07 gennaio 2019

I pianoforti con una sola nota di Mazzonelli

 

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Cinque giorni per immergersi in “Parallax@elfo”, una nuova mostra che grazie alle sperimentazioni di Jacopo Mazzonelli e Matteo Franceschini fonde il linguaggio visivo e quello musicale, questa volta nello Spazio Atelier del Teatro Elfo Puccini, nel cuore di Milano. “Parallax@elfo” è la settima mostra del progetto Art@Elfo di Flavio Arensi e Ferdinando Bruni, una collaborazione tra Meetmuseum e Teatro Elfo Puccini. 
Abbiamo posto alcune domande agli artisti e ad Arensi, che hanno risposto assieme, in anteprima.
Di che tipo di mostra si tratta? Che rapporto instaura con lo spazio?  
«La mostra “Parallax@elfo” propone un confronto tra due diversi linguaggi artistici, quello visivo e musicale, all’interno di un progetto di ricerca comune, che gli artisti hanno sviluppato nel corso degli ultimi anni. Il titolo, preso in prestito dall’astronomia, si riferisce al valore dell’angolo di spostamento tra due osservatori che guardano uno stesso oggetto, posti ad una certa distanza tra loro. Il volume architettonico dello Spazio Atelier del Teatro dell’Elfo dal punto di vista allestitivo viene inteso in questa esposizione come una parallasse, suddiviso in due parti geometricamente simmetriche e speculari, dominate la prima dall’opera “ABCDEFG” di Jacopo Mazzonelli, la seconda dall’installazione audio multicanale “Heptagon” di Matteo Franceschini. Lo spazio diviene così un contenitore del visibile e dell’invisibile, all’interno del quale il pubblico è tenuto a compiere un percorso di natura poetica e percettiva. L’ambiguità e il confine sono elementi chiave di una ricerca all’interno della quale la domanda che si pone è relativa al recupero di una visione del suono o, viceversa, ad un ascolto dell’opera d’arte. In “ABCDEFG” (2015/16, collezione privata) di Jacopo Mazzonelli sette pianoforti del secolo scorso sono riuniti e disposti nello spazio. Ogni pianoforte è stato smontato e rimontato perché suoni una sola delle sette note della scala diatonica. La riduzione e la concentrazione a una sola nota rappresenta il tentativo di identificazione e nomenclatura di tali piani: la scomposizione portata all’estremo richiama direttamente la volontà umana di dividere e raggiungere l’atomo – la particella idealmente indivisibile – ma si connota anche come una chiara presa di posizione in una società in cui l’essenziale sfugge facilmente alla vista e la distrazione rende pressoché impossibile una percezione focalizzata. I pianoforti selezionati sono a muro, di tipo verticale: la loro tavola armonica è disposta in tale direzione, così come anche le corde, quasi a replicare la struttura umana. Nell’opera il confine tra strumento musicale e opera d’arte subisce un’alterazione che riporta immediatamente all’antica pratica della decorazione degli strumenti, e dove il continuo combinarsi tra la dimensione verticale della struttura del pianoforte a muro e quella orizzontale dell’estensione dei tasti consente una mappatura delle infinite possibilità di incrocio tra dimensione artistica e musicale dell’opera. 
In “Heptagon” (2019) Matteo Franceschini attiva una serie di processi di elaborazione dei suoni naturali degli strumenti in mostra e al contempo materializza e rielabora i contenuti sonori della performance “The Act of Touch” (2018). Sette diffusori posti verticalmente sopra lo spettatore agiscono come una pioggia sonora, ricalcando specularmente ognuno la disposizione delle sculture. Tale complessa spazializzazione opera come un emisfero separato: autonomo nella forma ma interdipendente nella sostanza». 
Come è nata la collaborazione tra Mazzonelli e Franceschini? 
«Jacopo Mazzonelli (artista) e Matteo Franceschini (compositore) collaborano per la prima volta nel 2017 in occasione della performance “ABCDEFG [a Tuned Sculpture]” di Matteo Franceschini, un progetto per due esecutori e live electronics concepito sull’opera “ABCDEFG” dello stesso Mazzonelli, presentato pubblicamente in occasione dell’opening della mostra “To be played at maximum volume” a cura di Margherita de Pilati e Luigi Fassi presso la Galleria Civica – MART di Trento. Successivamente la performance va in scena a Bologna, in occasione di Art City Night, presso il Museo Internazionale e Biblioteca della Musica di Bologna per la mostra “Sonografia” a cura di Chiara Ianeselli. Da quel momento, Mazzonelli e Franceschini intensificano la ricerca comune rielaborando il progetto performativo ed arricchendolo di nuovi elementi. Nasce così nel 2018 “The Act of Touch”, una performance basata come la precedente sull’impiego dei sette pianoforti, ma caratterizzata da un approccio strumentale multiforme e innovativo e dall’alto contenuto tecnologico. La performance viene presentata per la prima volta nel Novembre 2018 presso “Le Murate PAC – Progetti Arte Contemporanea” di Firenze, all’interno del “Festival GAMO”. Un nuovo filone di ricerca si apre con la mostra “Parallax”, dove è assente l’elemento performativo dal vivo, che viene qui piuttosto ripensato, riformulato e riconsegnato in una nuova veste. Franceschini e Mazzonelli lavorano negli ultimi anni sulla scelta dei materiali e sulla costruzione degli strumenti musicali, attraverso l’archiviazione e la successiva rielaborazione di ogni suono che incontrano durante il processo di trasformazione. Tale ricerca si configura come il punto di partenza per una riflessione sulla natura stessa del rapporto tra suono e materia. Con lo pseudonimo di “Tovel”, Matteo Franceschini rilancia la figura dell’autore/interprete con l’obiettivo di sperimentare un nuovo sound “dall’interno”; il diretto coinvolgimento come esecutore e l’inevitabile lavoro a stretto contatto con musicisti, performers e artisti. Jacopo Mazzonelli realizza sculture, assemblaggi e installazioni che indagano l’ampia zona di confine tra arti visive e musica. La sua ricerca si avvale di tecniche e metodologie mutuate da diverse discipline. Lavorando sull’interpretazione e sulla visualizzazione della dimensione sonora, l’artista si confronta con strumenti che destruttura, trasforma e ricompone. Al centro del suo interesse è il “gesto musicale”, inteso come ciò che sottende l’esecuzione e non il suono prodotto: le opere, infatti, parlano spesso di musica senza necessariamente crearla».
Che progetto è art@elfo? Da dove nasce? Che progetti ci saranno in futuro?
«Art@elfo nasce da un’idea condivisa tra Flavio Arensi e Ferdinando Bruni. La collaborazione fra Meetmuseum e il teatro è nata qualche anno fa per delle videoguide dedicate a una mostra alle Gallerie d’Italia, dove gli attori dell’Elfo raccontavano la storia di alcune opere. Si è poi sviluppata più concretamente con l’elaborazione del nuovo logo del teatro realizzato da Mimmo Paladino, che ha anche firmato il primo manifesto della stagione, cui poi sono seguiti quelli elaborati da Antony Gormley e Kiki Smith (l’iniziativa è poi stata maldestramente copiata da altri teatri milanesi). È quindi iniziata una serie di mostre quindicinali allestite nello spazio del sottopalco. In questi due anni sono stati già realizzato sei interventi, sempre in forma di dialogo fra due artisti, Bertozzi&Casoni e Angelo Filomeno, Pietro Masturzo e Roberto Fanari, Massimiliano Pelletti e Aldo Nove, Marco Fantini e Augusto Perez, Luca Pozzi e Mauro Staccioli, Ferdinando Bruni e Anna Caruso. Sono già in preparazione le prossime mostre, che sono sempre delle piccole incursioni degli artisti nel mondo del teatro e in programma c’è un appuntamento con Antonio Marras e Maurizio Cannavacciuolo». (Silvia Conta)
Jacopo Mazzonelli, Matteo Franceschini 
A cura di Flavio Arensi
8 Gennaio – 13 Gennaio 2019
Teatro dell’Elfo, Spazio Atelier, Milano
Opening: 8 Gennaio h18.30
Orari: La mostra è visitabile nei giorni di spettacolo a partire da un’ora prima dell’inizio.

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