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Mai come in questi ultimi tempi l’Africa sembra essere sugli scudi. Passata per fiere internazionali che da qualche anno sono parte delle grandi settimane dell’arte a Londra o New York, come 1:54, l’attenzione dopo il Medio Oriente e l’India e – prima – per Cina e Sudamerica, sembra essersi posata proprio sul Continente nero, misterioso e certamente di non facile comprensione. E così, dopo “Il Cacciatore Bianco” ai Frigoriferi Milanesi, è di nuovo Milano ad ospitare un nuovo sguardo su questo universo: ecco “Africa. Raccontare un mondo”, al PAC, sotto la curatela di Adelina Von Furstenberg e Ginevra Bria (per la parte dedicata ai video e alle performance).
In scena 33 artisti di diversi generazioni, alcuni decisamente poco conosciuti al pubblico italiano, se si escludono i nomi di Yinka Shonibare MBE, del malese Malick Sidibé o del camerunense Barthélémy Toguo.
Per risolvere l’enigma di un Paese in bilico tra tensione all’occidentalismo e dalle tradizioni fortissime; per cercare di chiarire l’arcano che pone la vita dei Paesi del centrafrica tra la vecchia (e attuale) storia del post-colonialismo e delle migrazioni di ieri e oggi. Perché, come spiegano le curatrici, “L’arte africana contemporanea pone questioni essenziali, politiche, economiche, religiose e di genere che investono il futuro di uno fra i continenti più complessi del nostro pianeta”.
La lente d’indagine, stavolta, sarà orientata a sud del deserto del Sahara: dagli artisti protagonisti del post-indipendenza, alle forme più vicine all’introspezione identitaria, fino all’area più femminile che tocca il corpo come dispositivo “sociale” e identitario – come negli scatti dai Zanele Muholi, e le politiche della distanza, toccando idelmente – ma nemmeno troppo – stati come il Benin, il Madagascar, il Senegal, lo Zimbabwe, il Sud Africa, la Nigeria o il Congo di un altro grandissimo: Chéri Samba. Buone scoperte, prima ancora che buon viaggio! Forse per imparare, anche, a sentire un poco più vicini i drammi che, nella stessa Milano, avvolgono l’Africa in versione Paese dei nuovi “profughi metropolitani”, celando nature e alimentando chiusure.