05 novembre 2002

Archeoromanzo

 
Vi chiederete perché un’intervista ad una scrittrice. Perché tra unità stratigrafiche, cocci e indagini C14 si snoda la vicenda dell’ultimo romanzo di Carmen Covito. Archeologia e letteratura si incontrano…

di

Carmen Covito è nata a Castellammare di Stabia, in provincia di Napoli, vive e lavora a Milano. Il romanzo d’esordio, La Bruttina stagionata, meritò, nel 1993, il Premio Bancarella. La trama è stata in seguito la base di un film e di un monologo teatrale. Ha altri romanzi al suo attivo e con Aldo Busi ha intrapreso una proficua collaborazione che l’ha vista coautrice di traduzioni letterarie. Da un mese, pubblicato da Mondadori, è disponibile in libreria il suo ultimo romanzo: La rossa e il nero.
Uno spaccato di vita reale in cui emerge come l’ambiente in cui si cresce sia determinante per la formazione della personalità di ognuno, sia che con esso si crei un rapporto “pacifico”, sia che generi quella necessità di allontanarsene alla ricerca di un passato che non c’è più, in cui ci si Carmen Covito identifica. La vicenda è legata ad un ritrovamento archeologico; non solo il fascino della scoperta, soprattutto l’archeologia scientifica che del romanzo è indubbiamente la protagonista. Cettina Schwarz, questo il nome della protagonista, è una “napoletana svizzera” che per una serie di coincidenze si ritrova, con l’incarico di fotografa, al seguito della spedizione archeologica dell’Università di Parma in Siria. Una storia incentrata sull’archeologia, perché? Lo chiediamo all’autrice.

Perché l’archeologia nel tuo romanzo?
Perché tutti i romanzi che ho letto su questo tema o erano polpettoni di avventura senza alcuna base scientifica o erano romanzi storici. Non avevo ancora trovato un romanzo che fosse ambientato in cantiere di scavo vero, e di oggi. Perciò ho deciso di scriverlo io. Credo che la vera archeologia sia molto più affascinante e “romanzesca” di tutte le scemenze irrazionalistiche che vanno di moda adesso (per intenderci: gli accrocchi fra extraterrestri e piramidi mi fanno rabbrividire dal disgusto). Spero che il mio romanzo lo dimostri. Ho voluto scrivere una storia che fosse divertente, animata, piacevole, ma basata su dati rigorosamente verificabili.

La documentazione accurata che è alla base di La rossa e il nero è legata al romanzo o ha origini più profonde?
E va bene, confesso: avrei voluto fare l’archeologa io stessa… E invece mi sono laureata in filosofia e poi ho fatto altre cose, ma l’archeologia mi ha sempre attirata, così appena ho potuto (a 50 anni…) mi sono messa a studiarla. Poi ho avuto l’occasione fortunata di poter seguire due campagne di scavo in Siria, non dell’università di Parma, naturalmente: quella è un’invenzione letteraria, così come è del tutto inventato il sito di Tell Mabruk dove si Carmen Covito svolge la vicenda dei miei archeologi. Però grazie agli studi e all’esperienza diretta ho potuto inventare “dal vero”, infatti, se controlli la pianta di Tell Mabruk che compare nelle prime pagine del libro ti accorgerai che assomiglia molto alla pianta di Mari, mentre la stratigrafia del sito è un assemblaggio che rispecchia le tematiche più attuali dell’archeologia mediorientale, per esempio il problema della formazione di una civiltà protourbana e forse protostatale nell’alta Mesopotamia, con siti che sembrano scalzare il tradizionale primato di Uruk… Oh, a proposito della pianta, ti rivelo un particolare che non ho ancora detto a nessuno: come tutto il resto del romanzo, anche quella è inventata su una base autentica. L’ho costruita sul modello di una planimetria disegnata nientedimeno che da Lawrence d’Arabia nella sua tesi di laurea sulle fortificazioni dei Crociati in Siria, perciò le convenzioni grafiche sono assolutamente della stessa epoca della lettera misteriosa che Cettina trova nella camera dell’hotel Baron all’inizio del libro…

Quanto l’essere nata a Castellammare di Stabia ha influito nella tua vita?
Tanto quanto l’essere nata a Scafati influisce sulla vita di Cettina. Lei è a due passi da Pompei, io ero proprio in mezzo alle ville romane di Stabia, anzi dovrei dire “sotto”, perché le ville sono sul pianoro di Varano che domina la città. E insieme a Pompei e a Ercolano hanno dominato la mia fantasia, da ragazzina. E anche adesso. Ogni volta che torno a casa dei miei per le vacanze non manco mai di fare una visita a questo o a quel sito vesuviano: c’è sempre tanto da rivedere o vedere, per esempio Oplonti l’ho scoperta solo da poco e l’estate scorsa ho visitato il bellissimo recupero del rione Terra di Pozzuoli.

Sulla sovraccoperta del tuo libro un particolare di una foto scattata nel 1933, una chicca per gli archeologi…Carmen Covito
Sì, quella foto piace molto anche a me. In effetti un altro tema portante del romanzo è ciò che definirei la preistoria dell’archeologia mediorientale: da Layard a Leonard Woolley, credo di aver citato quasi tutti i padri fondatori… E naturalmente ho citato moltissimo Agatha Christie, che proprio negli anni Trenta, dopo aver sposato Max Mallowan, cominciò una straordinaria attività di fotografa e restauratrice che fu messa in ombra dalla sua enorme fama di giallista: solo oggi, dopo la mostra dedicatale dal British Museum, ne viene riconosciuta l’importanza per la documentazione di quegli anni.

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Carmen Covito

manuela esposito


Carmen Covito- La rossa e il nero
Mondadori, € 15,20


[exibart]

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