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Cane cane, elogio dell’amicizia: Fabio Giorgi Alberti in mostra a Roma
Mostre
Apprestandomi a scrivere di cane cane, la mostra di Fabio Giorgi Alberti ospitata da Lateral, a Roma, fino al 2 febbraio, a cura di Vasco Forconi, ho passato in rassegna alcuni riferimenti letterari che credevo potessero arricchirne il racconto. Ho riletto la straordinaria biografia del cocker spaniel Flush, pubblicata da Virginia Woolf nel 1933, nonché alcune pagine contenute in Cuore di cane di Michail Bulgakov, rivelatesi, però, decisamente troppo angoscianti e politiche per risultare utili alla causa. Ho perfino scomodato Jack London e Il richiamo della foresta, salvo poi ritrovarmi impastoiata nel ricordo di una me ottenne in gramaglie per Buck, al tempo unico e, quindi assoluto, modello sovversivo.

Mi sono quindi convinta dell’assoluta inutilità di tali suggestioni, non tanto per timore di risultare citazionista, quanto per l’impossibilità di rintracciare vere e proprie analogie. Credo infatti che alla mostra non sia sottesa alcuna volontà prospettivista, nessun tentativo di adottare il punto di vista animale: si tratta di un semplice tributo reso dall’artista al proprio cane, Marcel.

In questo elogio dell’amicizia, monumentale quanto effimero, composto di immagini in movimento, interventi scultorei e sonori, la figura umana e quella canina risultano quasi sempre accoppiate, eppure mai del tutto coincidenti. Lo dimostra Tentativo di sincronizzazione, la registrazione audio che propone, con un certo grado di elaborazione, la sovrapposizione tra il battito cardiaco di Giorgi Alberti e quello del lagotto. O anche l’inquadratura di Concrete poetry (Marcel), il video intimamente proiettato nell’andito più raccolto dello spazio espositivo; o ancora il raffronto esplicito proposto in Two and one of two, che sembra di fatto ispirato dal reciproco riconoscimento piuttosto che dall’assoluta equivalenza dei soggetti.

Anche la comunicazione verbale, ricorrente nella produzione dell’artista, non è del tutto sacrificata e si inserisce nel più ampio e rappresentato contesto di quella preverbale, figurando subito sopra l’ingresso della mostra e svolgendo un ruolo che, ancorché introduttivo, media tra la strada e la mostra, dunque tra esterno e interno.
A emergere in questo doppio ritratto è soprattutto l’estensione temporale del legame, la sua durata, da cui in un certo senso dipende la realizzazione di lavori come il già citato Two and one of two ed Hello. Rispettivamente composti da rami e ceppi di legno raccolti dal cane nel corso di lunghe passeggiate nel bosco, e dal suo pelo, proveniente da una tosatura stagionale, essi danno forma al trascorrere del tempo, alla reiterazione di gesti e pratiche di cura reciproca.


La dimensione storica, relativa al ricordo, testimoniata da tale “accumulo” di materiali organici sembra poi dilatarsi nella corsa in slow motion di Marcel girata in Super 8 (il formato per eccellenza dell’home cinema) per vitalizzarsi nella coda, attivata da un sensore di movimento, e nel suono diffuso dei due battiti cardiaci, un ritmo che pare condizionare l’andamento e la stessa respirazione del pubblico.

Così, il passato, estendendosi e perpetuandosi nel presente, svolge un’azione quasi contraria a quella generalmente effettuata dalla memoria: se è vero che si tende a cristallizzare il ricordo plasmandolo, la modalità rappresentativa scelta per questa relazione non fa che elidere i confini della sua esclusività. In altre parole, ciò che in principio sembrava non sorpassare i confini di un sistema a due, si rivela pensato per ammettere e coinvolgere chiunque lo voglia.
Non è certo necessario vivere o aver vissuto con un cane per comprendere e godere della felicità rappresentata da un grande prato verde o dalla compagnia di un amico. É però utile, per gioire pienamente della mostra, visitarla con i suoi protagonisti, lasciandosi condurre dall’andatura allegra e per nulla lineare di Marcel, ancora stupefatto dal suo corrispettivo ligneo.
