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Lucio Fontana, soprattutto scultore: pubblicato il monumentale catalogo ragionato
Libri ed editoria
di Ugo Perugini
È stato presentato al Museo del Novecento di Milano il Catalogo Ragionato delle sculture ceramiche di Lucio Fontana, edito da Skira. Un lavoro monumentale, due volumi in elegante cofanetto per 720 pagine, frutto di un progetto di Enrico Crispolti – che, prima della sua scomparsa, aveva curato l’intera collana – portato avanti poi da Luca Massimo Barbero, studioso dell’artista, in collaborazione con Silvia Ardemagni e Maria Villa della Fondazione omonima. Dietro questa opera c’è un lungo lavoro di archiviazione e documentazione che riguarda 50 anni di attività dell’artista, con circa 2mila opere ceramiche schedate, ordinate tematicamente e cronologicamente dal 1929-30 al 1966, di cui 1200 inedite.
Lucio Fontana lo si ricorda principalmente come l’artista dei tagli sulle tele. Ma la sua idea di dilatare lo spazio all’infinito, da cui sarebbe nata la teoria dello Spazialismo, era già presente quando si dedicava alla ceramica. A quell’epoca, non voleva essere chiamato ceramista. Lui era uno scultore. Plasmava le opere a mani nude. Lo stesso Crispolti si era chiesto, dopo la morte dell’artista, se Fontana fosse stato “solo” uno scultore.
Altro luogo comune da sfatare è che la ceramica sia un’arte secondaria e che le opere realizzate attraverso questo medium siano una produzione artistica di serie B. Così non è e le opere di Lucio Fontana lo stanno a dimostrare. Nelle sue ceramiche si nota sempre, come sostiene Luca Massimo Barbero, il doppio registro dell’artista, capace di operare uno straordinario sincretismo tra figurativo e astratto.
Fin dai primi anni della sua attività, Fontana era convinto che l’arte non fosse immobile e che eventuali graffi, buchi, anche sulle ceramiche, non fossero segno di distruzione di un equilibrio. Al contrario, potevano rappresentare delle possibilità reali e concrete di liberare la materia. Stessa funzione che attribuiva allo smalto che con i suoi riflessi e i suoi barbagli luminescenti espandeva la percezione dell’opera, creando altre, imprevedibili dimensioni.
Durante la presentazione del volume, Barbero ha accennato anche al Fontana “barocco” ispirato ai valori mistici, pensiamo alle sue Madonne o ai Crocifissi con il corpo di Cristo tutt’uno con la torsione della croce a simboleggiare il dolore del mondo. O la capacità di Fontana di penetrare lo spirito delle città, come le “Venezie” che, come accennava Barbero, sono «Un curioso gioco geografico ed estetico» e New York, di cui l’Artista attraverso grandi lastre di ottone lucido, graffiato e forato, coglie «Lo spirito vitale della struttura, dell’impianto e del volume delle costruzioni che infrangono lo spazio attraverso il metallo e vetro».
Molto stimolante anche l’intervento dell’architetto Cino Zucchi, che immagina come quelle parvenze di figurazione dissolte nell’astratto delle opere di Fontana, quasi tracce omeopatiche, rappresentino in qualche modo l’oscillare tra figurativo e astratto che si può cogliere anche nell’effetto della pareidolia – cioè l’illusione subcosciente che fa interpretare forme causali come forme o figure note (le nuvole in cielo che ci sembrano animali o visi) – e del suo esatto opposto, vale a dire l’incapacità di riconoscere nelle figure reali forme che abbiano un senso.
Con Fontana siamo, insomma, nell’indicibile, che sfugge a chi cerca a tutti i costi un senso definito nelle cose ma necessita di una continua, assidua ricerca. Valga in questo senso l’affermazione di Isadora Duncan che della sua arte sosteneva: «Se potessi dirlo non potrei danzarlo».