26 luglio 2025

La grande retrospettiva di Remo Salvadori a Milano: ce la raccontano l’artista e le curatrici

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L’artista presenta il suo più grande progetto espositivo diffuso tra Palazzo Reale, la Chiesa di San Gottardo in Corte e il Museo del Novecento, accompagnando lo spettatore in un percorso che attraversa il tempo e lo spazio. Parola a Remo Salvadori, Elena Tettamanti e Antonella Soldaini

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Remo Salvadori, No' si volta chi a Stella è fisso, 2004 (2025), Sala delle Cariatidi, Palazzo Reale. Foto credits Agostino Osio

Se si osserva bene l’intera pratica di Remo Salvadori, che in questa mostra diffusa è protagonista della sua più ampia retrospettiva, sembra che le differenze temporali tra le opere scompaiano. C’è una sottile linea discreta che attraversa l’intera storia dell’artista, una sorta di filo d’oro che tiene insieme gesto, spazio, tempo e il loro incontrarsi all’infinito. Questi giganteschi cardini della riflessione dell’artista, infatti, procedono come linee parallele il cui percorso è tortuoso, assolutamente non retto. Nella poetica di Salvadori, infatti, non esiste un racconto o una narrazione univoca, ma il suo sviluppo è determinato da una sorta di operazione di fagocitosi, di dilatazione liquida, come fosse una sorta di respiro che – espandendosi – tende a comprendere sempre più aspetti di una realtà in alcun modo oggettiva.

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Remo Salvadori, Verticale, 1991 (2004). “Remo Salvadori”, Palazzo Reale, Milano. Foto © Altopiano

Tra il Piano Nobile e la Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale (fino al 14 settembre 2025), la Chiesa di San Gottardo in Corte (fino al 31 agosto 2025) e la nuova installazione permanente al Museo del Novecento, questa poesia si concretizza nell’uso, leggero e quasi effimero, della materia: chi la osserva, è portato ad attraversarla e lasciarsi attraversare. Ed è lo stesso stimolo che ha condotto le curatrici della mostra, Elena Tettamanti e Antonella Soldaini, a concepire un percorso che è metaforico delle stanze della memoria dell’artista. Ed è per questo che la sequenza non è, né potrebbe essere, cronologica ma emotiva e percettiva: dall’apertura con Continuo Infinito Presente (1985) all’allestimento delle diverse elaborazioni, concepite tra il 1988 e il 2017, di Germoglio e poi al ritorno nel passato con Nel Momento (1974). L’ordinamento delle opere rende plastica l’idea per cui Salvadori agisce contro-tempo: in un mondo divorato e che divora immagini massimaliste, l’artista costruisce luoghi da abitare; luoghi in cui fermarsi e dare tempo al tempo.

14. Remo Salvadori, Triade, 1986 (1989). “Remo Salvadori”, Palazzo Reale, Milano. Foto © Altopiano

Dopotutto, è la necessità della lentezza del tempo e del pensiero. L’artista non urla, è una presenza silenziosa che ripercorre una metodologia – perennemente inesatta e inattuale – per stabilire un equilibrio dinamico all’interno del pensiero. Una nuova forma di attesa consapevole, che è manifestazione chiara, immediata e fisica, dello stesso pensiero: lo stesso utilizzo dei materiali specchiati è didascalia della riflessione e della speculazione del pensiero, senza contare tutto l’apparato teorico da cui è sostenuta – e di cui Salvadori ha estrema conoscenza e maestria. Le sue opere vivono nel momento e respirano lo spazio in cui sono accolte modificandolo e trasfigurandolo per costruire una nuova via differita per lo sguardo. La mostra stabilisce qualcosa che non è per nulla scontato ma che è anzi ricercato perennemente da qualsiasi artista: lo stimolo all’incontro immediato con l’opera, fuori da ogni forma di didattica. Entrando negli spazi dell’esposizione, sembra quasi di essere sospesi in una situazione che, per quanto reale, sembra distrarci e alterare la nostra percezione del tempo e dello spazio. In questa intervista all’artista e alle curatrici della mostra, abbiamo ripercorso alcune tappe del pensiero che ha generato questa mostra.

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11. Elena Tettamanti, Antonella Soldaini e Remo Salvadori. “Remo Salvadori”, Palazzo Reale, Milano. Foto © Altopiano

Per iniziare vi chiederei di raccontare l’intervento sia dal punto di vista fisico che concettuale. Quale è la natura del progetto e quali obiettivi si è posto?

Elena Tettamanti e Antonella Soldaini: «L’intervento di Remo Salvadori a Milano è una vasta mostra diffusa che coinvolge tre luoghi simbolici della città. Questa configurazione fisica permette al pubblico un’esperienza immersiva nella pratica e nel pensiero dell’artista. Concettualmente, il progetto si distanzia dall’essere una classica rassegna monografica a carattere cronologico. L’obiettivo era offrire al visitatore la possibilità di entrare in relazione con l’artista e il suo universo al di fuori di ogni riferimento storico e didattico. Per questo abbiamo pensato ad un percorso in cui ogni elemento in gioco fosse “contaminato” dall’opera, dalla presenza del visitatore e dallo spazio che li accoglie».

La grande personale in corso a Palazzo Reale, anticipata dall’installazione alla Sala delle Cariatidi, attraversa oltre cinquant’anni del suo lavoro. Insistendo sulla relazione tra luogo, opera e spettatore, le opere appaiono quasi come se fossero esattamente concepite per quello specifico spazio in quello specifico momento. Possiedono ancora quella proprietà, quell’aura che dona all’opera le sue condizioni di esistenza. La mostra sembra quasi insistere su questa sua natura esperienziale per cui siamo invitati a perderci nello spazio. Che cos’è lo spazio della mostra?

Remo Salvadori: «Mi sento di citare Rainer Maria Rilke: “Così, dopo tutto, non li abbiamo sprecati gli spazi, questi prodighi, questi nostri spazi. Come han da essere grandi, paurosamente, se millenni del nostro sentire non li hanno potuti colmare”».

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. Remo Salvadori, No’ si volta chi a Stella è fisso, 2004 (2025), Sala delle Cariatidi, Palazzo Reale. Foto © Agostino Osio

La ricerca curatoriale presuppone la costruzione di un percorso che, in questo caso, è diffuso ma non diluito: seppur orientandosi in luoghi prossimi, ciascuno spazio vive per se stesso, sviluppando una sorta di mostra nella mostra. L’esposizione, dunque, agisce essa stessa come dispositivo, come medium. Quale è la concezione dello spazio che la vostra visione curatoriale, in dialogo con l’artista, ha voluto proporre e produrre?

AS e ET: «La nostra visione curatoriale, sviluppata con Remo Salvadori, ha voluto proporre una concezione dello spazio estremamente dinamica, che va ben oltre la mera esposizione di opere. Ogni sede è concepita come un capitolo a sé stante. Lo spazio, nel caso di questa mostra, non è interpretato come un semplice sfondo, ma come uno dei co-protagonisti che dialogano attivamente con le opere e con la percezione del pubblico. Dal punto di vista dell’installazione, sin dall’inizio, abbiamo avuto subito chiari due obiettivi ben precisi. Il primo riguardava la necessità di avere, nello spazio del piano nobile, dove sarebbe stata presentata la mostra antologica, tutte le finestre aperte. Questo perché sapevamo quanto fosse importante per l’opera dell’artista poter interagire non solo con lo spazio interno, ma anche con quello esterno e soprattutto con la luce».

Ci fate un esempio?

AS e ET: «Basti pensare a questo proposito a Nel momento 1974 (2025) composto da tre elementi in argento e posizionato su una delle finestre. In questo caso il lavoro, visibile sia dall’interno della sala di Palazzo Reale che dall’esterno, si pone in relazione con l’architettura del Duomo di Milano su cui si affaccia la finestra. Il secondo proposito, che è strettamente connesso al primo, è stato di lasciare lo spazio nel modo in cui ci è stato consegnato, all’interno del quale non è stata fatta alcuna modifica né sono stati inseriti muri aggiuntivi. Questo perché eravamo consapevoli della qualità formale e capacità di relazione dei lavori dell’artista e come questi non avessero bisogno di nessun tipo di “aiuto” dal punto di vista architettonico».

7. Remo Salvadori, Verticale, 1991 (1995). “Remo Salvadori”, Palazzo Reale, Milano. Foto © Altopiano

Nell’attraversare gli spazi della mostra, ho ripercorso il film di Wim Wenders Perfect Days. Il protagonista, Hirayama, è un uomo dall’intelligenza raffinata, sottile, che riesce completamente ad essere-nel-presente. Lo spettatore è invitato a percepirsi in continuità con lo spazio espositivo diventandone parte integrante. Il rapporto tra tempo e spazio all’interno della mostra ci permette di vivere realmente ciò che è l’adesso, il presente, attraverso questa sorta di ritualità inedita. Semplicemente, come e cosa è il tempo all’interno della mostra?

RS: «L’invito alla presenza con mente, cuore e membra».

Il tempo è anche fruizione. Quello che è rappresentato è un pensiero specifico sulle cose del mondo, una sorta di sua rappresentazione plastica e fisica. Mi ricordo Proust quando diceva che il tempo è pensiero. Il ragionamento che vorrei proporre a voi è sulla fruizione della mostra da un punto di vista esistenziale, oltre che temporale.

ET e AS: «Il cuore del metodo espositivo adottato in questa occasione risiede nella convinzione che “la mostra acquista il suo significato più autentico nel momento del suo farsi”. Salvadori stesso esprime questo approccio affermando: “Non cerco un approdo. Non cerco un’opera che mi rappresenti ma ‘sto’ con lei continuamente. Sono ‘nel momento’ e così tengo acceso ‘il fuoco’”. Questa prospettiva, che privilegia il presente e l’interazione dinamica, si traduce in un percorso che non mira a una narrazione didascalica, ma a una comunicazione più sottile che entra in risonanza con chi la vive. L’artista vive l’arte come una “sorta di rivelazione”, “un percorso per la mente, il cuore e le membra alla ricerca della consapevolezza, quasi come se fosse un’ascensione e l’ascendere è anche un vedersi”. Seguendo questo suo modo di procedere, per cogliere la dimensione più vera del lavoro di Salvadori, è fondamentale abbandonare ogni riferimento contingente e temporale. Il visitatore, in questo modo, viene coinvolto in un “dialogo tra sé e l’altro, in una reciprocità da cui prende avvio una nuova modalità di vedere l’esistente”. Non si tratta di una sequenza di fatti storici, ma di una lettura di tipo organico, dove le opere sono collegate tra loro per fili sottili e creano un ritmo visivo che mette in moto associazioni profonde».

13. Remo Salvadori, Alfabeto, 2013 (2016). “Remo Salvadori”, Palazzo Reale, Milano. Foto © Altopiano

In che modo la materia è compresa in questa dinamica?

ET e AS: «L’uso dei metalli nell’opera di Salvadori, con le loro proprietà di fusione, conducibilità e malleabilità, rappresentano la fluidità delle cose, il passaggio da uno stato a un altro. Veicolano un senso primario delle cose, e le opere, siano esse bidimensionali o scultoree, sono disposte in un sistema di relazioni dove si potenziano a vicenda, senza creare contrasti o giustapposizioni».

Allo stesso modo, ricollegando Wenders, Proust e forse anche Benjamin – senza nominare i tanti riferimenti che sono sottesi – è curioso osservare come le opere del maestro e la loro architettura nello spazio sembrano farci entrare in una dimensione inedita che ci sospende all’interno di una certa lentezza. In un momento storico in cui regna la bulimia, la frenesia e l’ipertrofia. Obbligarci a fermarci non è solo un dovere morale dell’arte, ma è anche necessario: la lentezza è la lentezza del pensiero, la stratificazione del cambiamento. Che cos’è, nella mostra, questa lentezza?

RS: «Per me vuole dire un darsi tempo: uno stop che ci offre presenza. E ancora Rainer Maria Rilke: “Qui non si misura il tempo, qui non vale alcun termine e dieci anni son nulla. Essere artisti vuol dire: non calcolare e contare; maturare come l’albero, che non incalza i suoi succhi e sta sereno nelle tempeste di primavera senz’apprensione che l’estate non possa venire. Ché l’estate viene. Ma viene solo ai pazienti, che attendono e stanno come se l’eternità giacesse avanti a loro, tanto sono tranquilli e vasti e sgombri d’ogni ansia”».

ET e AS: «Il riferimento alla “lentezza” nel nostro tempo coglie un aspetto cruciale della mostra di Remo Salvadori, che va ben oltre la semplice osservazione per invitare a una vera e propria fruizione esistenziale dell’arte. La lentezza non è qui una semplice diminuzione della velocità, ma una condizione necessaria per l’autentica esperienza e il pensiero profondo, in linea con le sue osservazioni su Proust e Wenders. Il percorso di conoscenza e consapevolezza di sé, di esplorazione della propria sensibilità, non può essere frettoloso. Richiede lentezza e introspezione. Mutevolezza e trasformazione che richiedono tempo: opere come No’ si volta chi a stella è fisso cambiano aspetto a seconda dello spazio, incarnando “mutevolezza e adattabilità”. Gli oggetti ricorrenti si evolvono in un lento processo di trasformazione del loro significato. Per percepire queste trasformazioni e comprendere la profondità di questi concetti, è necessaria una fruizione lenta e ripetuta, che permetta all’occhio e alla mente di cogliere le sfumature e i mutamenti».

12. Remo Salvadori, Continuo Infinito Presente, 1985 (2007). “Remo Salvadori”, Palazzo Reale, Milano. Foto © Altopiano

Concludendo?

ET e AS: «In sintesi, la lentezza nella mostra di Remo Salvadori non è solo un tempo di fruizione dilatato, ma è una modalità operativa e concettuale. È il tempo necessario affinché l’opera possa “accadere nel momento senza dispersione, salti o fratture”, permettendo una “esperienza non complicata ma completa della realtà, per conquistare una visione totale assieme a una coscienza superiore dei legami e delle gerarchie”.  È la lentezza del rito, del pensiero che si stratifica, dell’anima che si apre alla consapevolezza e al dialogo, un contrasto deliberato e necessario all’ipertrofia del nostro tempo».

RS: «“Ogni momento ha un fondo d’oro per un delicato riposo” (John Milton)».

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