07 marzo 2020

Sergio Vacchi al Santa Maria della Scala, Siena

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Al complesso museale Santa Maria della Scala di Siena trentacinque opere di grandi formato di Sergio Vacchi. Il curatore, Marco Meneguzzo, ci ha raccontato la mostra

Vacchi Siena
Sergio Vacchi mentre dipinge, anni '70, courtesy Fondazione Sergio Vacchi

A Siena, al complesso museale Santa Maria della Scala, è aperta da oggi al pubblico l’antologica dedicata a Sergio Vacchi (1925, Cartenaso, Bologna – 2016, Siena) “Oltre la profezia. Sergio Vacchi 1952- 2006″, a cura di Marco Meneguzzo.

La mostra, promossa dal Comune di Siena con la collaborazione della Fondazione Sergio Vacchi, presenta trentacinque opere di grande formato, alcune inedite, tra le più significative della sua produzione.

Il percorso espostivo «celebra la pittura di Sergio Vacchi, uno dei più indipendenti e originali pittori del secondo dopoguerra e famosissimo negli anni Cinquanta e Sessanta» e «ha come obiettivo quello di presentare al pubblico senese la produzione di circa ciquanta anni del pittore emiliano che ha scelto il Castello di Grotti, nelle colline senesi, come buen retiro per gli ultimi dodici anni della sua vita», si legge nel comunicato stampa.

Vacchi Siena
Sergio Vacchi, Minotauro, 1987, smalto e colori metallici su tela, cm 200 x 200, Collezione privata
Abbiamo posto alcune domande a Marco Meneguzzo.
Quali sono le caratteristiche della ricerca di Vacchi che hanno portato a un’ampia mostra e a sua una rilettura oggi?

«Siamo in un’epoca di ritrovamenti, ripensamenti, ripescaggi, rivisitazioni. Rivisitare la pittura potente – come può constatare chiunque veda le opere allestite qui a Siena – di un artista che nei primissimi anni Sessanta espose alla Biennale di Venezia mi sembra un’azione assolutamente meritoria.

Interessante è anche osservare la produzione di Vacchi dalla prospettiva di oggi, perché quello che un tempo, negli anni Settanta e Ottanta, veniva rigettato con una specie di fastidio, lo ritroviamo in molte opere di oggi: la visionarietà, una sorta di narrazione cinematografica o un’atmosfera di grande suggestione, quasi da fantasy, sono tutti elementi che ritroviamo anche negli artisti più giovani e giovanissimi, perché dunque non riscoprire uno dei nostri grandi artisti? Tra l’altro lo avevamo osannato un tempo, perché non mantenerne la fama?».

Nel comunicato stampa si legge che Vacchi è stato «uno dei più indipendenti e originali pittori del secondo dopoguerra e famosissimo negli anni Cinquanta e Sessanta». Qual è stato il rapporto di Vacchi con la sua contemporaneità? E quello con il sistema dell’arte?

«Sergio Vacchi è stato molto noto negli anni Cinquanta e Settanta, non mancava mostra in cui non ci fosse, ha partecipato a numerose Biennali di Venezia tra cui quella del 1964. Li aveva esposto una serie di opere dal titolo Il Concilio che hanno fatto scandalo perché era in corso il Concilio Vaticano II – che si era aperto due anni prima – e l’artista aveva presentato un ciclo il cui contenuto era vagamente sensuale, o comunque con delle forme che in quel momento venivano considerate irriverenti, anche se di fatto non lo erano.
Negli anni Cinquanta e Sessanta quello strano Surrealismo, venato di potenti echi da Francis Bacon, ha fatto sì che il suo lavoro fosse molto considerato. In più, l’idea di un’atmosfera erotica, cupa, aveva entusiasmato alcuni critici. Negli anni Cinquanta era stato un protégé di Francesco Arcangeli a Bologna, poi si era trasferito a Roma dove aveva conosciuto tutti i critici più in vista del momento, come Crispolti, Barilli, etc.

Quella sua pittura, inoltre, aveva attirato l’attenzione del jet set cinematografico, tanto che era stato famoso il fatto che Carlo Ponti e Sophia Loren avessero comperato ben cinquanta sue opere. La sua contemporaneità, almeno fino agli anni Settanta, era una contemporaneità del successo. Poi quel tipo di pittura ha virato in senso profondamente individuale: dopo l’Informale – che è stato uno dei suoi grandi momenti – questa specie di narrazione “surrealisteggiante”, con echi di sensualità, si era andata sempre più precisando in una storia di narrazioni oniriche in forma di cicli.

Alla fine degli anni Sessanta e per tutti gli anni Settanta, nella sua pittura si sono inseriti dei toni quasi profetici, un po’ cupi, sulle sorti del mondo, con dei quadri molto grevi».

Vacchi Siena
Sergio Vacchi, Della perdita o del ritrovamento, 1975, smalto e colori metallici su tavole di legno, cm 300 x 460, Collezione privata
Siena è la sede ideale per questa mostra per via del legame dell’artista con la città. Può raccontarci di questo aspetto?

«L’artista si era trasferito nei dintorni di Siena acquistando il castello di Grotti, che oggi è sede della Fondazione a lui intitolata, che tutela e valorizza il suo lavoro.
Perché Siena? Perché è un posto antico, in cui un artista come lui si sentiva in grado di poter dialogare con tutti i grandi artisti che l’hanno preceduto, questo era il suo intento. Presuntuosamente, aveva i suoi interlocutori negli antichi e voleva in qualche modo anche emularli, o costruire una pittura con la stessa forza, anche se probabilmente sapeva che con tutti i nuovi media questo non sarebbe mai potuto accadere. In questo senso, per esempio, va letto il suo “fare grande”: le sue opere sono tutte grandi e molto grandi fin dai primi anni Cinquanta, a esse si aggiunge una sterminata produzione di disegni, ritratti e così via… è stato un artista quasi compulsivo».

Come ha selezionato le trentacinque opere in mostra dalla vasta produzione di Vacchi? Che tipo di percorso avete creato in mostra?

«Le opere molto grandi sono anche il leitmotiv di questa mostra. Santa Maria della Scala consente l’esposizione di opere di grande formato, molto estese: un luogo antico che sembrava aspettare una pittura potente che potesse ricoprirne le pareti. Ho voluto fare proprio questo: costruire una navata abbastanza affollata di opere giganti, soprattutto degli Settanta.
Queste opere creano una vera e propria narrazione del mondo avvolto da una specie di nebbia infinita, di foschia continua, cosa che negli anni Settanta aveva ancora il senso della profezia.
Questo luogo di fronte al Duomo di Siena, gigantesco anche lui, mi sembrava il posto ideale per cercare questa sfida. Ai visitatori giudicare se la sfida è stata vinta».


“Oltre la profezia. Sergio Vacchi 1952 – 2006”, a cura di Marco Meneguzzo, dal 7 marzo al 2 giugno 2020, Complesso museale Santa Maria della Scala, Siena
Orari: tutti i giorni dalle 10.00 alle 19.00 (chiuso martedì 10 marzo chiuso)
Nel catalogo della mostra, edito da Silvana Editoriale,
oltre al saggio del curatore, anche a uno scritto di Eike Schmidt, Direttore della Gallerie degli Uffizi. .www.santamariadellascla.com

Sergio Vacchi, Marcel, 1987, smalto e colori metallici su tela, cm 200 x 200, Collezione privata

 

 

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