17 settembre 2021

A Roma apre SIC 12 Art Studio, con “A Due. L’Art Brut nella collezione Giacosa-Ferraiuolo”

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La mostra “A Due. L’Art Brut nella collezione Giacosa-Ferraiuolo” inaugura il nuovo spazio espositivo SIC 12 Art, a Roma, un progetto di Gustavo Giacosa e Fausto Ferraiuolo. Abbiamo parlato con loro di SIC 12 Art, della loro collezione e di Art Brut oggi

© Collezione Giacosa Ferraiuolo

Sabato 25 settembre, con l’apertura della mostra “A Due. L’Art Brut nella collezione Giacosa-Ferraiuolo” (fino al 30 gennaio 2022) si inaugura SIC 12 Art Studio, un nuovo spazio espositivo a Roma in Via Francesco Negri 65.

I volti di questo nuovo progetto sono Gustavo Giacosa, attore, regista e curatore d’arte e Fausto Ferraiuolo, pianista e compositore. La loro collezione d’arte, intitolata Puentes,  riprende il simbolismo sempre attuale del ponte. 

Abbiamo chiesto loro come si traduca, visivamente, questa figura all’interno della collezione, «perché sono tanti i ponti che attraversiamo: un primo è dato dalla porosità, la contaminazione esistente tra il lavoro di certi artisti visivi e le nostre creazioni teatrali/musicali. Un altro è quello tra i diversi artisti che la integrano: alcuni di loro hanno scelto di diventare artisti formandosi nella “norma culturale”, altri refrattari a modelli preesistenti, creano solo per se stessi, diventando artisti in maniera inconsapevole o involontaria, gli artisti della cosiddetta Art Brut. Infine ponti linguistici tra i diversi idiomi in cui comunichiamo: l’italiano, il francese e lo spagnolo, che corrispondono rispettivamente ai nostri luoghi d’origine, di appartenenza affettiva, di formazione e lavoro».

Con questa premessa, Gustavo e Fausto ci hanno raccontato il progetto. 

© Collezione Giacosa Ferraiuolo
“A Due. L’Art Brut nella collezione” è il titolo della mostra. Che valore attribuite, voi e gli artisti che scegliete, al numero due? 

«Come coppia di curatori il due evoca in noi non soltanto aspetti opposti o complementari di una stessa realtà, quanto la tensione attiva verso l’Altro. Il desiderio come medium che ci conduce all’Altro. Anche qui ritroviamo l’immagine del ponte come vincolo artificioso tra due rive, la passerella sulla quale si può transitare in entrambe le direzioni.
Per questo gli artisti che presentiamo sono riuniti attorno a tre nuclei tematici: il desiderio dell’altro ovvero l’evocazione di un altro diverso da sé, il rapporto amoroso sia esso sublimato o negato. Il desiderio di sé, ovvero il confronto con se stessi e con la propria immagine, lo specchio e i suoi fantasmi. E infine il desiderio di diventare un altro, la metamorfosi.
Per i creatori d’Art Brut le rappresentazioni della dualità fanno spesso eco a una frattura interna, una frattura del mondo che li costituisce. Questa scissione originale viene superata attraverso la costruzione di una mitologia personale nella quale il “due” racchiude l’utopia di un mondo perfetto. Il doppio nell’Art Brut rinvia inoltre a una forma di verticalità che ricongiunge l’autore a un’entità da lui sentita superiore, in un rapporto di intimità esclusiva. Talvolta appare la figura di un alter ego che concentra tutte le ossessioni dell’artista e gli “ordina” di eseguire l’opera».

Cosa significa Art Brut oggi? Come si inserisce nel sistema contemporaneo dell’arte? 

«Il discorso è piuttosto complesso e analizzabile a partire da differenti punti di vista. Ieri come oggi Art Brut è sinonimo di estraneità al Sistema dell’Arte e alla Norma Culturale. Benché creata nel 1945 da Jean Dubuffet, questa nozione non perde attualità. Questi “artisti” (Dubuffet preferisce il termine autore) non si considerano tali e “progettano” una mitologia a loro uso esclusivo, e con il loro gesto danno vita una ribellione creativa che non imita, non scimmiotta, non cerca niente, né successo, né riconoscimento e soprattutto non vuole vendere niente. 

Perciò l’Art Brut è una forza, una potenza controcorrente. Non s’inserisce deliberatamente in nessun sistema, resta eccentrico, satellitare. Tuttavia questo non vuol dire che l’Art Brut non integri la storia dell’arte, soprattutto a partire dalle sue recenti e più attente riscritture. 

La donazione della più vasta collezione privata di Art Brut (la Collezione Bruno Decharme) al Centre Pompidou e l’apertura di una sala permanente dedicata ne è un segno inequivocabile. Si dice che anche il MoMA vada nella stessa direzione. Siamo davanti a un cambiamento epocale: se fino a qualche tempo fa l’Art Brut era presente quasi esclusivamente in collezioni private e musei specifici (Collection de l’Art Brut de Losanna, LaM di Villeneuve d’Ascq), oggi si osserva un cambio di percezione che porta all’inclusione di questo “anti-movimento”, di questo “anti-stile”, all’interno del grande e non lineare racconto della storia dell’arte. Anche la curatela d’arte non si sottrae a questi paradigmi, e non sorprende più di ritrovare la presenza di artisti brut all’interno di collettive di arte contemporanea, né la filiazione che molti artisti contemporanei dichiarano verso l’Art Brut (basti pensare alla coppia Boltanski – Messager). 

Il mercato dell’Art Brut poi, che è tutto un altro capitolo, con le problematiche etiche e giuridiche che esso comporta, è in grande fermento. Importanti collezionisti delusi e stanchi dall’Elogio del Vuoto di una certa arte contemporanea, ritrovano nell’Art Brut i valori di immediatezza comunicativa, di sensibilità e di poesia che da tempo cercavano. Nelle aste internazionali le quotazioni degli artisti storici dell’Art Brut (come Henry Darger o Aloïse Corbaz) continuano a salire. È questa una delle nuove frontiere a cui l’onnivoro mercato dell’arte si estende».  

Carlo Zinelli © Collezione Giacosa Ferraiuolo
Come è cambiata l’Art Brut negli anni, dal 1945, quando Dubuffet ne coniò la nozione, a oggi? Cosa la rende attuale? 

Il primo nucleo di opere d’Art Brut raccolto da Dubuffet e dai membri della famosa Compagnia dell’Art Brut faceva eco a un periodo storico caratterizzato dalla rigidità delle cosiddette istituzioni totali, dagli effetti della terza rivoluzione industriale, e dalle condizioni di analfabetismo e d’isolamento geografico in cui si trovavano grandi fasce della popolazione europea. In termini di risultato questo si traduce in opere di piccole dimensioni contraddistinte da limitati mezzi espressivi, realizzate su supporti di fortuna. Nei manicomi l’esplosione psicotica non era ancora contenuta dai neurolettici e gli autori che Dubuffet incontra esplorano “l’altro lato dello specchio”, in una dolorosa ma totale libertà 

All’epoca un’altra fonte di creatività brut era il lavoro grafico dei medium visionari. Si raccolgono documenti dove la scrittura automatica, la transverbale, la autoipnosi richiama l’influsso e i contatti presunti con gli spiriti. Un altro settore che attira l’attenzione di Dubuffet è quello dei personaggi eccentrici, marginali o asociali come il poeta illetterato Scottie Wilson (1888- 1972) o l’incasellabile Gaston Chaissac (1910 – 1964).

L’Art Brut dei giorni nostri utilizza gli strumenti di un mondo contemporaneo che cambia velocemente ma stravolgendone i codici. Così Enzo Schott utilizza diversi software per creare una realtà parallela in 3D dove sublima la sua fobia delle inondazioni in narrazioni video in cui, solo superstite, riesce a salvarsi. Ancora, Melina Riccio poetessa errante che, da Palermo a Milano, rovescia i codici della street art e dell’arte tessile, donandoci murales realizzati dipingendo con le dita e cucendo le parole dei suoi messaggi pacifisti sugli abiti che indossa. Gli artisti dell’art brut attuale continuano a essere schivi, inafferrabili e a trovarsi là dove non si pronuncia la parola ARTE».

Chi sono gli artisti in mostra e che messaggio ci fanno pervenire ? 

«In “A DUE” presentiamo una ventina di nomi tra i più rappresentativi della nostra collezione: da artisti storici come Aloïse Corbaz, Janko Domsic e Carlo Zinelli a scoperte più recenti quali Franco Bellucci, Éric Derkenne e Giovanni Galli. 

Messaggio? Questi artisti non vogliono trasmetterci nessun messaggio, lo spettatore è davanti a un corpo a corpo con le loro opere. Ognuna di queste è un vero pugno allo stomaco che smonta le nostre certezze riguardanti il mondo dell’arte. Basti pensare alla gratuità nella quale concepiscono il loro gesto artistico e alla quale noi non riconosciamo più un valore». 

Che progetti avete per il futuro di SIC 12?

«Questa prima mostra concretizza la vocazione della collezione Giacosa-Ferraiuolo: quella di offrirsi al pubblico, di essere condivisa. Perciò “SIC12 Art Studio” ambisce a diventare uno stabile punto di incontro per la diffusione e lo studio dell’Art Brut e dei possibili dialoghi con l’arte contemporanea attraverso la costante proposizione di mostre, performances, residenze di artisti e altri eventi collaterali multidisciplinari, sui quali già stiamo lavorando.

Dopo dieci anni vissuti all’estero e dopo aver curato numerose mostre sull’Art Brut in Francia e in altri paesi francofoni (Collection de l’Art Brut de Losana, Halle Saint Pierre di Parigi, Musée d’Art brut, d’art moderne et d’art contemporain LaM di Villeneuve d’Ascq, Trinkhall musée di Liegi) accettiamo la sfida di trasferirci di nuovo in Italia per sviluppare questo progetto che ci sta tanto a cuore».  

Franco Bellucci © Collezione Giacosa Ferraiuolo

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