06 luglio 2017

La musica della storia. Vista da chi resta

 
Un cortocircuito percettivo quello che Gregorio Samsa mette in scena all'Auditorium Parco della Musica, dove vista, memoria e udito sono intrecciati in un tentativo di decifrazione...

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La musica per l’arte o l’arte per la musica? Diciamo che nel programma dell’Auditorium di Roma le cose sono legate inscindibilmente, e in occasione del programma periodico “One space/ One Sound” anche stavolta il visivo sarà unito alle note, scardinando di nuovo le due categorie che – ad ogni modo – sembrano nonostante tutto resistere nella percezione classica delle discipline. 
Ad entrare oggi ad AuditoriumArte sono l’entità Gregorio Samsa (dire “duo” è un po’ riduttivo), con un intervento (perché anche quando si parla di arte & musica definire l’oggetto “installazione” è un po’ riduttivo) intitolato The sound & The story, a cura di Anna Cestelli Guidi, seconda parte di un ciclo che vuole esplorare il tema del corso e dei ricorsi storici della violenza perpetrata dalle ambizioni di leader politici e dittatori.
E come da propria tradizione, Gregorio Samsa usa come materiale per il proprio lavoro una serie di elementi reali che però vengono trasformati seguendo non solo un’impronta narrativa data come autentica, ma mischiando le carte con la finzione, con la dissimulazione. Il punto di partenza, stavolta, è la pubblicità – trovata in rete – di un’azienda americana produttrice di vinili, del 1957. Tramite la manipolazione del video per simulare la realizzazione del 33 giri di Gregorio Samsa, e un processo di spersonalizzazione dell’immagine che viene trasformata in icona geometrica – elemento che rimanda diversi oggetti presenti in scena, tra cui la stessa copertina, il tappeto kilim, la statua di Nerone e un giradischi – la percezione su quel che si vede, che si sente, e che è in relazione con lo spazio, stavolta appare falsata o, quantomeno, di difficile comprensione se non a livello puramente superficiale. 
D’altronde i “Gregorio”, con le mistificazioni ci hanno abituato e tra tutti basta ricordare l’alter ego dell’artista, Eric, messo in scena anche al Cinema America di Roma nel 2013. Qui, la sua figura, non solo interpretava sette dipinti, ma stava seduto su un vuoto de Dedomicinisiana memoria e si rifletteva, mascherato da schermidore in uno specchio, mentre in una vetrina a pochi passi un anonimo artista cinese, nominato “Il Sembiante” era ripreso nell’atto del dipingere i ritratti di Eric. Una sorta di ectoplasma, che non poteva essere percepito se non nella sua rappresentazione. Un po’ come della musica del potere e della sua illusione, colonna sonora che già al momento dell’incisione sembra divenire traccia mortifera del passato. Colonna sonora di una storia soggetta alla visione di chi resta. (MB)

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