-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
La Candy Snake Gallery di Milano inaugura domani, 25 giugno, Goffamente Beati, mostra personale di Stef Fusani, artista e designer milanese trapiantato a Madrid, la cui pratica si muove tra arte visiva, scultura e design sperimentale. Il progetto, accompagnato da un testo critico di Sofia Gotti, prende il titolo da una poesia di Sandro Penna e si snoda come una suite visiva ispirata alle strutture compositive di Igor Stravinsky: equilibrio precario tra prevedibilità e sorpresa, ordine e scarto.
Nato a Milano nel 1989, Fusani si è formato nel campo del design e ha conseguito un master in Geo-Design presso la Design Academy di Eindhoven. Attualmente è dottorando in Belle Arti con specializzazione in scultura presso l’Università Complutense di Madrid. La sua ricerca si concentra sull’uso di biomateriali in ambito scultoreo e sui concetti di copia, mimesi e standardizzazione nei processi plastici contemporanei.
Ha esposto in istituzioni come il MAMbo di Bologna, il MAAT di Lisbona e il MAXXI di Roma, oltre che ingallerie e spazi indipendenti a Madrid, Milano, Londra, Berlino, New York e Miami. Fondatore dello studio sperimentale STANDARD404, ha lavorato come curatore indipendente, co-fondato il collettivo Molto Molto Fuori e attualmente fa parte di Cinema Parentesi, progetto curatoriale dedicato a video essay e installazioni audiovisive.
La mostra alla Candy Snake Gallery, visitabile fino al 6 settembre 2025, si articola in un allestimento tanto rigoroso quanto instabile. Fusani mette in scena una tensione plastica fondata sulla ripetizione e la discontinuità: pattern familiari si fratturano in cambi di scala, torsioni, deviazioni. È una grammatica della forma che non si lascia addomesticare. Gli oggetti in mostra, copie riconoscibili ma svuotate di funzione, rinviano a utensili da lavoro, componenti industriali, elementi edilizi, ma sono ricreati artigianalmente e dislocati in un ordine che ne stravolge il senso originario.
La copia, per Fusani, diventa atto di sabotaggio estetico: riproducendo l’oggetto lo libera dalla logica del consumo e dell’originalità, trasformandolo in puro vettore di possibilità. Ne scaturisce una narrazione non lineare, fatta di frammenti e gesti interrotti, dove il corpo, pur assente, è costantemente evocato come livello di interfaccia tra la materia e la percezione.