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Dialogo tra collezionisti: la Collezione Gemma De Angelis Testa entra a Villa Panza
Mostre
Recentemente mi è capitato di trovare, caduto probabilmente dalla libreria condominiale a uso comune, uno di quei vecchi libri che riporta ancora il prezzo in lire, pubblicato nel 1995 – guarda caso il mio anno di nascita – dalla casa editrice CELIP, che a quei tempi aveva sede – ironia della sorte – vicino a quella che fino a poco tempo fa è stata la mia prima casa a Milano. Il libro in questione descrive e illustra le Ville in Lombardia, dalla campagna Milanese alla Brianza, dalla “Bassa” a Mantova, i dintorni di Bergamo e Brescia, e infine, da Varese sino alle ville che si specchiano nel Lago di Como. Ovviamente, mossa dalla curiosità di una non-lombarda che vuole saperne di più e da un’altra curiosa concomitanza, ho portato a casa con me il libro. Si dice che tre indizi facciano una prova, e tutte queste coincidenze sembrano infatti riportare all’articolo in questione che dovevo scrivere: la nuova mostra recentemente inaugurata a Villa Panza, una delle perle del territorio lombardo, che rientra proprio in queste pagine.

La villa, il cui nome completo è Villa Menafoglio Litta Panza di Biumo, racchiude già nella sua denominazione la sua storia, che risale al ‘700, quando fu fatta edificare dal suo primo proprietario, il marchese Paolo Antonio Menafoglio. Dopo alcuni passaggi di mano in mano e di cognome in cognome, la villa passò nel 1935 nelle mani del conte Ernesto Panza per essere infine donata dal figlio Giuseppe, nel 1996, al Fondo Ambiente Italiano (FAI). Già ampiamente nota per la sua collezione di arte contemporanea che attira visitatori da tutto il mondo, l’abitazione ospita anche mostre che mettono in dialogo le proprie opere con “altri sguardi”. Un altro sguardo. Opere dalla Collezione Gemma De Angelis Testa è infatti il titolo dell’esposizione che punta sul confronto tra due collezionisti che da subito dichiarano i propri intenti. Se per Giuseppe Panza di Biumo «lo scopo della mia vista era evidente: cercare, trovare, vedere “l’invisibile” dentro il visibile», per Gemma De Angelis Testa «l’arte è una porta aperta sul mondo, una testimonianza del nostro tempo». Di questi sguardi abituatisi al bello, e in particolare della collezione di quest’ultima, si occupano di restituire un percorso comprensibile ma anche capace di accendere domande e cortocircuiti, le curatrici della mostra Gabriella Belli, Marta Spanevello e la stessa De Angelis Testa.

L’una che guarda più a un’arte introspettiva, l’altra all’azione, una più spirituale, l’altra più dirompente, entrambe le collezioni però, restituiscono uno sguardo comune e sfaccettato sulla storia dell’arte che è anche una storia sociale. Un’ode alla pittura è quella che mette insieme Cecily Brown, Elizabeth Neel e Andreas Breunig, l’utilizzo del neon avvicina invece I Giganti Boscaiuoli di Mario Merz, con le tante opere che si affacciano nell’ala delle ex scuderie, e la condizione della donna fa capolino in più stanze con le sue diverse interpretazioni. Della figura femminile vengono raccontati gli stereotipi da Francesco Vezzoli e Vanessa Beecroft, la sopraffazione e la resilienza da Marina Abramović e Shirin Neshat, in una sala che si adatta anche molto letteralmente al titolo della mostra, con due opere, una di Neshat appunto e l’altra di Andres Serrano, che puntano uno sguardo inquisitorio sul visitatore, tracce di lotte che ancora portiamo avanti. Altro grande tema è quello delle migrazioni, chiaramente illustrato nei grandi arazzi ricamati di William Kentridge e dalle installazioni video di Adrian Paci. Di queste una su tutte risuona in maniera così stridente con quello che sta succedendo attualmente a livello globale: Believe Me I Am An Artist, opera in cui l’artista si ritrova a dover spiegare a un agente di polizia un’operazione artistica che rischia di costargli l’espulsione dal “Bel Paese”.

La mostra, organizzata per macro-temi, cerca di mettere un ordine critico all’interno della collezione di Gemma De Angelis Testa, un ordine che sembra ricostruire un mosaico della personalità della sua proprietaria. Lo conferma la collezionista stessa, che ricerca in ogni opera qualcosa che le appartenga, una simbiosi, che consenta alla propria storia di emergere attraverso la storia di altri senza però soverchiarla, una presenza di sé che semina nella villa come briciole di pane. Si viene così a creare un ritratto di vita a cui si vanno a unire le opere del marito Armando Testa: Senza titolo (Segno), Beatrix, Vota NO – quest’ultima con Aldo Lanfranco – che raggiungono una narrazione più intima, come il racconto delle visite alle mostre con il compagno che era solito chiederle «quale quadro ti piace e porteresti via?». Camminando in questa “villa delle delizie” che racchiude voci provenienti da epoche diverse, a noi non resta quindi che porci la stessa domanda.