28 dicembre 2020

Colonialismo e collezioni: al British Museum, “Empire and Collecting”

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Con il progetto espositivo "Empire and Collecting", il British Museum prova a chiarire la storia di alcune opere della sua collezione, tralasciando però alcuni aspetti cruciali

Red granite statue of lion of Amenhotep III, found in Jebel Barkal (Sudan)

Ideologia, politica e colonialismo sono fattori che, da sempre, riguardano la storia e la gestione di molti musei occidentali. Il movimento Black Lives Matter ha avuto il merito – tra gli altri – di diffondere la questione anche al di là degli ambienti specializzati, accendendo la discussione sul valore dei monumenti e accusando pubblicamente le istituzioni di aver saccheggiato manufatti e reperti per alimentare le proprie collezioni. Per questo, il British Museum ha deciso di promuovere la mostra “Empire and Collecting”, forse una risposta al provocatorio cartello comparso in Gran Bretagna durante una manifestazione con la scritta “Non ti piacciono i saccheggi? Odierai il British Museum”.

Ma come si può parlare onestamente di un passato che non ci piace? Istituzioni e centri culturali inglesi hanno mostrato una simbolica presa di distanza nei confronti dell’epoca imperiale e della terribile eredità lasciata alle generazioni successive. Con la mostra “Empire and Collecting” il British Museum vuole ritracciare la trafila delle opere che fanno parte della propria collezione. I presupposti e le intenzioni del museo londinese che, ricordiamo, ha in collezione i marmi del Partenone, sembrerebbero quindi nobili. Peccato che, pur partendo da buone premesse, l’esposizione cela tratti piuttosto controversi.

Black-figured pottery amphora depicting Achilles slaying Penthesilea. Made by Exekias, Athens, c.540–⁠530 BC

L’operazione di rielaborazione dei testi delle didascalie delle 15 opere selezionate sembra essere un passo apprezzabile ma insufficiente, soprattutto agli occhi di un pubblico attento e con occhio critico e sensibile. Contestualizzare questi manufatti implica riflettere e discutere su cosa implichi il trasferimento di opere d’arte e sulla costrizione implicita riguardo alle transazioni tra il colonizzatore e il colonizzato, al di là del semplice racconto della provenienza degli oggetti e delle trafile degli spostamenti, ignorando il contesto generale di sfruttamento e violenza di cui l’opera d’arte è testimone indiretto.

D’altronde portare veramente alla luce gli eventi sociali richiederebbe una vera e propria amissione di brutalità che mal si addice a qualsiasi popolo, figuriamoci se poi a farlo è una delle principali istituzioni culturali britanniche. Allo stato attuale, quindi, la riformulazione delle nuove targhe espositive preclude qualsiasi comprensione da parte del pubblico sulla vera brutalità del colonialismo.

Kwakwaka’wakw transformation mask made from wood and leather, Canada, c.1910

Tra le altre cose, il British Museum ha promesso che saranno aggiunti ulteriori oggetti alla mostra. Sarebbe però inutile se continua a mancare la volontà di impegnarsi pienamente nell’esplicitare la storia culturale e sociale di cui ogni oggetto artistico è portavoce. Speriamo che, con il tempo, il British Musem – e tutti gli altri musei – aggiusti il tiro. Per il momento, sembra di essere di fronte all’ennesimo gesto ipocrita, che allontana il museo dall’aderenza storica e sociale che dovrebbe invece custodire.

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