30 maggio 2025

Luc Tuymans a Venezia: una pittura sospesa tra luce, memoria e sottrazione

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Fino al 23 novembre 2025, due tele inedite dell’artista belga Luc Tuymans dialogano con l’eredità di Tintoretto e l’atmosfera sacra dell’isola di San Giorgio Maggiore, rivelando un umanesimo fragile e poetico che trasforma il tempo e lo spazio della basilica veneziana

Luc Tuymans - Basilica di San Giorgio Maggiore, installation view, ph Joan Porcel Studio- Matteo Barolo

Nella Basilica di San Giorgio Maggiore, cuore silenzioso della laguna veneziana, in attesa del ritorno dei teleri presbiteriali di Jacopo TintorettoL’Ultima Cena e Il popolo d’Israele nel deserto, ora sottoposti a un necessario restauro promosso da Save Venice – due dipinti inediti dell’artista belga Luc Tuymans si posano sull’altare come presenze temporanee.

Commissionato dalla comunità benedettina e dalla DraiflessenCollection nell’ambito del programma culturale di Benedicti Claustra Onlus – da anni impegnata a riattivare un dialogo vivo tra arte contemporanea e spazio sacro – questo intervento diventa occasione per riflettere su cosa significhi oggi abitare il linguaggio della pittura all’interno della liturgia visiva. Non si tratta di decorare il presbiterio, ma di scorgere ed esplorare una ferita luminosa.

Un gesto di rara delicatezza, non solo perché introduce un artista contemporaneo nel centro nevralgico di una basilica palladiana, quanto per la responsabilità che egli assume nel non sostituire, ma nel sostare. La pazienza di non raccontare, ma di suggerire un invito alla contemplazione. Dove Tintoretto dispiegava la grandiosità dell’evento sacro con una regia vertiginosa e teatrale, Tuymans sceglie la sospensione. Dove l’uno esplode nella drammaturgia del gesto, l’altro ritrae il mondo come lo si ricorda in sogno: evanescente, sfumato, eppure intensamente evocativo.

Luc Tuymans – Basilica di San Giorgio Maggiore, installation view, ph Marta Buso

Heat e Musicians, realizzate da Tuymans attraverso una pittura che non reclama attenzione ma la dilata, sembrano autonome nel loro apparente mutismo, mentre si parlano nel respiro comune di una luce che interroga. La prima opera raffigura una lampada termica, forma minimale che allude al calore vivo della presenza del Risorto. È l’intimità incandescente della fede personale. La seconda – in cui due musicisti di strada si riflettono su una superficie di marmo nero – è attraversata da una luce sottile, che rischia di essere inghiottita dall’ombra. Questa tensione tra luce e tenebra, tra presenza e sparizione, si lega al tema eucaristico non per via illustrativa, ma per risonanza spirituale.

Un’umanità diafana attraversa la soglia della materia senza mai solidificarsi, come se tutto fosse eco o memoria, come se il sacro fosse ciò che si sottrae proprio per poter essere ascoltato. Le opere emergono da un’apparizione obliqua che si manifesta per affioramenti e non per dichiarazione. Eppure qualcosa resta. Una luce latente, mai assertiva, che scalda e si ritrae, illuminando senza invadere e irradiandosi attraverso le fessure.

San Giorgio non è solo lo spazio che ospita queste opere, ma anche la loro controparte. L’isola si riflette nei quadri come nei suoi canali, diventando parte dell’opera stessa. Il marmo, l’acqua, il tempo e la preghiera si fanno specchio, medium, vibrazione liquida che moltiplica i sensi. E nella rarefazione della presenza pittorica si insinua un’altra domanda: cosa resta dell’immagine quando tutto sembra svanire?

Luc Tuymans – Basilica di San Giorgio Maggiore, installation view, ph Marta Buso

Luc Tuymans – pittore della memoria, della traccia e della sparizione – risponde con opere che sembrano chiedere il permesso di esistere. Non c’è enfasi, non c’è allegoria, solo il lento scivolare di una pittura che conosce il peso delle immagini e preferisce sfiorarle. Un’arte che si fa varco, passaggio, intercapedine tra ciò che vediamo e ciò che pensiamo. Il suo sguardo non vuole interpretare il sacro, ma lasciarsene trasformare. È una pittura che custodisce, nella sua fragile impermanenza, la possibilità di un umanesimo onnicomprensivo, non come totalità astratta, ma come ascolto radicale dell’essenza.

Il gesto dell’artista belga è poetico, mai estetizzante. La sua pittura non cerca il sublime, ma ne lavora l’assenza. In questo spazio dove il tempo si dilata e la percezione si assottiglia, le sue immagini sembrano riverberi trattenuti tra due epoche. C’è qualcosa di liturgico nella loro sospensione, come se ogni tela fosse un’incensiera che non brucia più, ma conserva l’odore.

Luc Tuymans – Basilica di San Giorgio Maggiore, installation view, ph Marco Sabadin

Curato da Carmelo A. Grasso, Corinna Otto e Ory Dessau, il progetto si estenderà oltre l’allestimento temporaneo con un manoscritto miniato contemporaneo a cui Tuymans sta lavorando: un altro modo per riflettere su ciò che può ancora dirsi sacro nell’arte contemporanea e che troverà posto sul leggio ligneo del Coro Maggiore, come traccia viva di un dialogo spirituale in atto.

È nella sottrazione che la presenza si fa più intensa: nel vuoto lasciato da Tintoretto, nella pausa tra due entità, nella dimensione entro cui siamo invitati a perderci per ritrovarci. Come scrive Tuymans: «Ogni frammento contiene il totale e il totale è il frammento del tutto». È questa l’alchimia della sua pittura: un frammento di luce che basta a illuminare tutto il resto.

Luc Tuymans, ph Marco Sabadin

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