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Antonio Scaccabarozzi a Iseo: intervista ad Anastasia Rouchota e Ilaria Bignotti
Mostre
C’è tempo fino al prossimo 20 giugno per “immergersi” letteralmente all’Arsenale di Iseo nell’universo pittorico di Antonio Scaccabarozzi (Merate, 1936-Santa Maria Hoè, Lecco, 2008). Ne emerge il ritratto di un autore che merita di essere scoperto anche da parte del grande pubblico, dalla pratica creativa costante, rigorosa e intransigente. Ne parliamo con Anastasia Rouchota, moglie ed erede universale della sua opera nonché direttrice dell’Archivio Antonio Scaccabarozzi, e con Ilaria Bignotti che ne è curatore scientifico e responsabile dei progetti speciali.
Ci tracceresti un breve identikit di Scaccabarozzi?
Anastasia Rouchota: «Un artista che si avvicina a molte correnti e gruppi, ma che alla fine sceglie l’individualità. Lavora incessantemente nell’arte, dal 1968 al 2008, questo è il suo unico mestiere. Non subisce nessun ricatto o distrazione. Sceglie caparbiamente ogni passo e se ne assume la responsabilità. Abbraccia colleghi, antichi come i coetanei o i giovanissimi, gode delle opere degli altri, è disponibile e informato. Nulla lo distoglie dai suoi obiettivi. Il suo motto è: sono un uomo libero. Non gli mancano mai il sorriso e la curiosità».
Come descriveresti il suo nuovo linguaggio pittorico inventato tra gli anni Ottanta e i primi anni Duemila?
Ilaria Bignotti «Un linguaggio che osmoticamente contempla l’emozione e la deviazione dal rigore e dal metodo. Parafrasando Anastasia Rouchota nel titolo dato alla biografia scritta all’indomani dalla scomparsa dell’artista, e osservando dalla prospettiva attuale la sua indagine tra fine anni Settanta e inizio del XXI secolo, trovo una continua, gioiosa e rigorosa volontà di sfida e superamento del limite imposto al calcolo e alla programmazione, in una pittura che si fa ambiente, aerea, leggerissima, potentissima, iconica. Le sue opere sono la dimostrazione di una ricerca pienamente inscritta nel tempo che le appartiene – dal postmodernismo, con il richiamo a un fare disinteressato e a-temporale, al nuovo Millennio, come velatura e schermo di una proiezione ancora da immaginare – eppure senza tempo alcuno, e per questo stendardi e vessilli di una sperimentazione ancor oggi rigogliosa».
Anastasia Rouchota «Scaccabarozzi è un astrattista radicale, un fanatico del gesto minimale, un figlio del nord col cuore sempre rivolto al sole del sud. Attraversa i decenni dell’intensa figurazione con l’aplomb del fedele del vuoto, del minimo, del non urlato. Tratta discorsi sottili, segreti, osserva i più leggeri cambiamenti di aria, rispetta e venera la natura, si immerge in letture rivelatrici, mantiene un accento francese, ricordo della sua vita parigina alla fine degli anni Sessanta».
Partiamo dal titolo della mostra. La sua relazione con l’acqua è tutt’altro che casuale. In che modo lo è a partire dalle sue sperimentazioni tecniche?
AR «Scaccabarozzi utilizza l’acqua per descrivere infinite possibilità e bizzarrie. Non la rappresenta, ma le ruba le proprietà (segni, aloni, mescolanze, impronte, somiglianza, brividi). Impara dal suo umore e dal suo aspetto, la rispetta e l’asseconda. Lavora con tantissimi colori ad acqua, acquerelli, acrilici, tempere».
In quale senso l’acqua è stata anche un riferimento teorico e progettuale della poetica dell’artista?
IB «Per un artista in continua ricerca di stimoli, alla sperimentazione e anche alla messa in crisi del linguaggio e delle sue codificazioni, l’acqua, che è per antonomasia mutevolezza, trasparenza e densità nei diversi gradi del visibile, tracimante e ribelle a qualsivoglia regola, eppur misurabile, almeno a livello progettuale, diventa una compagna irrinunciabile nell’evoluzione del linguaggio pittorico dopo gli anni delle fustellature e delle prevalenze. In una bacinella può essere diluita con il colore e imbibita in tele grezze e trovate, poi l’artista ne segna il limite e il punto di massima appropriazione visuale del supporto. Oppure lascia che il nostro occhio cerchi un orizzonte e un confine; la inietta, e crea ninfee contemporanee che si allargano ipnotiche sulla superficie; la imbottiglia e ce la fa bere con lo sguardo; la stende, paziente, eccitato, su lunghi fogli di polietilene trasparente… un’incessante scoperta delle potenzialità delle cose semplici e quotidiane, un vedere attraverso, come egli scrisse a fine anni Novanta, ma anche un trovare attraverso la messa in crisi del dato comunemente accolto e accettato».
Come si articola il percorso espositivo in mostra? Quali cicli avete inserito e quali caratteristiche hanno?
AR «Per Acquorea abbiamo scelto opere appartenenti alla sezione esplorativa della sua ricerca sulle Misurazioni – colore iniettato, tele immerse nell’acqua colorata o nell’acqua senza colore, striscia di colore di misura dichiarata – e alla tipologia delle Quantità libere su fogli di polietilene. Tutte queste opere sono collegate all’acqua sia come dato visivo, sia come concetto, sia come riferimento».
Tra le varie sensibilità dell’artista, che ruolo ha quella ecologica e come si è esplicata?
AR «L’attenzione di Scaccabarozzi per la natura è una componente del suo carattere e della sua cultura, ancora prima di diventare coscienza ecologica. L’artista pone se stesso dentro il sistema della natura non come specie che deve per forza prevalere, ma come parte di un creato degno di essere preservato, custodito, in molti casi protetto. Coltiva quotidianamente la sua conoscenza e il suo rapporto con ogni forma di vita. Non confonde la natura con le modalità della sua arte, preferisce creare l’artificio, ne prende però molti spunti: negli ultimi anni della sua vita (contemporaneamente con opere che chiama Banchise, Ekleipsis, Velature) studia con attenzione Leonardo da Vinci; questo non può essere un caso».
A Iseo questo è il primo di una serie di appuntamenti espositivi dedicati a Scaccabarozzi. Quali altri appuntamenti sono in programma nel proseguo?
IB «Innanzitutto, non possiamo non invitare il pubblico ad andare a visitare la mostra che tu hai curato con Flaminio Gualdoni, autore peraltro della monografia dedicata a Scaccabarozzi ed edita da Corraini nel 2016, al museo di Villa Croce a Genova: una mostra che sin dal titolo, MAKE IT NEW!, contiene proprio l’idea, affine alla ricerca di Tomas Rajlich, che l’astrazione e la tensione all’astrazione costituiscono uno stimolo al superamento dei limiti dell’astrazione stessa, in direzione meta-pittorica e con risultanza iconica, anche, nel senso che quelle opere sono icone di una volontà di ricerca e di messa in scena, fenomenologica, della corporalità emozionale dell’idea di pittura. La prossima mostra dedicata a Scaccabarozzi si terrà alla Civica Raccolta del Disegno di Salò, a cura di Anna Lisa Ghirardi e mia per l’Archivio, e consisterà di una rigorosa selezione di opere su carta, coerentemente con la mission del museo, delle quali davvero molte inedite, appartenenti sia alla fine degli anni Cinquanta, sia declinate su supporti cartacei interessanti e particolarissimi. Non vi sveliamo nulla, ma il catalogo e il percorso espositivo dalla metà circa di luglio parleranno ampiamente di quest’altra area di sperimentazione dell’artista. Stiamo poi progettando una mostra in area altoatesina, per l’autunno, composta da grandi installazioni che dialogheranno con quelle di due artisti attuali».
È stato costituito l’archivio dell’opera dell’artista. È in preparazione il suo catalogo generale? Siete in grado di quantificare approssimativamente il corpus di opere prodotto dall’artista? Quante opere mancano ancora all’appello?
AR «L’Associazione Archivio Antonio Scaccabarozzi si è costituita nel 2010 e fa pare dell’AitArt e degli Archivi d’arte lombardi. È in preparazione il catalogo ragionato che è stato costruito con un database appositamente pensato e sviluppato, in un lungo lavoro di analisi e codicazione tipologiche; il catalogo ragionato e il database sono basati su un fantastico strumento che Scaccabarozzi ci ha lasciato, il suo Libro Mastro, dove in vita è riuscito a registrare la quasi totalità della sua opera. Ci risultano pertanto circa 3.000 opere e, a oggi, siamo riuscite a raccogliere tutti i dati anche di opere di cui non conosciamo i proprietari, ma che man mano stiamo raggiungendo. L’Archivio attualmente lavora sulla catalogazione dei libri e delle musiche che interessavano l’artista, un ottimo strumento per la comprensione e l’approfondimento della sua opera. Continuiamo a seguire tesi di laurea e portiamo sempre avanti il nostro progetto di inclusione che si chiama Un’avventura conoscitiva, rivolto ad adulti e bambini non vedenti e ipovedenti, in collaborazione con l’Istituto dei Ciechi di Milano. Stiamo elaborando anche un progetto che dialogherà con le persone nelle carceri».