07 maggio 2008

in fumo_interviste Gianluca Costantini

 
Fumetto elegante e radicale, antinarrativo e teso. Per raccontare le persone, la politica e i sentimenti. L’approccio di Costantini è istintivo e teorico insieme, tanto nel suo lavoro artistico quanto in quello come direttore di riviste, blog, festival...

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Alla galleria Miomao di Perugia hai presentato la mostra Sangue in Algeria, trenta tavole sulla guerra di liberazione algerina. Come nasce questo progetto?
Quando mi propongono delle mostre non mi piace portare cose già fatte, ma creare dei progetti nuovi. Non sapevo molto della guerra di liberazione, ma già il nome, Algeria, per me è sempre stato evocativo, anche prima che gli algerini mi raccontassero le loro storie. Un giorno in un mercatino ho trovato alcuni numeri di una vecchia pubblicazione settimanale che usciva in Italia, “Storia Illustrata”, una serie di monografie fotografiche con didascalie. Tra questi c’era un fascicolo del 1962 sull’Algeria, quindi subito dopo la fine della guerra. È stata una scelta istintiva.

La guerra d’Algeria ha un grande valore simbolico nell’immaginario europeo. Il film di Pontecorvo lo conoscevi?
Sì, l’avevo già visto. Con la galleria Mirada abbiamo fatto anche un concorso sulla Battaglia di Algeri in occasione del primo Festival Komikazen. Poi ho approfondito il metodo di lavoro di Pontecorvo e dello sceneggiatore Franco Solinas, e ho scoperto che il loro modo di lavorare non è stato molto diverso dal mio. Anche Pontecorvo ha imparato la storia e conosciuto i personaggi sul luogo, mentre realizzava il film e coinvolgeva gli stessi protagonisti nella lavorazione.

Anche tu -mi sembra anche l’approccio del blog Political Comics– tendi a mostrare il conflitto in atto, necessariamente irrisolto e quindi non ricomposto in una soluzione…
La cosa che mi interessa di più in Political Comics è proprio raccontare il conflitto tra le persone, più che quello tra i governi o le fazioni. In questa mostra i protagonisti sono persone, famose ma anche comuni: bambini, insegnanti, fallugha, che erano i terroristi. Le vittime di una e dell’altra parte, perché comunque i rivoluzionari non erano meno spietati dei francesi: se uno fumava una sigaretta, fumava qualcosa di occidentale e gli tagliavano dalla bocca al naso. Nelle guerre tutto diventa lecito.

Gianluca Costantini - Sangue in Algeria - 2008 - courtesy Galleria Miomao, PerugiaÈ un po’ il discorso che fai anche in Ultimo sulla guerra partigiana.

Anche quello, nonostante sia un racconto storico basato sui fatti, è prima un racconto su delle persone e sulle loro idee o ideologie. Sulla loro amicizia, anche, perché si conoscevano tutti, spesso erano andati a scuola insieme. Potrebbe essere una storia della Jugoslavia di qualche anno fa. Guerra civile.

In Ultimo si vedono a un certo punto le tracce della matita. Ci hai lavorato in una maniera diversa dal solito?
Sono stato sul luogo degli avvenimenti e ho fatto una serie di foto ricostruendo il percorso della camionetta di partigiani che andavano a casa di Arpinati per ucciderlo. È tutto vero e talmente dettagliato che, per la prima volta, ho usato la matita. Ma solo in quella sequenza, poi sono tornato alla china diretta come faccio sempre, a parte alcune cose un po’ strane: matita molto violenta poi invertita al computer e qualche inserto fotografico.

Racconti spesso la violenza, anche solo per i temi che ti trovi ad affrontare, ma in qualche modo resta trattenuta nelle linee. In certe tavole di Ultimo e in Sangue in Algeria mi sembra invece che venga fuori con una forza e una crudezza nuove…
Dipende dal progetto, è difficile rendere la violenza col mio segno. In questa mostra uso per la prima volta un po’ di colore, volevo far vedere la carne. In Ultimo forse la violenza viene fuori di più anche perché c’è più racconto in senso tradizionale. Infatti qualcuno ha detto: “Finalmente Costantini ha fatto un fumetto“. Ma non è vero: sono fumetti anche gli altri.

Forse anche perché Ultimo è una storia italiana…
Alla Feltrinelli di Bologna c’era un pubblico che andava dai 15 ai 90 anni, gente che aveva conosciuto i protagonisti. A una presentazione è venuta la nipote di Arpinati, al’inizio mi sembrava ostile, credevo mi menasse, e invece si è commossa.

Gianluca Costantini - Sangue in Algeria - 2008 - courtesy Galleria Miomao, PerugiaCredo sia per quello che dicevamo sul mostrare il conflitto in atto, senza rigidità ideologiche né ricatti sentimentali. Tornando a Sangue in Algeria, come procedi dopo aver scelto la documentazione fotografica?
Molto semplicemente: guardo una foto e la ricopio, la reinterpreto. Sembra facile, ma non è così scontato. C’è una necessità di scelta continua rispetto alla realtà fotografica, che è già falsa in partenza: nel disegno ci sono meno cose, personaggi sullo sfondo che vengono in primo piano, sfasamenti temporali. Cerco sempre di rifarmi a foto popolari, quelle dei giornali, non foto d’arte o di grandi fotografi. Uso pubblicazioni del tempo che trovo negli archivi o anche su Internet. L’aggiunta del testo non è successiva, viene elaborata contemporaneamente al disegno e vi si sovrappone. Il testo può corrispondere alla didascalia della foto, spesso però viene da tutt’altra parte, una specie di cut-up. È un sovrastrato di informazione, apre interpretazioni e può svelare quello che la foto nasconde.

Fin dall’inizio costruisci la tavola attraverso una specie di decorazione non decorativa. La decorazione nell’ambito concettuale dell’arte occidentale è sempre vista come qualcosa di inessenziale, per non dire volgare…
È maledetta, arte di serie B.

E quindi i tuoi punti di riferimento dovevi cercarli altrove. Quando, intorno al 2004, abbandoni lo stile elaborato e complesso degli esordi per un segno veloce ed essenziale, diventa evidente il rapporto con la calligrafia araba. Contemporaneamente cresce l’interesse per il Medio Oriente…
L’elemento calligrafico è sempre presente, ma in casi come Sangue in Algeria o il racconto di viaggio pubblicato sull’ultimo “Inguine” viene certamente accentuato dall’argomento. Non mi sono frenato, già la copertina è molo complessa, anche se la sovrapposizione di testo e immagine resta leggibile. La calligrafia araba ha la stessa radice di quella europea, ma si è evoluta molto di più perché loro non possono disegnare le figure umane. Disegnare scrivendo è stato il loro modo di aggirare il divieto. Mi è sempre piaciuto disegnare con la scrittura, è una cosa che avevo scoperto quando facevo la decorazione, ma è venuta fuori col tempo, esercitando la manualità del segno.

Vorrei incontrarti, il tuo libro autobiografico, è al centro di questa fase di cambiamento…
È la partenza, poi ho usato “Inguine”, la mia rivista, come laboratorio. La sceneggiatura di Vorrei incontrarti l’ho scritta tre anni prima di disegnarlo, non riuscivo a farlo con il vecchio stile. Nelle prime pagine c’è ancora la composizione geometrica di un tempo, anche se c’è molto più bianco, poi cominciano a spuntare cose più reali, alcune sono disegnate all’aperto. Uscire da uno stile molto strutturato è un’operazione complessa. Quello è stato il primo scarto e ho pubblicato il libro con una casa editrice di narrativa perché il mondo del fumetto non ne voleva sapere, dicevano che non era narrativo, che era troppo difficile. Invece è andato molto bene.

Gianluca Costantini - Sangue in Algeria - 2008 - courtesy Galleria Miomao, PerugiaIl fumetto è prima di tutto organizzazione dello spazio. Tu non soltanto rinunci alla scansione in vignette ma anche alla separazione tra disegno e testo, a volte il testo “fa” il disegno…
È quello che mi hanno sempre criticato. Ho provato per quindici anni a spiegare questa cosa che per me è fondamentale, ma evidentemente non ci sono ancor riuscito del tutto. Per me il fumetto è un’arte innovativa rimasta ingabbiata. Come il cinema, che è ingabbiato da sempre in un certo tipo di narrazione. Con il fumetto è la stessa cosa devi lavorare con la sequenza narrativa di vignette altrimenti diventa racconto illustrato o qualcosa del genere. Io non sopporto i fumetti muti, per me c’è un bisogno assoluto che ci sia l’immagine e la parola, la scrittura e il tratto. Questo libretto che racconta la “mia” guerra d’Algeria è un racconto: c’è una piantina che ti dice dove ci troviamo, i primi arresti, le conseguenze, ci sono personaggi e avvenimenti, è un fumetto a tutti gli effetti, non un catalogo. Criticheranno anche di averlo fatto passare per un fumetto perché non ci si riesce a liberare da questo modo di pensare il fumetto, dalla gabbia.

Normalmente nel fumetto le parole tendono a restare escluse dall’immagine e a livello percettivo occupano una zona che non si deve notare, il ballon deve essere leggibile ma invisibile. Nel tuo caso la parola è disegno.
In un periodo ho fato dei fumetti decorativi in cui il testo era molto ostico, ad esempio un albo che si chiama Freethinker per la Necron Edizioni con un testo molto complesso che giocava con le parole come fossero decorazione. Le parole per me sono come il disegno, 50 e 50, due cose indivisibili che hanno la stessa importanza.

Gianluca Costantini - Sangue in Algeria - 2008 - courtesy Galleria Miomao, PerugiaLe immagini di Sangue in Algeria sono pensate per essere esposte. Come cambia, secondo te, la percezione rispetto alla stampa o al web?
Sono abituato a fare mostre; fin dall’inizio il mio lavoro è stato impostato anche sull’aspetto espositivo. Questo progetto è stato pensato per essere una mostra, dalla serigrafia, all’invito al volume. Penso che questi lavori siano belli da vedere dal vivo, per apprezzare i vari segni, i diversi tipi di carte, le tecniche e i formati, i colori…

La serigrafia, poi, ha un formato singolare…
Doveva essere la stella della bandiera algerina, poi ho scoperto che ho sbagliato, cioè era sbagliata la bandiera che ho usato come modello: aveva sei punte e invece devono essere cinque. Il personaggio che ci ho disegnato sopra era una terrorista che era anche ballerina, una terrorista ballerina. L’ho messa dentro la stella come un’icona. Tahar Lamri, lo scrittore algerino che ha fatto l’introduzione, mi ha detto che gli faceva una forte impressione vedere i suoi eroi nazionali su questi disegni. Eroi, anche se noi li chiamiamo terroristi…

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alessio trabacchini


la rubrica in fumo è diretta da gianluca testa

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