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Fino al 6 aprile 2026 il MAXXI ospita Roma nel mondo, la grande mostra a cura di Ricky Burdett, urbanista inglese e docente alla London School of Economics, la cui attività di ricerca e di curatela internazionale include, tra l’altro, la direzione della Biennale di Architettura di Venezia nel 2006.

La mostra, prima incursione esplicitamente urbanistica nella programmazione del museo, è costruita come un progetto di ricerca di taglio comparativo, che mette Roma in relazione con altre diciassette metropoli globali. Il confronto non è pensato per stabilire gerarchie, ma per individuare le principali sfide con cui le grandi città si misurano oggi. Il percorso espositivo si sviluppa in tre nuclei: Confronti globali, Roma nell’immaginario del mondo e Il DNA di Roma, articolati come capitoli di una narrazione unica.

La sezione Confronti globali mette Roma in relazione con diciassette metropoli, scelte dal curatore perché incarnano, ciascuna in modo diverso, un’intensificazione delle principali questioni urbane affrontate dalla mostra. Il confronto si fonda su quattro grandi ambiti – spazio, mobilità, ambiente e società – affrontati mediante mappe, grafici, modelli, affiancati da fotografie d’autore che introducono uno sguardo sensibile sulle città osservate. Ne emerge un ritratto complesso e ambivalente della Capitale: tra le prime città per diffusione degli affitti brevi e per numero di automobili, ma anche tra le meno dense e con la maggiore quantità di verde urbano. Il confronto non produce una condanna né un’assoluzione; lascia piuttosto affiorare una condizione bifronte, che invita il visitatore e la città a misurarsi direttamente con le proprie contraddizioni.

In questo senso la mostra riesce nella difficile operazione di dare forma ai numeri, trasformandoli in un racconto spaziale coerente e leggibile. I dati non sono soluzioni, ma strumenti di orientamento, capaci di costruire una consapevolezza condivisa sulle trasformazioni in atto.

Al centro del percorso, quasi come un controcampo necessario, si colloca Roma nell’immaginario del mondo, sezione curata da Paola Viganò con Maria Medushevskaya, che introduce un cambio di registro netto. Qui il regime dei dati viene sospeso a favore di opere, testi e fotografie che raccontano Roma come una costellazione di immaginari stratificati; da Sigmund Freud a Giulio Paolini, fino alle riflessioni sul genius loci di Christian Norberg-Schulz. È qui che la città, pur faticando a emergere dai confronti quantitativi, riafferma la propria forza nella sfera dell’immaginario, come uno strato attivo della città, capace di incidere sulla sua forma e sulla sua percezione. Infatti la sezione si chiude con la tavola di Robert Venturi per Roma interrotta (1978), che restituisce l’idea di una città costruita per frammenti e sovrapposizioni.

La mostra si conclude con Il DNA di Roma, dominata dal monumentale modello fisico dell’intero Comune in scala 1:7500. Il plastico (ovviamente) in terracotta, di 7×7 metri realizzato da Marco Garofalo con progetto visivo di ULTRA, è concepito come superficie di proiezione per dati e mappe, sintetizza efficacemente i contenuti del percorso, rendendo leggibili fenomeni complessi direttamente sull’impronta della città.

A fare da ideale contrappunto a Roma nel mondo è la mostra-appendice ospitata al Centro Archivi MAXXI, dedicata a Luigi Pellegrin e curata da Sergio Bianchi e Angela Parente. I disegni visionari dell’architetto, che già negli anni Sessanta sperimentava edifici sollevati dal suolo per favorire la coesistenza tra specie, introducono una dimensione progettuale e anticipatrice che dialoga silenziosamente con la mole di dati e grafici della mostra principale. In questo scarto tra analisi e visione si apre forse lo spazio più fertile per pensare il futuro della città.












