01 luglio 2025

Misurare l’invisibile. Tre mostre sul senso dell’abitare al Centro Pecci

di

Tre importanti mostre sono in corso al Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato: tra comunità, abitabilità e riflessione critica, la programmazione mette alla prova la sensibilità e la percezione degli spettatori

centro pecci
Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi , La marcia dell'uomo. Photo Andrea Rossetti

Quello che accomuna le mostre presenti al Centro Pecci fino alla fine settembre è certamente la questione dell’abitabilità. SMISURATA, Light Lights e La marcia dell’uomo ci parlano di un contesto in cui “fare comunità”, il tema della stagione estiva del museo, è soprattutto capire come possiamo rapportarci allo spazio e all’altro in modo diverso, riflettendo sulle idiosincrasie della Storia, sperimentando una diversa percezione di ciò che ci circonda e un modo alternativo di concepire oggetti comuni che, liberati dalla loro funzione domestica, si mostrano secondo nuove possibilità e interpretazioni.

Smisurata, Lorenzo Bonechi, Remo Salvadori Centro Pecci Photo Andrea Rossetti

Centro Pecci: esiste una scala ideale

«Quando abbiamo iniziato a pensare a SMISURATA con il Centro Pecci, abbiamo voluto mettere in discussione i “tropes of museology”; è tutto parte della scala. Da architetto so che la scala non è mai neutra, ma relazionale a un corpo, un contesto o un punto di riferimento.» Queste le parole di Ibrahim Kombarji, architetto che ha collaborato, insieme a Stefano Collicelli Cagol e Stefano Pezzato, alla realizzazione di SMISURATA. Opere XXL dalla collezione del Centro Pecci. Con questa mostra si omaggiano le caratteristiche del museo, un viaggio nel tempo che evoca i momenti significativi delle esposizioni più importanti e delle acquisizioni che hanno fatto la storia del Pecci. La mostra si inserisce all’interno dell’ala Gamberini a partire da Luna di Fabio Mauri che «ci saluta da Eccentrica [la collezione permanente], ma fa da punto di congiunzione con SMISURATA», afferma il direttore Collicelli Cagol.

centro pecci
Smisurata, Mimmo Paladino Mario Merz Centro Pecci Photo Andrea Rossetti

I temi della dimensione e della scala si incontrano con quello dell’accessibilità: per questo motivo è stata ideata una serie di didascalie di enorme formato, grazie alle quali persone con disabilità possono leggere più facilmente quanto presente in mostra. Un terzo delle opere esposte è, inoltre, inedito e una parte sono comodati che, secondo le parole di Stefano Pezzato, responsabile delle collezioni, «anticipano una donazione a tempo pieno, oppure esprimono il passaggio di alcune opere importanti che il museo altrimenti non potrebbe esporre». Le opere ci parlano del senso dell’abitare lo spazio, ma anche di una diversa percezione del tempo che si ripete all’infinito come nell’opera di Remo Salvadori, oppure si sistema in una sospensione silenziosa come nei quadri di Bonechi. Abitare, infatti, non è solo una questione di spazio, ma di tempo, un movimento incerto verso nuove possibilità, quelle trasformazioni che si ritrovano a conclusione del percorso, tra i miraggi di Jacopo Miliani e la spirale infinita di Mario Merz.

centro pecci
Davide Stucchi, Light Lights, Centro Pecci, Photo Andrea Rossetti

Davide Stucchi: l’impalpabile leggerezza della luce

L’abitabilità e il senso di comunità, per Davide Stucchi, hanno come filo conduttore la luce e gli elementi domestici comuni a cui l’artista dà una nuova dignità. Ciò che in SMISURATA è percepibile in modo diverso grazie a un ribaltamento della scala, in Light Lights è frutto di un nuovo modo di concepire il rapporto tra oggetti e luce. In questa mostra, infatti, l’artista sceglie strumenti, presenti in qualsiasi negozio, attorno a cui lo spettatore può raccogliersi perché emanano una luce propria, che alimenta la mostra stessa, essendo l’unica fonte luminosa disponibile. Quello che Stucchi ci propone è un viaggio teatrale nello spazio domestico: «ci sono lavori che sono più in attesa del passaggio, altri che chiedono tempo, in una specie di monologo», dichiara l’artista, in cui l’interazione tra umano e oggetto è a tratti allegra, a tratti tragica. Ma come si manifesta, materialmente, questa pièce?

Davide Stucchi, Light Lights, Centro Pecci, Photo Andrea Rossetti

L’incontro avviene tramite contrasto, per cui oggetti che dovrebbero rappresentare i mezzi di diffusione di luce naturale, come le veneziane, irradiano luce artificiale; i paralumi, vuoti o rivestiti di foulard, sono privi di luce, ingabbiati dagli stessi fili che potrebbero fornirla, per mantenere un dialogo con gli oggetti a cui sono associati, o per formare un’oscura costellazione. «I materiali – spiega Stucchi – hanno spesso una provenienza industrializzata, economica e bassa; nell’abbinamento, contrattano la loro qualità espressiva e la loro dignità». Prova lampante di questo compromesso è, ad esempio, l’accecante luminescenza del pluriball: elemento che associamo alla mera funzionalità, acquisisce una presenza che non lo identifica più come mezzo per proteggere altri oggetti, ma ha una sua definizione, «risplendendo di una sua energia che si è guadagnato».

Gianikian Ricci Lucchi, La marcia dell’uomo, Centro Pecci. Photo Andrea Rossetti

La marcia dell’uomo e la marcia degli spettatori al Centro Pecci

Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi sono gli autori della Marcia dell’uomo, video installazione che riflette, a partire da immagini d’archivio, sui grandi rimossi della storia, tra cui, il colonialismo italiano in Africa. Yervant Gianikian ha così commentato l’esposizione al Pecci: «siamo contenti di tornare a Prato con La marcia dell’uomo che intendiamo anche come marcia degli spettatori». Il progetto, visibile fino al 14 settembre, è curato da Elena Magini. L’installazione è costituita da tre grandi schermi su cui sono proiettati un filmato dell’Ottocento, uno dei primi del Novecento e uno degli anni Sessanta. Gli artisti hanno deciso di manipolare dall’esterno i filmati, un’azione sia estetica che politica, isolandone i dettagli, utilizzando il rallenty o virandone i colori per focalizzare meglio l’attenzione su persone o oggetti che altrimenti sfuggirebbero alla vista. Il cinema e il video, infatti, sono strumenti funzionali a una narrazione d’insieme che, spesso, non dà la possibilità di riflettere sui singoli particolari, considerati circostanziali: le persone senegalesi che passano davanti al drappo bianco, nella prima proiezione, assumono così un’agency: possiamo osservare i loro movimenti e riflettere sul perché ci fosse, alla fine dell’Ottocento, un’attenzione ancora così forte alla tassonomia. Il secondo schermo, dietro al primo, come se stessimo sfogliando le pagine di un libro, ci mostra uno studio dell’altro in panni occidentali, costretto a un’identità che non gli appartiene, imposta per “educarlo” o per dimostrarne l’inferiorità, un atto di violenza. Nel terzo schermo, virato verso un magenta acceso, due donne a petto nudo affiancano un borghese occidentale in giacca e cravatta che le paga per la loro presenza. L’attenzione alle due figure femminili, in questo caso, è saturata e stressata, in quanto già l’originale si concentra ampiamente sulle due donne; come afferma Magini: «l’associazione tra corpo nero, idea dell’esotico e sua erotizzazione è un elemento che viene riconosciuto oggi nell’arte, ma quando lo hanno indagato i due autori non era così scontato» anticipando riflessioni che oggi si sono normalizzate.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui