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A Napoli, l’arte degli anni Cinquanta e Sessanta è un magma in costante movimento, che fonde tradizione e linguaggi sperimentali, alchimia e magia, lampi di poesia e tensioni politiche. A raccogliere e reinterpretare quella stagione incandescente è la seconda mostra del ciclo Avanguardie artistiche a Napoli negli anni ’50 e ’60, a cura di Andrea Della Rossa, visitabile da sabato, 7 giugno, presso la galleria Area24 SPACE. In esposizione, una densa selezione di opere che, tra superfici, segni, corpi e concetti, raccoglie le ricerche di Renato Barisani, LUCA (Luigi Castellano), Sergio Fergola e Guido Tatafiore, con particolare attenzione ad alcuni dei protagonisti del Gruppo 58 – Lucio del Pezzo, Mario Persico e Guido Biasi -, tra i più radicali laboratori dell’avanguardia italiana del dopoguerra.
Il percorso partecon Guido Tatafiore e con un’opera del 1951 che già prefigura uno dei tratti più singolari della ricerca napoletana: la capacità di dare densità al piano, profondità allo spessore mentale. I suoi tagli geometrici, privi di curve, compongono un sistema percettivo che si rivela lentamente, come un enigma costruttivista in cui la superficie si fa scena mentale.

A questa astrazione rigorosa fa eco l’immaginario inquieto e sotterraneo di Guido Biasi, che nel 1957 abbraccia una visione “nucleare”, fatta di microcosmi arcaici e reperti perduti. Le sue opere, da Lieu perdu (1961) a Ritratto equivoco di un alchimista (1962), sembrano scavate nella materia stessa della memoria collettiva, tra simboli e tracce criptiche, per una tensione archeologica che risale alle radici del linguaggio umano.
Nello Studio n.13 di Sergio Fergola, datato 1958, il dialogo con la materia si fa lotta: un dripping dorato precipita su un fondo nero, denso, attrattivo, come se la pittura tentasse di liberarsi dal suo stesso peso. Al contrario, Mario Persico gioca con un lirismo visionario e quasi fiabesco: le sue “popolazioni in attesa” sono creature dorate, sospese in cieli notturni, che si animano di sogni materici e segni onirici. In Bimbo con il cuore ipsilon (1961), un robot-bambino diventa reliquiario di simboli e oggetti indecifrabili, come se la macchina custodisse segretamente la poesia dell’infanzia.

Con LUCA (Luigi Castellano), la materia si fa trama: i suoi reticoli neri, ora ondulati ora rigidi, disegnano territori della percezione, sospesi tra ombra e accensione cromatica. In S.T. arcipelago della memoria (1960) e O guarracino (1960), la superficie si fa pelle sensibile, tesa tra costrizione e liberazione.
Maestro delle metamorfosi tattili, Renato Barisani lavora invece su fondi ferrosi, sabbiosi, porosi, che catturano lo sguardo in un cortocircuito sensoriale. Le sue opere del 1961, come Quasi scultura, Segni sulla sabbia, Fascia metallica, sono vere e proprie epifanie materiche, in cui si avverte l’equilibrio dell’umano con il cosmico.

Chiude il percorso Lucio Del Pezzo, con l’ambiguo e affascinante Il giorno appartiene a qualcuno (1961): un congegno visivo dove il corpo si fonde con la macchina, l’esofago con l’ingranaggio. Il vivente si interroga su se stesso, mentre l’artista sonda, con sguardo lucido e affettuosamente critico, la profondità dell’individuo insieme all’ecosistema che lo contiene.
Accompagnata da un testo di Jacopo Riccardi, la mostra sarà visitabile negli spazi di Area24 Space fino a settembre 2025.