con l’arte. Ci sono arrivata rischiando, viaggiando, sperimentando e, soprattutto, vivendo d’arte. Per quanto mi riguarda ci sono nata dentro, essendo fin da piccola una solitaria e un’osservatrice. Sono passata attraverso un susseguirsi di metamorfosi, dal giocare alle belle statuine da bambina a iniziare a posare a quattordici anni, dal mio lavoro come modella accademica a modella fotografica, dalla performance alla poesia visiva. Non nascondo la durezza di una vita di questo genere, ma posso dire di essere fiera della donna che sono diventata e che, grazie alla mia proverbiale tenacia, ho avuto delle gioie inimmaginabili.

Al di là della complessità di questa evoluzione tutto è stato molto lineare. Mi sono resa conto ad un certo punto che anche io avevo qualcosa da dire e l’incontro con Eugenio Miccini mi ha permesso di entrare in contatto con la poesia visiva, di cui ignoravo l’esistenza. Fu una grande scoperta e ne restai affascinata. Ricordo che mi ci volle molto tempo prima di cominciare a fare un collage, il foglio bianco mi terrorizzava.

Poi l’incontro decisivo con Sarenco e la scelta di dedicarmi solo ed esclusivamente alla poesia visiva».

Elena Marini, SPOT nº 10, 2015, collage su carta 40×30 cm. Courtesy: collezione privata

Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?

«Meno di zero. Con i giudizi della gente ho sempre fatto meravigliosi coriandoli. Se avesse contato per me qualcosa l’apparenza pubblica e sociale avrei fatto scelte diverse nella vita. Ho preferito vivere piuttosto che apparire vivente. In genere è proprio l’apparenza sociale e pubblica che prendo di mira con il mio lavoro, pensa te.

Quel che conta è la coerenza e l’autenticità del mio procedere creativo in connessione e in risonanza con quello che sento profondamente e che sono, di fatto, il risultato empirico della mia esperienza diretta, un corpo a corpo con la vita. Sono perfettamente cosciente che il mio modus operandi possa essere percepito da alcuni come provocatorio, ironico, radicale e non politicamente corretto.

Non ho alcuna intenzione di giustificare le mie scelte ma certo è che dispiacere ai più per piacere ai meno è per me il massimo del lusso e, in certi momenti, è anche divertente essere totalmente fraintesa».

Elena Marini, SPOT nº 119, 2016, collage su carta 40×30 cm

Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?

«L’idea che un artista debba inventare qualcosa di nuovo è per me un pregiudizio romantico. Adesso si tratta di reinventare, come scriveva Rimbaud riguardo all’amore. E non solo re-inventare, anche re-interpretare. Nella poesia visiva, due linguaggi apparentemente molto distanti fra loro, quello letterario e quello iconografico, si intersecano, con incontri e scontri, generando un nuovo senso di realtà.

Questa è l’assoluta innovazione di questa avanguardia figlia del futurismo e del dadaismo, che non si accontenta di riprodurre la realtà ma che ha il desiderio di interpretarla e, soprattutto, reinterpretarla. C’è una grande notte là fuori, penso sia il caso di riaccendere le stelle. La povertà del linguaggio e la sua banalizzazione a mero contenitore di informazioni pratiche e a messaggi solubili è un fatto oggettivamente inquietante, a tutti i livelli.

La mia ricerca è fondamentalmente una radiografia sociologica e antropologica del mondo che mi circonda, iconoclasta e ironica. Il mio contributo consiste nel porre attenzione anche alla forma, al di là del messaggio, epurando al massimo le sollecitazioni visive e cercando rendere più essenziali i testi, in modo da potenziare l’impatto verso il fruitore. Del resto, i moralisti, i probiviri, i censori, i rendentori, gli amanti del tone policing e del politically correct, gli oppressi&repressi non mi sono mai piaciuti, con quella loro peculiare mania di chiudere una persona dentro a un ruolo o a una categoria come dentro a una bara: li ho sempre sfidati e continuerò a farlo, con l’irriverenza che mi contraddistingue. Sono orgogliosamente stronza».

Elena Marini, SPOT nº 126, 2016, collage su carta 40×30 cm

ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?
«Io mi definisco una persona e un poeta visivo».

Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?

«Nessun’altra. Se dovessi proprio scegliere, non ho dubbi: la Marchesa Luisa Casati».

Elena Marini, SPOT nº 181, 2016, collage su carta, 40×30 cm

Biografia

Elena Marini è nata a Pistoia il 19 luglio 1975 dove vive attualmente. Ritenendo fin da giovanissima che non ci doveva essere una frattura fra arte e vita, compie la scelta radicale di occuparsi e dedicare la sua vita esclusivamente all’arte. È stata modella accademica, modella fotografica, performer e video performer, fotografa, fino ad approdare alla poesia visiva.

Ha compiuto studi di filosofia all’Università di Firenze e ricerche nel campo della sociologia, dell’antropologia culturale, della psicologia e dei linguaggi dei media che ritroviamo nel suo lavoro artistico, oltre a una solida conoscenza letteraria. Ha lavorato come modella all’Accademia di Belle Arti di Firenze, all’ENSBA di Parigi, all’Académie des Beaux Arts de Versailles, nella succursale dell’Accademia di San Pietroburgo con sede a Firenze e con più di un centinaio di scuole.

Elena Marini, SPOT nº 317, 2017, collage su carta. 40×30 cm. Courtesy Elena Marini

Modella per lo scultore Daniel Druet e per il pittore H. Craig Hanna. Come performer, note sono le sue collaborazioni per Vanessa Beecroft, Tom Sachs, Aldo Rostagno e con i poeti visivi Miccini, Mauro Dal Fior, Luc Fierens e Sarenco. Video performer e fotografa per progetti personali. Ha collaborato con la Galleria Deborah Zafman di Parigi. Come modella fotografica ha lavorato con Daniel Nguyen, Serge Cohen, Sidney Kapuskar, Uwe Ommer, Daniel Druet, Jean François Bauret e Peter Suschitzky.  Un suo SPOT è presente nella collezione permanente della Fondazione Spadolini Nuova Antologia di Firenze.

Elena Marini, SPOT nº 352, 2022, collage su carta, 42×29.7 cm. Courtesy Elena Marini

«La “poesia visiva in progress” di Elena Marini ha come suo pregio fondamentale la sintesi e l’essenzialità. Non è narrativa ma cinematografica: non per niente i suoi collages sono degli SPOT. Ogni suo lavoro è un fotogramma di un film in continua costruzione: un film che non avrà mai una fine, un film che ha la stessa lunghezza temporale della vita dell’autrice. Le immagini (trovate e recuperate) sono decisamente autoreferenziali come la secchezza dei testi che le accompagnano o le integrano: non c’è una virgola in più, non c’è una parola in più di quanto è necessario che ci sia. Opere secche, taglienti, che non ammettono ripensamenti. I collages della Marini provano che la ‘poesia visiva’ non è ancora morta e defunta, come spesso dicono i corvi dell’arte, quelli sempre pronti ad inneggiare a qualsiasi “connerie” nuovista che appare a cicli temporali quinquennali sulle pagine patinate delle riviste d’arte alla moda. La poesia resiste e non si fa cancellare: cadranno le mura di Tebe ma rimarranno “ad aeternum” le opere di quei poeti che non si saranno fatti integrare dalle mode effimere del mercato», Sarenco.

Elena Marini, SPOT nº 319, 2022, collage su carta, 42×29.7 cm. Courtesy Elena Marini

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