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Hans Haacke: perché la sua arte ci riguarda ancora
Mostre
di Zaira Carrer
Ripercorrere la carriera artistica di un maestro come Hans Haacke (Colonia, 1936) significa in primo luogo scontrarsi con delle domande ineludibili: come il nostro passato —in particolare la storia politica e sociale del Ventesimo secolo— influenza ancora il nostro presente? Quali sono i paradigmi impliciti che continuano a regolare il sistema dell’arte, la nostra alfabetizzazione mediatica e gli equilibri delle potenze occidentali?
Confrontarsi con questo percorso in una città come Vienna, poi, in cui ogni edificio e ogni angolo di strada portano i segni indelebili del sogno —andato in frantumi— di un impero, diventa un’esperienza ancor più trasformativa.
È anche per questo che, in un momento storico in cui il concetto stesso di democrazia viene messo in dubbio, la mostra dedicata ad Hans Haacke del Belvedere 21 di Vienna diventa ancora più preziosa. Organizzata dopo circa vent’anni dall’ultima retrospettiva in Europa dedicata al maestro tedesco, Hans Haacke. Retrospektive propone un’ampia selezione di lavori prodotti dal 1959, tra video, installazioni, sculture “viventi” e preziose documentazioni.

L’esposizione, a cura di Luisa Ziaja, è stata realizzata in collaborazione con la Schirn Kunsthalle di Francoforte e segue, approssimativamente, un percorso cronologico, a partire dalle prime fotografie scattate da Haacke. L’anno è il 1959. L’occasione? documenta 2, a Kassel, quando la società tedesca si ritrova a confrontarsi per la prima volta con quell’arte che era stata definita “degenerata” dal regima nazista. Per Haacke, le foto scattate in quest’occasione non sono opere d’arte, ma ai nostri occhi sono interessati perché ci permettono già di apprezzare il suo approccio unico. Haacke, infatti, non si focalizza tanto sulle tele e le sculture esposte, ma, piuttosto, sulle reazioni del pubblico e sulle contraddizioni insite a ciò: giovani appartenenti alla Gioventù Hitleriana si ritrovano davanti ai capolavori delle Avanguardie Storiche in una Germania da ricostruire.
Come filamenti viscosi questi temi attraverseranno tutta la sua produzione: l’artista è attratto dal passato, dalla sua influenza sul presente, sul comportamento di determinati individui all’interno di un sistema, sia esso economico o sociale.

Quest’attrazione per i sistemi si riscontra anche nella prima produzione di Haacke, più focalizzata su una dimensione biologica, fisica e chimica. Cumuli di terra da cui cresce rigogliosa un’erba verde, canule ricolme d’acqua in movimento, un tessuto blu sospeso dal vento e il celebre Large Condensation Cube (1963 – 1967): sono tutti esempi dell’attenzione posta da Haacke sulle reazioni di elementi organici e non all’interno di una serie di condizioni prestabilite.
Alla fine degli anni Sessanta, l’artista comincia ad applicare questo stesso approccio a una dimensione socio-economica. Gallery Goers’ Birthplace and Residence Profile (1969 – 1970), ad esempio, è un’ampia installazione che dimostra, attraverso una serie di dati e fotografie, come la scena artistica sia dominata prevalentemente da individui di ceto medio-alto. Molte altre opere presentate in mostra dimostrano come l’artista abbia sempre cercato di mettere in evidenza le discrepanze e le ipocrisie presenti nell’arte e nel sistema museale, a volte anche incorrendo in censure e danni alla propria carriera.
Senza alcuna remora, Haacke mette davanti agli occhi degli spettatori come il potere —anche artistico— derivi sempre da un privilegio ancorato nel passato e nella discriminazione. Moltissimi sono infatti i legami tra nazismo e società contemporanea che Haacke mette in luce in opere quali Manet-PROJECT’74 (1974) e And You Were Victorious After All (1988).

Questo filone culmina nella presenza di Haacke alla Biennale del 1993, di cui in mostra è presentata della documentazione storica. Qui, il pavimento completamente distrutto del padiglione tedesco funge da reminiscenza del tragico passato della Germania e del costo nascosto della sua recente riunificazione.
Hans Haacke. Retrospektive non si limita dunque a celebrare una carriera esemplare, ma invita a una presa di coscienza: ogni istituzione, ogni immagine, ogni costruzione sociale è il prodotto di una lunga sedimentazione di rapporti di forza. Ogni museo, ogni opera, ogni narrazione culturale è attraversata da fratture invisibili che il lavoro di Haacke si ostina a rendere manifeste. Ripercorrere oggi il suo percorso significa riconoscere che il passato non è mai realmente passato —continua ad agire sotto traccia, condizionando le logiche del presente e i sogni del futuro. In tempi in cui le tensioni geopolitiche si riaccendono e le narrazioni ufficiali si irrigidiscono, l’arte di Haacke si impone come uno strumento critico imprescindibile: non per offrire soluzioni, ma per aprire fessure, rendere visibili le crepe, e ricordarci che nessun sistema è neutrale.
