08 gennaio 2023

La città del Leone. Brescia nell’età dei comuni e delle signorie al Museo di Santa Giulia

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Il Museo di Santa Giulia di Brescia presenta la mostra “La città del Leone. Brescia nell’età dei comuni e delle signorie”. A cura di Matteo Ferrari, fino al 29 gennaio

La città del Leone. Brescia nell’età dei comuni e delle signorie. © Archivio Fotografico Musei di Brescia

Nell’anno della nomina a capitale della Cultura (BGBS2023), Brescia inaugura le celebrazioni con “La città del Leone. Brescia nell’età dei comuni e delle signorie”, una mostra che ripercorre la storia delle origini e dell’identità della città alla scoperta di aspetti inediti o meno noti del suo passato. 

Il percorso espositivo al Museo di Santa Giulia è suddiviso in quattro sezioni e propone reperti diversi per materialità e provenienza che offrono un approfondimento sull’evoluzione della società bresciana, la definizione del nuovo volto urbano e monumentale, i mutamenti documentari connessi alle pratiche amministrative, gli sviluppi della religione civica, l’impiego dell’immagine ai fini della comunicazione politica e il ruolo delle componenti materiali e delle tecniche pittoriche nella trasmissione di messaggi ideologicamente orientati. Centoventi esemplari tra sculture, pitture, documenti d’archivio e manoscritti miniati, monete e oreficerie definiscono un’inedita e romantica narrazione che svela le vicende della città e del suo territorio come anche i diversi aspetti dello spazio fisico, sociale e culturale che, durante questo periodo, si trasforma profondamente per assumere alcuni tratti che lo contraddistinguono ancora oggi.

La città del Leone. Brescia nell’età dei comuni e delle signorie. © Archivio Fotografico Musei di Brescia

In molti centri urbani, i secoli dal XII al XV furono un periodo di vivace sperimentazione politica. I governi comunali e, successivamente, i regimi signorili contribuirono in maniera determinante a forgiare il volto della città. All’anno 1120 risale la prima menzione del Comune di Brescia, che concedette al borgo di Orzivecchi una carta di franchigia: l’embrione di un governo comunale, documentato negli scritti del decennio 1120-1130, andò intensificando la sua azione fino a quando la battaglia di Legnano (1176) e la successiva Pace di Costanza (1183) – di cui è esposto l’esemplare ben curato commissionato dal podestà Lambertino Lamberti – sancirono la definitiva affermazione del Comune come ente dotato di autonomia politica e giuridica. Il percorso espositivo mostra, in esordio, come a Brescia l’istituzione comunale iniziò a manifestare la sua presenza nell’ambito urbano, dall’apertura di una nuova piazza alla costruzione di un palazzo civico, parallelamente all’esposizione di iscrizioni che documentavano il proprio operato e le proprie prerogative di governo. La stessa istituzione fu però anche accompagnata dal bisogno di immagini attraverso le quali potesse essa stessa rappresentarsi e rappresentare la collettività che governava. Fu in questi anni che il Comune di Brescia adottò un proprio stemma, destinato a divenire il vero segno distintivo della civitas Brixiae, e a favorì il culto civico di San Faustino e del fratello Giovita e le devozioni per la Vergine e per le Sante Croci. In questa sezione, “Brescia nella Lombardia del XII secolo: l’origine del Comune” troviamo documenti prodotti dalla cancelleria imperiale e comunale e opere come “Il giuramento di Pontida” di Giuseppe Diotti prestito della Pinacoteca di Brera, “Il carroccio. La battaglia di Legnano” di Massimo Tapparelli D’Azeglio, proveniente dalla Galleria di Arte Moderna di Milano e “La pace di Costanza” di Giuseppe Bossi dal Gabinetto dei disegni del Castello Sforzesco.

Massimo Tapparelli d’Azeglio, Il carroccio (La battaglia di Legnano), 1831, Torino, GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea. © Su concessione della Fondazione Torino Musei (foto: Ernani Orcorte, 2002).

Sul finire del XII secolo nuove componenti sociali legate alle attività commerciali e produttive – successivamente il  “Popolo” –  si affacciarono sulla scena rivendicando un maggiore spazio di partecipazione politica ed entrando in contrasto con l’aristocrazia che aveva tenuto a battesimo il Comune. Per dare soluzione a questi conflitti, la guida del Comune fu affidata a un podestà, un magistrato solitamente forestiero che governava con mandati a tempo, accompagnato da alcuni professionisti del diritto, che lo coadiuvano nell’esercizio delle sue mansioni. A loro si affiancavano i notai che, insieme ad altri funzionari, massari, araldi, campanari o gastaldi, il Comune assoldava per soddisfare i bisogni di una macchina amministrativa sempre più complessa e articolata. Nel corso del XIII secolo, il Comune di Brescia promosse un’ampia serie d’interventi architettonici e urbanistici destinati a ridisegnare il volto della città, conferendogli l’aspetto che ancora oggi la caratterizza. Nel 1223 iniziò per esempio l’edificazione di un nuovo palazzo comunale, e proprio mentre infuriava la lotta tra la nuova Lega Lombarda e Federico II, le magistrature bresciane intrapresero l’ampliamento delle mura urbane (1237-1254). Nuove porte furono erette per proteggere gli ingressi alla città, mentre nel cuore della stessa, l’abbattimento del convento dei Santi Cosma e Damiano avviò l’apertura della grande piazza su cui affacciano il palazzo del Comune e le due cattedrali, la cui manutenzione è affidata, almeno dal tardo Duecento, alle magistrature urbane. Tra le opere di questa sezione, “Il Comune libero”, l’elmo morione con la Santa Croce, i santi Faustino e Giovita e lo stemma del comune di Brescia, la matrice del sigillo del comune di Brescia a confronto con quelli dei comuni di Padova, Verona, Cremona, la Stauroteca della Santa Croce del tesoro delle Sante Croci del Duomo vecchio di Brescia e lo “Stemmario trivulziano”, la più antica raccolta di stemmi conservata per la Lombardia.

Stemmario trivulziano, seconda metà del XV secolo, Archivio Storico Civico e Biblioteca Trivulziana. Crediti: Comune di Milano © tutti i diritti di legge riservati – Archivio Storico Civico e Biblioteca Trivulziana.

Sul finire del Duecento, il 5 marzo 1298 i consigli del Comune e del Popolo di Brescia si riunirono per cercare una soluzione alle lotte di fazione che affliggevano la città. Si decise di indire una pacificazione generale, il cui arbitro è identificato nel vescovo Berardo Maggi, che nella circostanza fu anche nominato signore della città. La nomina del Maggi certifica l’ascesa di una famiglia che, nel giro di cinquant’anni, si issò ai vertici delle istituzioni ecclesiastiche e civili bresciane. Tra di loro, il fratello del vescovo, Matteo Maggi, tra i magistrati itineranti più apprezzati dell’epoca successe a Berardo nella signoria (1308-1311), presto interrotta dal tentativo fallito di Enrico VII di portare la pace tra le fazioni che si disputavano il controllo dei Comuni lombardi. Benché di breve durata, la signoria dei Maggi lasciò segni importanti a Brescia. Impiegando le arti per costruire la propria immagine e legittimare il proprio ruolo di governo, essi si appellarono ad artisti dalle capacità espressive non comuni, portatori di un linguaggio innovativo: il pittore che realizzò la “Pace in Broletto” e lo scultore veronese noto come Maestro di Santa Anastasia che a Brescia realizzò alcune fra le sue prime opere. La fine della signoria Maggi coincise con la crisi delle istituzioni comunali. Il quadro politico era mutato, complice il modello monarchico imposto dagli Angiò. Il tentativo delle istituzioni bresciane, animate da ambizioni espansionistiche, si scontrò nel 1337 con la famiglia Visconti: Azzone Visconti si impadronì della città e il dominio signorile si protrasse per quasi un secolo. Gli organi comunali furono svuotati delle loro prerogative, ormai esercitate direttamente dai signori di Milano e dai podestà da loro nominati e Brescia non batté più moneta. Grandi opere di fortificazione furono realizzate non più per difendere la città dagli attacchi esterni ma per prevenire l’insorge di rivolte della cittadinanza contro la signoria, dal 1343 rappresentata, anche attraverso figurazioni araldiche che ne ornano le pareti, dalla costruzione del mastio del castello sul colle Cidneo e dalla successiva edificazione della cittadella, due cortine murarie che corrono parallele tagliando il centro urbano da nord a sud e abbracciando l’attuale piazza del duomo, sede delle istituzioni civili e religiose. L’attività edilizia prova, tout court l’adesione dell’aristocrazia bresciana ai modelli culturali e artistici di matrice milanese. In questa sezione “La città dei Signori” troviamo la “Statua per fontana con ritratto di vescovo”, conservata al Museo di Santa Giulia, e il tabernacolo con “Cristo in passione tra la Madonna e San Giovanni evangelista”, proveniente da Palazzo Maffei Casa Museo di Verona, nonché il sarcofago di Corrado Fogolini, concesso dal Museo Civico Medievale di Bologna. All’età viscontea risalgono la “Madonna dell’Umiltà” di Gentile da Fabriano, dal Museo Nazionale San Matteo a Pisa, la medaglia di Antonio di Puccio Pisano, detto Pisanello raffigurante “Sigismondo Pandolfo Malatesta e Malatesta in armi tra le sue imprese” e un preziosissimo codice miniato confezionato per Pandolfo III oggi conservato alla Biblioteca Gambalunga di Rimini.

Gentile da Fabriano, Madonna dell’Umiltà, 1420-1423, Pisa, Direzione Regionale Musei della Toscana – Museo nazionale di San Matteo.
Crediti: ©Pisa, Museo Nazionale di San Matteo.

La morte del Duca Gian Galeazzo nel 1402 aprì una crisi istituzionale nello stato visconteo. La continuità di governo fu assicurata da un consiglio di reggenza di cui faceva parte anche Pandolfo Malatesta, condottiero che sfruttò il momento di confusione istituzionale per prendere il controllo delle città di Brescia (1404), offertagli dalla duchessa in cambio del servigi resi ai Visconti. Pandolfo Malatesta installò la sua corte, fissando la residenza all’interno del Broletto e facendo costruire una cappella intitolata a San Giorgio, affidandone la decorazione a Gentile da Fabriano e suscitando l’ammirazione dei contemporanei. Queste pitture, di cui sopravvivono solo pochi frammenti, sono l’episodio più eclatante di una vivace attività di committenza che investì anche l’ambito librario e che venne perpetrata dai figli Domenico e Sigismondo. Malatesta non solo investì nelle arti ma organizzò una cancelleria e riattivò la zecca citttadina. Eppure non ebbe lunga vita: Filippo Maria Visconti riuscì a riprendere il controllo dei territori orientali del ducato, costringendo, nel 1421, Pandolfo a lasciare prima Bergamo e poi Brescia. Cinque anni più tardi, nel 1426, Brescia passò sotto la bandiera di Venezia. Qualche secolo dopo, nel 1849, fu Giosuè Carducci a creare il mito di Brescia «leonessa d’Italia», chiaramente ispirato alla fiera che ne incarna l’identità fin dall’epoca comunale. In questa sezione, “Il mito Otto-novecentesco di Brescia medievale”, le opere enfatizzato l’approccio filologico che contraddistingue la mostra.

La città del Leone. Brescia nell’età dei comuni e delle signorie. © Archivio Fotografico Musei di Brescia

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