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Scultura anti-monumentale: a Milano va in scena il “colloquio diabolico” di Consagra
Mostre
Cosa accade quando la scultura rinuncia alla sua tridimensionalità per diventare immagine frontale, quasi pittorica? La frontalità diventa allora rifiuto del centro autoritario. La scultura si trasforma in dispositivo critico. L’arte si fa gesto politico. Con Pietro Consagra. Colloquio diabolico, mostra curata da Alberto Salvadori in collaborazione con l’Archivio Pietro Consagra, presso la Cortesi Gallery di Milano (fino al 27 giugno 2025), il pensiero dell’artista siciliano si riaccende, vivo, necessario, urgente.

Al centro del percorso c’è Colloquio diabolico, opera del 1960 in legno bruciato e bronzo, presentata alla Biennale di Venezia nello stesso anno, dove Consagra ricevette il Premio Internazionale per la Scultura. Bruciato e inciso, innestato e fuso, il pezzo si impone come una sintesi tra tensione plastica e visione etica. Il fuoco, dichiarava l’artista, era per lui «lo strumento più aggressivo, ma anche il più puro. Bruciare è come disegnare con la necessità». Non a caso, il colloquio non è solo una forma scultorea, ma un modo di entrare in relazione: un invito a un confronto diretto, quasi faccia a faccia.

Un’opera che incarna perfettamente il pensiero dell’artista, radicato in una pratica che era insieme formale e politica. Membro fondatore del Gruppo Forma 1 e figura di punta dell’astrattismo italiano del dopoguerra, Consagra ha portato avanti un’idea di arte moderna, astratta e impegnata, alla ricerca di un linguaggio capace di restituire — attraverso la materia — il ritmo, le contraddizioni e le urgenze della contemporaneità.
Attorno a questa creazione cardine si sviluppa un racconto che attraversa materiali diversi, linguaggi plurali e registri espressivi molteplici. Dai Bitumi, dipinti su faesite che traducono in pittura le fasi progettuali delle sue sculture, al Colloquio in marmo bianco e bronzo, fino al recupero del celebre Colloquio spoletino (conosciuto anche come Racconto del demonio), realizzato nel 1962 per la mostra Sculture nella città a Spoleto, dove Consagra si misura con la dimensione pubblica della scultura, sperimentando nuove forme tra ferro sospeso e suggestioni medievali, in dialogo con lo spazio urbano e con la storia.

Più che una retrospettiva, quella della Cortesi è una mostra manifesto. Manifesta la coerenza profonda di un artista che ha saputo rinnovare il linguaggio plastico attraverso un gesto di sottrazione, critica e visione. «Scoprivo che più della scultura per me era primaria l’uscita dal centro: l’ubicazione come significato», scriveva in La città frontale (1969). E ancora: «La tridimensionalità è autoritaria. Io cercavo un’arte aperta, che guardasse l’uomo da pari a pari».

La sua poetica rompe con la tradizione scultorea classica: non più opere da ammirare girandoci attorno, ma superfici da “incontrare” frontalmente, come se fossero quadri scolpiti. È questa la radice del suo pensiero “frontalista”: costruire un’opera che rinuncia alla centralità, al potere dell’oggetto chiuso e autoreferenziale, per farsi spazio dialogico, schermo sottile, superficie attiva. Le immagini d’archivio, le fotografie di Mulas e il documentario della Fondazione Ansaldo, che restituisce l’esperienza spoletina del 1962, non fanno solo da supporto alla mostra, ma ne potenziano il messaggio: riscoprire Consagra non solo come scultore d’avanguardia, ma come un vero e proprio pensatore dello spazio profondamente radicato nel suo tempo.

Colloquio diabolico offre l’occasione di immergersi nella profonda poetica civile e nell’approccio intellettuale che hanno definito il lavoro di Consagra, evidenziando la sua capacità di sfidare le convenzioni artistiche e di reinventare la scultura, non più un centro spaziale, ma uno schermo, una quinta, che entra in dialogo paritario con l’osservatore.