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Corpo, desiderio, spiritualità: ha aperto al Castello di Rivoli la mostra di Rebecca Horn
Mostre
Al Castello di Rivoli si apre la prima personale in un museo italiano dedicata all’opera di Rebecca Horn, dopo la sua recente scomparsa. La mostra s’intitola Rebecca Horn – Cutting through the past, è curata da Marcella Beccaria e realizzata in collaborazione con Haus der Kunst di Monaco di Baviera. Il titolo dell’esposizione ricalca quello di una nota opera dell’artista, presente in mostra e risalente al 1992/93. Si tratta di un’installazione di grandi dimensioni composta da cinque porte di legno dall’aspetto domestico, posizionate in cerchio, e da un’asta metallica posta al centro. L’asta compie, secondo un certo intervallo di tempo, un movimento rotatorio, scalfendo di volta in volta più in profondità il legno delle porte. L’installazione è un esempio calzante del pensiero e della ricerca di Rebecca Horn. C’è in essa un senso di spaesamento e di inquietudine, nel gesto ripetitivo e perturbante dell’asta metallica, che fende non solo fisicamente le porte, ma anche l’immagine domestica, di qualcosa che si schiude su uno spazio intimo e privato, che esse evocano.
La mostra, che si inizia significativamente con la famosa Macchina Pavone, esposta per la prima volta a documenta, Kassel, nel 1982, rende conto dell’opera di Rebecca Horn nella sua complessità, restituendo la grande attualità della sua ricerca. Lungo il percorso espositivo sono esposte circa trentacinque opere tra disegni, opere video, grandi e piccole installazioni dove l’idea del rapporto corpo umano/macchina, oggi estremamente attuale, è indagato in profondità, insieme con altre tematiche come la memoria, il desiderio di pace e libertà, la sofferenza e la tensione spirituale.

Se i disegni, con le ripetute immagini di cerchi, evocano i Piccoli spiriti blu che illuminano le notti torinesi d’inverno (è questo il titolo dell’opera di Rebecca Horn tanto cara agli abitanti del capoluogo sabaudo, che dagli anni Duemila è entrata a far parte della manifestazione Luci d’artista), i video, quasi tutti dei primi anni settanta, catturano l’attenzione per la costante riflessione sul tema della macchina, percepita come una sorta di estensione del corpo umano, insieme capace di schiudere una dimensione poetica e far riflettere circa il rapporto dell’essere umano con se stesso e il proprio corpo nella società della tecnica e della tecnologia.

Le installazioni dominano, però, il – tutto sommato pur breve – percorso nella Manica Lunga del Castello. Una serie di reti di letti nosocomiali accatastati l’uno sull’altro evoca un episodio privato e drammatico della stessa Horn, che in un periodo della sua vita dovette trascorrere un lungo periodo di ricovero in ospedale a causa di un’infezione polmonare. Significativamente l’opera, del 1993, s’intitola Inferno. Altrove, appeso al soffitto, c’è poi un pianoforte, che appare come sventrato e parzialmente decomposto nelle sue parti, eppure capace di tanto in tanto di accennare a un motivo musicale, suonando da solo, così come accadeva in un noto film di Buster Keaton. Il tema della musica torna in altre installazioni, soprattutto in Turm der Namenlose (la torre dei senza nome) del 1994. Qui alcune scale sono appese in maniera volutamente disordinata, intersecandosi tra loro. Qua e là compaiono dei violini, anch’essi animati, come il pianoforte, da un dispositivo meccanico a tempo, che di tanto in tanto fa sì che l’opera si metta in moto autonomamente, producendo suoni e musiche stridenti e inattese. Il tema sotteso, qui, è quello della guerra, con riferimento ai conflitti dell’epoca nella ex Jugoslavia. I violini simboleggiano però il tentativo di uscire dall’orrore, cercando di ricreare una nuova futura armonia, avvertita come qualcosa a cui tendere disperatamente.
Leggendo queste opere, va ricordato che, così come i film e i video, anche le installazioni rientrano, tra le altre cose, in quello studio sul teatro performativo che coinvolse Rebecca Horn fin dagli inizi, caratterizzando il suo stile e il modo di concepire e pensare le proprie opere.

Anche se solo una piccola parte delle opere in mostra appartiene alla collezione del museo (molte provengono dalla Fondazione Moontower, istituita dalla stessa artista in Germania alcuni anni fa), Rebecca Horn ebbe con il Castello di Rivoli un rapporto particolare, figurando anche tra gli artisti presenti alla mostra inaugurale Ouverture del 1984. Ma c’è di più. In occasione di questa esposizione, gli organizzatori hanno deciso di rendere nuovamente fruibile al pubblico un disegno realizzato dall’artista su un muro al secondo piano del museo.
La mostra, che prosegue fino al prossimo 21 settembre, si pone quindi anche come un riconoscimento e una celebrazione del suo lavoro, la cui poetica si rivela capace di ispirare il nostro presente in maniera molto profonda, invitandoci a divenire consapevoli di temi importanti e attualissimi, primo fra tutti quello del rapporto tra macchina e corpo umano, ma anche il desiderio, la dimensione spirituale, la relazione tra tempo e memoria.