13 ottobre 2021

‘Nulla è perduto. Arte e materia in trasformazione’ alla GAMeC, Bergamo

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Dal 15 ottobre alla GAMeC il secondo capitolo della "Trilogia della Materia", un progetto espositivo pluriennale inaugurato nell’ottobre 2018. Ne abbiamo parlato con Lorenzo Giusti, Direttore della GAMeC

Man Ray, Elevage de poussière (Dast Breeding),1920-1970 ca. Stampa alla gelatina d’argento su carta, 24 x 30 cm. Collezione privata, courtesy Fondazione Marconi, Milano © Man Ray, by SIAE 2021

Dal 15 ottobre, alla GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo il pubblico potrà immergersi nella mostra “Nulla è perduto. Arte e materia in trasformazione”, a cura di Anna Daneri Lorenzo Giusti, il secondo capitolo della “Trilogia della Materia”, un progetto espositivo pluriennale inaugurato nell’ottobre 2018 con la mostra “Black Hole. Arte e matericità tra Informe e Invisibile”, a cura di Sara Fumagalli e Lorenzo Giusti.

«Il progetto coinvolge storici dell’arte, curatori, filosofi e scienziati per affrontare un discorso trasversale attorno al tema della materia, attivando contestualmente un dialogo con la storia delle scoperte scientifiche e con lo sviluppo delle teorie estetiche», ha spiegato l’istituzione.

Nel percorso espositivo sono presenti opere di Ignasi  Aballí, William Anastasi, Davide Balula, Lynda Benglis, Alessandro Biggio, Karla Black, Michel Blazy, Renata Boero, Dove Bradshaw, Victor Brauner, Dora Budor, Pier Paolo Calzolari, Nina Canell, Leonora Carrington, Giulia Cenci, Tony Conrad, Tania Pérez Córdova, Lisa Dalfino & Sacha Kanah, Giorgio de Chirico, Edith Dekyndt, Marcel Duchamp, Olafur Eliasson, Leandro Erlich, Max Ernst, Joana Escoval, Cerith Wyn Evans, Lars Fredrikson, Loïe Fuller, Cyprien Gaillard, Pinot Gallizio, Hans Haacke, Roger Hiorns, Rebecca Horn, Roni Horn, Paolo Icaro, Bruno Jakob,  Yves Klein, Gary Kuehn,  Liliane Lijn, Gordon Matta-Clark, David Medalla, Ana Mendieta, Otobong Nkanga, Jorge Peris, Otto Piene, Man Ray, Pamela Rosenkranz, Mika Rottenberg, Namsal Siedlecki, Roman Signer, Robert Smithson, Gerda Steiner & Jörg Lenzlinger, Yves Tanguy, Wolfgang Tillmans, Erika Verzutti, Andy Warhol.

Large Condensation Cube, 1964-1967. Acrilico trasparente, acqua distillata, climatizzazione, 76 x 76 x 76 cm. Courtesy l’artista e Paula Cooper Gallery, New York © Hans Haacke, by SIAE 2021

Le parole di Lorenzo Giusti

Come si colloca la collettiva “Nulla è perduto, nella Trilogia della Materia”, di cui costituisce il secondo capitolo?

«Il progetto della “Trilogia della Materia” è guidato da un approccio transdisciplinare e costruisce un dialogo con la storia della scienza e lo sviluppo delle teorie estetiche, grazie al coinvolgimento di storici dell’arte, curatori, filosofi e scienziati. Con il primo capitolo, “Black Hole”, che ho curato insieme a Sara Fumagalli, avevamo rivolto lo sguardo a quegli artisti che hanno indagato l’idea più profonda di “materia” come sostanza primordiale costituente il tutto, antecedente alla forma, cogliendone la dimensione infinitesimale ed energetica. Con “Nulla è perduto”, che curo insieme ad Anna Daneri, dal dialogo con le teorie della fisica moderna entriamo in quello con la chimica: a interessarci sono le trasformazioni più evidenti della materia, il livello dell’”interfaccia”. Il racconto è di grande fascino e apre una riflessione sulla realtà delle cose e sul fluire del tempo. Il terzo capitolo, infine, che curerò insieme a Domenico Quaranta, abbraccerà l’idea della smaterializzazione, creando un nesso tra le prime esperienze in ambito astratto e concettuale e i linguaggi del digitale».

Rebecca Horn, Brennender Busch, 2001. Rame, acciaio, polvere di carbone, imbuto di vetro, motori, elementi elettronici, regolatore, materiale sintetico, 350 x 330 x 200 cm. Veduta dell’installazione, Museum Wiesbaden, 2007. Foto: Ed Restle © Rebecca Horn, by SIAE 2021
Come avete selezionato gli artisti e le opere e da dove provengono queste ultime?

«Le opere provengono da importanti collezioni internazionali, sia pubbliche sia private, e sono state scelte facendo estrema attenzione al processo produttivo e al loro significato ultimo. Abbiamo percorso una traiettoria storica, per cui nella maggior parte dei casi si tratta di opere prodotte in anni chiave della ricerca dei singoli artisti. Ci interessava costruire uno sguardo che partisse dall’inizio del Novecento fino ad arrivare alla contemporaneità, seguendo il principio della trasformazione della materia. L’esposizione accoglie le creazioni dada e surrealiste legate al tema dell’alchimia (Marcel Duchamp, Max Ernst, Man Ray, Leonora Carrington e altri), le ricerche materiche delle neo-avanguardie (Yves Klein, Otto Piene, Robert Smithson, Hans Haacke, Pier Paolo Calzolari, Paolo Icaro)…; ma anche esperienze importanti degli anni Ottanta e numerosi lavori di artisti delle ultime generazioni, che sarebbe lungo elencare».

Cerith Wyn Evans, Come (I), 2017. Neon, ø 95 cm © Cerith Wyn Evans. Foto: White Cube / Ollie Hammick
Attorno a quale idea di materia ruota, in particolare, questo secondo capitolo?

«Nel Trattato di chimica elementare – il primo manuale moderno di chimica, pubblicato nel 1789 – Lavoisier enuncia la famosa legge di conservazione della massa: «Nulla si crea, né nelle operazioni dell’arte, né in quelle della natura, e si può postulare in linea di principio che in ogni operazione vi sia un’uguale quantità di materia prima e dopo l’operazione; che la qualità e la quantità dei principi sia la stessa, e che vi siano soltanto cambiamenti, modifiche». L’espressione, che nel sapere comune è diventata “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”, è stata per noi la cornice entro cui sviluppare il campo di azione e indagare le ricerche artistiche che nell’approcciarsi alla materia si collocano tra deduzione e induzione, combinando in diverse maniere approccio analitico e sperimentazione. Il focalizzare la nostra attenzione sulla trasformazione della materia, non ultimo, ci ha permesso di declinare la nostra riflessione fino alle urgenze della più stretta contemporaneità, arrivando all’impatto dell’azione dell’uomo sugli equilibri naturali, dalla reperibilità delle risorse alle trasformazioni climatiche. Non è ancora troppo tardi per invertire la folle corsa dell’Antropocene. Il “Nulla è perduto” del titolo della mostra vuole ricordarci anche questo».

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