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Profondità, bidimensionalità, trasparenza di una solidità liquida, ambigua, affascinate come la cera, tra i materiali dalle infinite variazioni espressive utilizzato da Elena Modorati (1969), per dare forma e sostanza a un invisibile sommerso, un’“archeologa” della persistenza di una memoria stratificata e trasfigurata nel tempo non lineare dell’arte. Questi e altri concetti metafisici sull’Essere e il Tempo in generale sono il contenuto della sua mostra personale, intitolata “Resti”, a cura di Sabino Maria Frassà, nell’elegante spazio milanese di Gaggenau DesignElementi Hub, promossa in collaborazione con Cramum, nell’ambito del ciclo “On-Air”, all’insegna di possibili intrecci, coesistenze tra arte, design, storia e sperimentazione di nuove forme estetiche.
Potrete seguire il vernissage della mostra in live streaming oggi alle 18.30 a questo link.
Elena Modorati, artista concettuale post-poverista, espone in questa occasione 15 opere recenti (2019-2020), dai noti Rocchi, di cera, gesso, pietra all’Altare, di cera e pietra nera, fino al ciclo di opere inedite dei Calendari, fragilissime “pagine” levigate, translucide di cera sospesa al filo del tempo di un diario visivo ed emotivo dei suoi pensieri, frasi, appunti di riflessioni mentali scritti su carta, come geroglifici di un alfabeto ermetico sospeso tra storia e memoria. Seducono i suoi Capricci, frammenti di reperti archeologici di pura invenzione, più minimalisti e astratti di quelli di Giovanni Battista Piranesi, sotto teca, che svelano il suo sguardo filosofico sul Tempo effimero dell’Arte, in cui i materiali assumono un valore plastico e poetico di un “futuro anteriore”, direbbe Jacques Lacan.
Quali forme del desiderio resistenti al trascorre del tempo sono possibili nella nostra epoca del “presentismo”, dell’esserci “qui e ora” esteso all’infinito nella rete? L’autrice non risponde, ma nel suo lavoro veicola sempre una ricerca di trascendenza, verso l’invisibile, genera nuove possibilità di riflessione che si fa materia del visibile attraverso la cera, la carta di riso, di seta o cerata, il gesso e anche la pietra e in Omphalos, una scultura freudiana, razionalmente erotica, anche con l’ottone.
Con leggerezza Modorati, laureata in filosofia, diversamente dall’estetica hegeliana che concepisce il concetto come compimento di ciò che nell’arte resta ancora solo abbozzato, solidifica il “sentire” di un tempo soggettivo teso all’infinito, concretizzato nel presente destinato a durare nel tempo, in cui i materiali sono l’essenza dell’opera. Sul filo del mostrare e celare, l’autrice galleggia nell’ambiguità su un mare tranquillo di un silenzioso narrare attraverso opere di tensione sacrale, filosofiche ed emotive, rielaborando in maniera originale la tecnica antica dell’encausto (termine che deriva dal latino e significa “mettere a fuoco”) non tanto per conservare o valorizzare la pittura, ma per solidificare la sua naturale componente metamorfica e leggera come l’aria.
La cera nel Medioevo era diffusa anche in ambito funerario o votivo, da Medardo Rosso a Marisa Merz in poi, questo materiale così duttile, vulnerabile e sfuggente coglie il divenire del tempo; per Modorati è già scultura, capace di dare forma al frammento della memoria di un gesto, quale “resto” di un azione pensata, “marmorizzato” in un’opera carica di significati, incluso l’assoluta vulnerabilità dell’esistenza.