11 ottobre 2018

Chi utopia, fa l’arte

 
Intervista ad Adriana Polveroni, alla sua seconda direzione di Artverona. Tra conferme di crescita e desiderata per un sistema. E per la città

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Per il secondo anno sotto la direzione artistica di Adriana Polveroni, ArtVerona si conferma un riferimento autorevole nel mondo del contemporaneo, proponendosi come manifestazione raccolta e curata, che trova nel contesto territoriale, nella qualità della proposta e nella vocazione relazionale la sua attrattività. L’approccio “slow”, teso alla ricerca e alla sperimentazione, stabilisce l’impegno di ArtVerona nel sostenere un modello alternativo di fiera, che ha nel collezionismo di nuova generazione e nella promozione del sistema dell’arte italiano il suo punto di forza. Questa 14esima edizione dimostra una crescita sia in termini quantitativi che qualitativi: 35 nuove gallerie – per un totale di 150 espositori – tra moderno e contemporaneo; 14 spazi indipendenti; 18 realtà editoriali; un’area rinnovata per ospitare anche le proposte più di ricerca; un Focus on dedicato alla Lituania; un ricco calendario di appuntamenti in fiera: tre talk al giorno, Free Stage con Adrian Paci che presenta tre giovanissimi artisti senza galleria; incontri a tu per tu con artisti e collezionisti; visite guidate a cura dell’Università di Verona, un programma di didattica per i più piccoli in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti. E fuori fiera mostre, festival, studio visit ed eventi in tutta la città, realizzati in  collaborazione con associazioni locali, nonché la partecipazione straordinaria del MART di Rovereto. A unire questo ricco ventaglio di attività, un solo orizzonte di riflessione: l’”utopia”. Secondo Galeano l’utopia è ciò che serve a continuare a camminare, ma cosa significa utopia nel sistema dell’arte? Abbiamo chiesto ad Adriana Polveroni di spiegarcelo e di raccontarci la sua idea per ArtVerona, dentro e fuori la fiera.
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Oli Bonzanigo, O·rien·ta·mén·to, 2018, installazione, ferro verniciato e seduta originale Olivetti, cm 485x 240×200 circa, ph. credits Neroshootings, courtesy Viasaterna, Milano

Adriana, a cosa si deve la scelta di assumere l’utopia come tema per questa 14esima edizione e cosa significa per il sistema dell’arte?
«Utopia significa una spinta in avanti per non appiattirsi sull’esistente, quindi mettere in modo il pensiero per andare oltre il dato. Ma significa anche costruire qualcosa che ancora non c’è, e da questo punto di vista l’utopia ha anche una valenza progettuale. Rivendico con forza questa declinazione, necessaria, quanto lo è la prima, per uscire dall’impasse in cui viviamo oggi. Un mondo che, sia pure osservato da punti di vista diversi, mi sembra non piaccia a nessuno, o quasi. Per l’arte, più che per il suo sistema, utopia significa rappropriarsi della capacità della visione, che vada oltre il sistema stesso per esempio, spesso vissuto come un vincolo».
#backtoitaly: per il secondo anno consecutivo l’Italia e l’italianità sono al centro della riflessione in ArtVerona, sembra essere un argomento che ti sta particolarmente a cuore. Quale credi che sia la posizione dell’Italia nel sistema internazionale dell’arte in termini di ricerca, produzione e mercato? 
«L’arte italiana mi sta a cuore perché ritengo sia di grande qualità, ma non ha affatto una posizione forte nel mercato internazionale. Al netto dei valori acquisiti: Fontana, Manzoni, Burri, l’Arte Povera, Cattelan e poco più, il resto è praticamente sconosciuto. Penso sia importante che ci sia una fiera che si concentra prevalentemente sull’arte italiana. Se gli altri attori del sistema – musei, gallerie che non vengono ad ArtVerona, curatori – facessero altrettanto, forse gli artisti italiani non sarebbero così assenti dai grandi appuntamenti internazionali, come invece lo sono ormai da diversi anni».
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Naohiro Utagawa, Not titled (from the series ‘assembly’), 2015, digital C print, cm 60 x 40, courtesy T293, Roma

Parlando degli espositori, 35 nuove gallerie di rilevanza internazionale hanno deciso quest’anno per la prima volta di partecipare ad ArtVerona. La manifestazione dimostra evidentemente una crescita, cosa è cambiato? Qual è il tuo progetto a lungo termine? 
«Ti ringrazio, anzi a maggior ragione ti ringraziano le gallerie per la rilevanza internazionale che le ascrivi. Al di là se lo sono o no, penso che ci sia la percezione di una crescita significativa che attrae anche gallerie che fino ad oggi sono rimaste piuttosto lontane da Verona. Mi piace pensare che forse è venuta meno una certa spocchia, una ricerca della cosa (o della fiera) fighetta a tutti i costi, anche a fronte di grandi costi e magari scarsi risultati. Ecco, che ci sia un po’ di realismo che premia una realtà minore come ArtVerona. Il mio progetto a lungo o a breve termine è la crescita qualitativa, l’energia, il fare di Verona una fiera diversa, dove trovi gallerie giovani, qualche sorpresa e “cose strane”, come spazi no profit e artisti indipendenti, che altrove non si trovano».
La crescita di ArtVerona negli ultimi anni non si misura soltanto in termini di un incremento nella quantità e qualità delle gallerie coinvolte, ma anche e soprattutto nel programma culturale che sostiene la manifestazione. Tu stessa hai curato la mostra Chi Utopia mangia le mele e hai ideato Omaggio a Nagasawa, ce ne vuoi parlare?
«La mostra vuole restituire un’idea di utopia come orizzonte entro cui oggi occorre muoversi. Per recuperare una spinta ideale ma anche una capacità progettuale, come ti dicevo poco fa, partendo da un gesto ribelle o eccentrico fino a quel passaggio che ho definito “costruzione di una comunità”. Ma evocare l’utopia oggi significa anche dare spazio alla diversità in un mondo che tende ad omologarsi nei pensieri e nei comportamenti. Spero che le tante opere e i tanti buoni artisti che vi partecipino mi aiutino a proporre questa visione. L’omaggio a Nagasawa è un percorso attraverso una città bellissima, quale è Verona, in compagnia di un artista grandissimo, quale è Nagasawa. Dove l’uno illumina l’altro e viceversa».
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Hidetoshi Nagasawa Triangolo nel pentagono, 2010, marmo e legno, 120 x 300 x 150 cm, courtesy Famiglia Nagasawa, esposta al Giardino Giusti

Un altro aspetto che ci pare interessante di questa edizione riguarda il legame sempre più capillare con il territorio e la collaborazione con realtà anche molto giovani. Credi che a Verona esistano i presupposti per lo sviluppo di un maggiore fermento per l’arte contemporanea?
«Non sono troppo ottimista da questo punto di vista. Verona è una città che vive bene con l’economia e il grande passato che ha. Salvo qualche eccezione, non sembra aver bisogno di altro. E del resto, da questo punto di vista, si allinea perfettamente con il trend delle città italiane che in genere sfruttano il proprio patrimonio con una poco lungimirante economia legata al turismo più ovvio. Il progetto Nagasawa vuole anche far scoprire luoghi meno noti della città. Ciò non toglie che qui alcune cose si muovono, anche l’interesse intorno alla fiera e a quello che succede in città sono segnali incoraggianti. Quindi, finché qualcosa si muove, è bene che gli operatori, cioè noi, siano sufficientemente elastici per agganciarsi al ritmo giusto. E rilanciare!».
Jessica Bianchera
Articolo pubblicato su Exibart 102. Abbonati! 

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