-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Man Ray e non solo: le mostre di Tommaso Calabro Gallery a Venezia
Mostre
di Zaira Carrer
Alla vigilia del cinquantesimo anniversario della morte dell’artista, Tommaso Calabro Gallery celebra, in una mostra dal sapore museale, l’opera sorprendente e variegata di Man Ray (Philadelphia, 1890 – Parigi, 1976), figura anomala e al tempo stesso centrale del modernismo, della fotografia e del Surrealismo.
Sono più di quaranta le opere qui presentate, tra dipinti, assemblages, gouaches, grafiche e le sue celebri rayografie, che vengono così descritte nel dizionario del Surrealismo del 1938: «Fotografia ottenuta per semplice interposizione dell’oggetto fra la carta sensibile e la fonte luminosa. Colte nei momenti di distacco visivo, durante periodi di contatto emozionale, queste immagini sono ossidazioni di desideri fissati dalla luce e dalla chimica, organismi viventi».

In quest’ampia selezione si notano opere storiche di grande rilievo: la Venus restaurée, ad esempio —un busto in gesso, avvolto in corde che richiamano la pratica del bondage— e Cadeau, il ferro da stiro impossibile da utilizzare perché chiodato. Ma è già all’inizio del percorso che si impone una chiave di lettura trasversale, con il Monument au peintre inconnu, ovvero il monumento al pittore sconosciuto, costituito da un lungo bastone da croupier in bronzo, a sottolineare come siano in primo luogo la fortuna e il destino a imporre lo scarto tra celebrità e invisibilità.
E poi ancora, i giochi di parole e gli enigmi mentali sono innumerevoli: pesche che diventano paesaggi, scacchiere dalle enormi pedine, la fotografia di un occhio sul pendolo del metronomo… Per Man Ray tutto può essere decostruito, diventare un rebus, ma non c’è superficialità in questo: nel suo lavoro si legge una comprensione del desiderio —carnale, intellettuale e di permanenza— a cui pochi altri artisti sono giunti nel corso della loro carriera.

In ogni caso, è la sua caratteristica iconoclastia —intesa non solo come distruzione, ma anche come reinvenzione dell’immagine— che può essere interpretata come punto in comune e filo d’unione tra questa sofisticata retrospettiva e la piccola e intima esposizione che la galleria presenta al piano terra, nella cappella del palazzo e nel suo ingresso esterno. Parte del programma Pop (The Chapel) Up, la mostra presenta un ristretto numero di opere di Maurizio Bertinetti (Torino, 1955).
Bertinetti attinge al passato e ai tratti distintivi delle grandi correnti artistiche e delle celebri personalità delle storia dell’arte per costruire quella che potremo definire un’anti-grammatica, che con ironia mette in luce i limiti della vita contemporanea. Un topolino che sembra aver ben pocansimpatia per Cattelan, uno specchio che che ci restituisce il narcisismo della nostra epoca, un neon che recita «I collezionisti sono persone felici»: sono queste alcune delle opere qui presentate, a dimostrare come Bertinetti ami produrre enigmi e sovvertire codici.

Come Jan Fabre che danza sulle lapidi dei suoi autori preferiti, Bertinetti danza tra i relitti simbolici della storia dell’arte. Si potrebbe definire un situazionista postmoderno, che con le se opere mette in crisi le retoriche dominanti del sistema dell’arte: ogni oggetto si pone sulla linea di confine tra reliquia e sabotaggio, tra esorcismo e commento ironico.
Così, il dialogo tra Man Ray e Bertinetti diventa più di un confronto tra generazioni: è una riflessione sul destino dell’immagine, sul valore della trasgressione come gesto costruttivo, e sull’arte come pratica capace di mettere in discussione la grammatica del mondo.
