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Rabbia, paura, tristezza, gioia, sorpresa, attesa, disgusto, accettazione: Feelings
Mostre
Simona Andrioletti, Artan (Shalsi), Jacopo Benassi, Paolo Cavinato, Fabio Dartizio, Jason Dodge, Gianni D’Urso, Sergio Lombardo, Loredana Longo, Mikayel Ohanjanyan e Hanne van der Woude: sono loro gli artisti internazionali scelti dal curatore Roberto Lacarbonara per attraversare – con la mostra Feelings – la profondità indicibile del sentire, permettendo di assumere una posizione di reciprocità, di scambio e, persino – se ancora possibile – di empatia.
«Intendere feelings è un po’ rischioso, nella mostra c’è una forte presa di posizione contro un’arte immersiva o facilmente trasferibile dal punto di vista del carattere emotivo. Quello che a me interessa – spiega il curatore – è l’aspetto affettivo, l’aspetto mentale dell’emotività. Se già le emozioni e i sentimenti hanno una loro codificazione, anche sociale, quando parliamo di affezione parliamo di qualcosa che precede i sentimenti, che ha un carattere fortemente individuale, spesso anche inconscio, che però orienta anche socialmente. In ragione di questo ho chiesto, trovando l’accordo di tutti gli artisti – di individuare un’opera che mettoesse il visitatore nella condizione di ragionare sull’affezione e sull’emotività, anche incontrando per esempio lavori molto forti».
A Mornico al Serio, nella Cascina Castello – ben nota per L’Albero degli zoccoli di Ermanno Olmi – l’interno e l’esterno, l’unità e la separazione, l’individuale e il duale sono termini che trovano declinazioni simboliche di carattere soggettivo e sociale attraverso le opere di Mikayel Ohanjanyan (Diario / Legami e Legami #35), che trasformano i legami in forze visibili e invisibili, mostrando i segni della loro presenza e talvolta le cicatrici della scomparsa, rivelando l’esigenza di unità pur ammettendo la costitutiva differenza, l’eterogeneità delle parti, persino la possibile inconciliabilità che sfocia nel conflitto. A proposito di parti, l’opera di Jason Jodge – due lampade di cui una collegata alla presa elettrica e l’altra priva di alimentazione che s’illumina di luce riflessa, specchiando e amplificando la sorgente luminosa proveniente dalla lampada antistante (N.D.) – pone l’attenzione su come «l’affetto è uno stato di relazione momentaneo o duraturo – scrive Lacarbonara nel catalogo che accompagna la mostra – nonché il passaggio delle forze o intensità da un corpo all’altro (umano, non umano)». Hanne Van Der Woude presenta invece Emmy’s World, fotografico, e sempre biografico, che nasce da una lunga frequentazione con Ben Joosten e sua moglie Emmy Eerdmans: «solo dopo un anno ho fatto la prima foto che rappresentava i sentimenti che volevo cogliere e da qui è iniziato tutto».
Spostandosi versi Torre Pallavicina, nel Palazzo Oldofredi Tadini Botti, incontriamo nelle opere di Loredana Longo (Welcome, Nice To Meet You e Tirapugni#3 Champagne) l’espressione manifesta di attitudini e gesti distruttivi, che è all’origine dell’azione artistica e ne determina gli esiti plastici. Esplosioni, combustioni, scontri e danneggiamenti costituiscono una grammatica di operazioni controllate eppure efficaci nel liberare il linguaggio represso dell’emotività profonda. Il perimetro difensivo di Welcome, per esempio, costruito con frammenti di aguzzi colli di bottiglia rimanda all’esigenza di definire i limiti della proprietà privata, respingendo possibili invasioni da parte di malintenzionati. Nasce qui un bellissimo dialogo con l’opera di Simona Andrioletti, Text me when you get home, un’installazione di dodici coperte di lana merino, posate sopra una struttura in alluminio, su compaiono alcune frasi incisive e dirette; talvolta domande che incalzano ma sembrano destinate a restare irrisolte, altre volte affermazioni perentorie e sconcertanti, tutte allusive a episodi di cronaca nera, alla salute mentale, alla violenza di genere e alle forme di discriminazione sociale.
Nella stessa dimora Gianni D’Urso evidenzia le contraddizioni e debolezze della lotta civile, le forme di violenza talvolta sterili e le armi spuntate con cui si consuma lo scontro, dando spazio all’espressione di un profondo sentimento di frustrazione e disagio sociale ma, al tempo stesso, limitandosi a gesti occasionali, caotici e disorganici. Insieme a I’ve never prayed but tonight I’m on my knees e I’m too bad to tell you – che ritrae un uomo apparentemente violento, incappucciato, nell’atto di piangere in un videoselfie riprodotto su uno smartphone con lo schermo rotto – l’opera Love di D’Urso è realizzata con alcune bottiglie, riempite di benzina, disposte a terra for- mando un cuore, alludendo a una potenziale battaglia per la strenua difesa di sentimenti oppressi o negati. Artan (Shalsi) sceglie invece un dispositivo elettronico, a cui affida la scansione del tempo definendo uno stato di allarme permanente, una condizione di perdurante eccezionalità richiamata da un rintocco grave e metallico e da una fonte luminosa: una luce rossa, segnale di pericolo imminente, compare per pochi istanti per poi dissolversi immediatamente, ogni volta annunciata dal suono sinistro. Chiude, nel Palazzo, Sergio Lombardo, con l’iconica Progetto di Morte per Avvelenamento. Ossalato di nicotina (1971), fraintesa come forma di istigazione al suicidio o all’omicidio, che vuole invece indurre alla radicale riflessione sulla possibilità di scegliere la morte e, di conseguenza, impossessarsi della vita: un flacone di nicotina grezza posto accanto a una busta sigillata, su cui si legge la scritta “Aprire questa busta dopo la morte della persona che avrà assunto il veleno”.
Raggiungendo la Chiesa di San Rocco, le opere di Jacopo Benassi il curatore le introduce ricordando il saggio di Freud del 1925, Sulla negazione: «Lei si chiederà chi possa essere la persona del sogno? Non è affatto mia madre – afferma il paziente. Allora è la madre», precisa Freud. Perché, per fare un esempio, la Serie di ritratti appesi porta alle estreme conseguenze il processo di cancellazione, presentando sospeso nel vuoto un pesante sandwich di cornici di cui si vedono solo due retri, mentre in Adolf Hitler – Museo delle cere di Londra, la trasparenza è negata da una risma di vetri che si addensa sul ritratto di un ritratto. Spostandoci invece verso la Torre di Tristano, si incontra Breath, l’istallazione di Paolo Cavinato composta da tre monoliti dotati di fonti sonore e luminose, riconduce il processo percettivo ed emotivo alla componente organica e vitale del respiro.
E poi c’è Fabio Dartizio, che in ognuna delle dimore ha apposto una targa che lascia vacillare la certezza inderogabile della parola affissa. Oltre a Set in Stone (Shadows e LiberaForever, per esempio, è contornata dal gesto delle virgolette tipografiche mimate dalle mani, aggiunge ironia e sarcasmo all’espressione; As if (dog) la stilizzazione di un cagnolino, colto nel movimento rotatorio della testa, allude a un senso di smarrimento, evidenziando l’incertezza che Feelings vive appieno, senza paura, portando con sé un continuo appello all’empatia, all’emozione diretta, all’evocazione di sentimenti veri più del vero.