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Grazia Toderi Gilberto Zorio. A Bologna, Torri : Terra
Mostre
«una stupefacente cosmologia, nella corrispondenza di orbite che tengono in equilibrio la contingenza dell’umano e l’aspirazione a un esaltante infinito». Sono queste le parole che Gianfranco Maraniello sceglie per rivelare come le proiezioni di Grazia Toderi, illuminando le Torri Stella di Gilberto Zorio, ci conducano in una dimensione che supera i confini fisici e mentali che limitano l’arte, come la vita.
Nel buio dell’Oratorio che ospita Torri : Terra, a cura di Cristina Francucci, le cinque punte delle due Torri Stella di Gilberto Zorio – realizzate con centinaia di blocchi bianchi di muratura sovrapposti – si incontrano e si intrecciano in una danza scandita da simmetrie diverse: fessure, spiragli e aperture si alternano, trasformando lo spazio in un continuo dialogo tra materia e luce. Sulla scultura di Zorio, che rompe con le convenzioni tradizionali, trasformandosi in un elemento dinamico che partecipa attivamente alla creazione e definizione di un ambiente in cui l’arte stessa può vivere, diventando un catalizzatore di emozioni ed energia, le proiezioni We Mark di Grazia Toderi emergono e mutano forma e disegno. Le immagini proiettate, come apparizioni ambigue sospese tra concretezza e immaterialità, offrono una visione satellitare della Terra che, ruotando in continuo movimento, si trasforma in materia magmatica dal colore rossastro, dove il visitatore può entrare come portatore di ombra.
Torri : Terra. Quando le vocali “o” e “i”, tramutano in “e” e “a”, sembra quasi di assistere a livello grafico e di conseguenza concettuale, a ciò che l’opera fa: non si limita a occupare lo spazio, ma partecipa attivamente alla creazione e definizione di un ambiente in cui l’arte stessa può vivere, diventando un catalizzatore di emozioni, pensieri ed energia. Quali emozioni, quali pensieri, trovano posto nelle sue torri e quale forma di energia si sprigiona nello spazio?
GZ: La forza dell’arte si rivela in questo caso nella occupazione dei vuoti lasciati dalla storia. L’Oratorio è un luogo che ha perso la sua funzione originaria. Grazia proietta la visione della terra e delle galassie in movimento. La doppia Torre Stella di gasbeton la accoglie.

La stella è «l’icona più diffusa del globo (…) È immagine del cosmo». Prendendo spunto da queste sue parole, e figurandoci le proiezioni We Mark di Grazia Toderi, che offrono una visione satellitare della Terra che, ruotando in continuo movimento, si trasforma in materia magmatica dal colore rossastro, chiedo a entrambi che significato date, rispettivamente alla stella e al colore rosso, e come si trasforma o evolve, questo significato, in un atto di compartecipazione come quello a cui assistiamo.
GZ: La stella a cinque punte è una immagine globale, inventata dagli esseri umani, e quindi riportata sulla superficie terrestre. Per l’Oratorio io ho organizzato il “contenitore“, cioè la Torre Stella, e Grazia “il contenuto”. Le sue immagini si fondono, si distanziano e si riuniscono. Ho pensato a due stelle che si tengono per mano, due stelle aperte. Possono essere ancora in costruzione, o in decostruzione, sembrano simmetriche ma non lo sono.
GT: Visivamente le stelle sono solo piccolissimi punti di luce che appaiono nell’oscurità del cielo notturno, eppure continuano a interrogarci da millenni. Leggendo le costellazioni l’essere umano ha imparato a orientarsi e ha costruito paesi e città, disegnando “stelle di terra” visibili dall’alto e attraverso le lenti dei satelliti. Gilberto e io, anche prima di conoscerci, ci interrogavamo, e ci interroghiamo ancora, anche se in modo molto differente, sulle stelle e sul loro significato.

A Bologna, come era successo anche a Vigone nell’ambito del progetto Panchine d’artista, avete dato vita, insieme, a un’unica grande opera che rinnova i confini spazio-temporali dell’Oratorio San Filippo Neri. Da un punto di vista formale e anche da un punto di vista esistenziale, in che modo il “fare insieme” evolve e poi si cristallizza?
GZ: Nell’Oratorio di Bologna il fare assieme è frutto di lunghe preparazioni organizzate e provate a Torino. A Bologna il fare “assieme” si è cristallizzato.
GT: Sia la Chiesa del Gesù a Vigone (1644) che l’Oratorio di San Filippo Neri a Bologna (1733) sono silenti testimoni di traumi subiti secoli fa (la peste e la guerra), che si ripetono nel presente. Abbiamo lavorato con molto silenzio tra di noi, ognuno concentrato nel proprio rapporto con spazio e storia dell’Oratorio, che non abbiamo mai pensato come uno ”spazio espositivo“. Per me era, piuttosto, un gigantesco corpo pieno di tempo. Abbiamo alla fine condiviso immaginazione e progettazione, offrendo uno all’altro materia e luce, proiezione e ombra, geometria e suono. Gilberto mi ha permesso di giocare con le feritoie delle sue Torri Stella dalle quali esce la luce calda delle mie proiezioni. Le due Torri Stella si sorreggono a vicenda, aiutandosi. Facevamo come prova il gesto di incrociare le dita di due mani, come fossero le fila dei mattoni. Ho pensato di creare una danza, e di accarezzare con i raggi di luce le Torri Stella e lo spazio dell’Oratorio. Testimoni oggi sono i visitatori, portatori di ombre che proiettano nell’opera. Testimoni da secoli l’Ecce Homo di Ludovico Carracci e la statua di San Filippo Neri, miracolosamente rimasti intatti in mezzo alle macerie dei bombardamenti del 1944.

Le proiezioni We Mark possono essere evocative della Terra, o del cosmo, ma anche dell’interno più intimo del corpo umano, quel corpo umano – per esempio quello del visitatore – che interagendo con l’opera si fa portatore d’ombra. Che rapporto esiste – qui nello specifico e più in generale nel suo pensiero – tra contingenza umana e aspirazione all’infinito?
GT: Nel 2009 avevo realizzato “Orbite Rosse“, due ovali rossastri pensando alle orbite celesti e terrestri. E alle orbite dei nostri occhi. Nel luglio del 2010 fu una sorpresa aprire il giornale e vedere in un ovale stelle e galassie immerse in un rosso indefinibile che si trasformava tra l’arancione e il blu. Era la prima fotografia dell’Universo scattata dal telescopio Planck dell’Agenzia Spaziale Europea, le tracce dell’origine dell’Universo nella Radiazione Cosmica di Fondo. La prima luce emessa dall’Universo. Continuo a sovrapporre e unire immagini di continenti, città, terra e galassie che si trasformano in quel rosso indefinibile, a volte anche carnale. Siamo noi.
