28 novembre 2020

Claudio Lolli: “una parola e l’immagine di una parola, è molto più”

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La musica è la testimonianza diretta di qualsiasi disconoscimento accademico del “fare del politico”. Blues, jazz o semplice verso d’autore scritto e riflesso nell’io collettivo, ecco quali erano le note della rivoluzione di Claudio Lolli

Claudio Lolli

Passa la gioventù, come ebbrezza fra una iridescenza di luce e di canzoni ed un trionfo di fiori che mai si tradussero in rivoluzione. Passa ardita, con la speranza che l’irradia, l’agita e la fa fremere; con lo sguardo di ingenua fierezza poetica, che evoca «quello lì»: il condannato Antonio Gramsci, con l’amabile sorriso sulle labbra di «quegli zingari felici», cantando «Un uomo in crisi», «Canzoni di morte», «Canzoni di vita» (1973).
Inesperta di contrasti, pura fino all’ignoranza parziale del male da dissimulare, con i sensi ancora novelli ed il cuore ardente è spinta ad andare capricciosamente al di fuori; credula di suscitare un mormorio di applausi e di dissensi. In un palpito di ammirazione e di invidia, che accende la poesia dentro l’esistenza dell’ultimo epistolare romanzo lasciatoci da Claudio Lolli: Lettere matrimoniali (uscito prima nel 2013 e poi in seconda edizione nel 2016). Racchiudendo il fascino della vita familiare, nel passare da emozione «in lettera» ad emozione «in fraseggi», nell’andarne alla conquista, nel provocarla, si sbizzarrisce col pensiero e gli “atti” del ‘77; gioca nella pista delle affezioni. Tutto si permette, tutto gusta e disgusta, tutto accompagna e disfa, con parole di libere esecuzioni, con il sorriso ironico, sarcastico che ne riconosce la fragilità, e con il cipiglio del “compagno malinconico” che contempera l’amarezza dello scettico, per il quale la vita Das Kapital non è niente. Colla industre saggezza del pessimista, dopo Jacques Brel e Leonard Cohen, Lolli ha saputo cogliere il fiore della rivoluzione, il fiore profumato di Pavese e Beckett, quando era ancora profumato. Lolli, per interpretare la nostra storia, parte dal presupposto che abbiamo tutto da apprendere attraverso la musica. La musica è la testimonianza diretta di qualsiasi disconoscimento accademico del “fare del politico”. La musica ha governato le nostre forme di liberazione con le note della fusione, della lirica, della sperimentazione concreta, dei suoni dal mondo, del jazz, del blues e del semplice verso d’autore scritto e riflesso nell’io collettivo.

Lolli, escludendo ciò che ha formato sempre l’interesse dei veri poeti, o piuttosto incapace di saper pensare la politica senza la poesia, mette tutto il peso della vita nella leggerezza dell’epistola matrimoniale; tutte le preoccupazioni nell’antologia Disoccupate le strade dai sogni: i testi delle canzoni, le note a margine, le fotografie, tutta la storia di Claudio Lolli!. In quarantacinque anni caratterizzati da album che hanno contribuito alla storia della canzone d’autore, ma soprattutto a quella della tribù di talpe nel movimento del ‘77 (e del convegno di Bologna contro la repressione), si cala nell’intreccio di storie, che partono da una Lettera alla moglie per “ri/discutersi” in un intimistico discorso generazionale. Ma se un leggero vento contrario verrà ad estrarlo dal sogno ipnotico delle passioni, la parola scatena le sue burrasche; il corpo sanguigno del dolore della nostra generazione (quella che non ce l’ha fatta) si affaccia sull’orizzonte, come la schiettezza de “il privato è pubblico» e dei nuovi incanti che spezzano e spazzano chi immagina ancora che il “privato possa essere privato”. La frase del bisogno di mettere alla prova la sua indipendenza, lo fa oscillare un istante e poi perdere l’equilibrio in quella “timicità politica” lineare, che non tollera infingimenti.

Claudio Lolli

Ora, tra ultimi stanchi epigoni di sperimentalismi minimali, apprendisti stregoni e antologie di poesia sonora, all’ombra dell’esplosione post-mortem, dove non v’è spazio alcuno per la riflessione sulla vita – tanto si è lontani con le storie di superfetazione di questa realtà violenta – un poeta totale come Lolli appare senz’altro ai più, un patetico soprammobile degli anni ‘70, che ci si dimentica persino di spolverare. Una eredità iniziata il 17 agosto 2018, in quell’attimo in cui ci lasciò. Però, a ben guardare, si ha la sensazione che la parola (e la fonica) di oggi produca una letteratura neanche più fine a se stessa, così si ha l’idea che il “contemporaneo” si emancipi, oramai, a scapito delle proprie profondità, delle proprie radici. Si è combattuto insieme alle parole di Lolli, e non a torto, il falso moralismo finendo, quando va bene, in un bislacco e scipito commento privo di scopo, in un vagare su insipide scatolette di sardine. Nella segreta natura della parola alla Lolli, perdura il tentativo più o meno esplicito, di modellare la “persistenza del resistere”. Va a finire che L’inseguitore Peter H (libro, 1984), Giochi Crudeli (libro, 1990), Nei sogni degli altri (libro, 1995), Antipatici Antipodi (libro, 1972-1997), Rumore Rosa (libro, 2004) e Disoccupate le strade dei sogni (contenente canzoni come I giornali di marzo, che raccontano la morte di Francesco Lorusso, un compagno di Lotta Continua), rappresentano la parentesi meno moralistica della storia della letteratura italiana attuale.
Strano è il destino di Lolli in Italia. L’immagine che se ne ha è, diversamente da quanto accade altrove, sorprendentemente compatta. Questa immagine, ove risuona assai debolmente l’eco delle dissonanze interpretative proprie della critica lolliana, è focalizzata abbastanza omogeneamente sul profilo civile; è l’immagine di uno scrittore attaccato alla realtà e alla storia, immerso in una melanconia armata di tutti gli strumenti dell’impegno civile e venata, di volta in volta, di crepuscolari nostalgie del mondo del “ribellarsi è giusto” di Sartre, o di fughe nel senso utopico.

I testi di Aspettando Godot, Cantata del fantoccio (rielaborazione di un testo di P. Weiss), Borghesia, Dalla parte del torto (ripresa da B. Brecht) ce ne danno atto. Ancora una volta, Lolli ci ricorda che conta sempre più la vita che l’opera e che solo ad un intellettuale, radicale e compiuto, sarà possibile dare il frutto risolto, fermo restando che i poeti nella loro totalità, sono ancora preziosi più che il feticcio dell’industria culturale e le sue singole ragioni. Lolli prende in prestito dalla vita di Antonio Gramsci, curata dai documenti del mio Prof. Valentino Gerratana, parole come: “Ma ieri ho saputo, che finalmente, si son decisi/ a farlo, l’han messo dentro,/ avrà vent’anni, abbiam risparmiato il tempo di ammazzarlo,/ perchè è malato ed è una cosa vera, che non uscirà, che non uscirà vivo dalla galera./ Io lo sapevo quello lì, me lo sentivo quello lì,/ non poteva altro che così.”. E poi nelle stigmatiche parole di Antipatici antipodi, ci presenta altrettante preoccupazioni alle prese con un conflitto esistenziale profondo, nodale, per la vita di quelli come Gramsci, quanto per la loro opera. Ove si tenga nella giusta considerazione la componente civile della sua idea e pratica letteraria, allora Lolli appare – pur nella sua indiscussa “moralità civile” – né nostalgico dei vecchi significati, né nichilisticamente immerso nel vuoto categorico di significato, né pronto a ribaltare questo vuoto in un riempimento mistico. Sembra piuttosto che, oltrepassando la cinica positività meramente operativa, tenda ad attivare la “macchina desiderante”, incessante di nuovi modi, ancora incerti, di essere cantautore o poeta menestrello. Lolli è complice più che giudice di queste esistenze, così si permette di affrescare con esattezza e circospezione le forme di vita delle nostre tensioni. Le parole di Lolli sembrano parabole visive, fotografie, dei casi costruiti ad intenzione per mostrare il nervo scoperto di un decennio concepito all’insegna di un’altra etica, come a dire: «se c’è, sei tu lettore che la trovi perchè, va da sé, sei tu che la cerchi». Con “Lettere Matrimoniali” Lolli, ritratto nel suo angolo bolognese che provoca se stesso alla riflessione, ci lascia liberi: “in una ballata d’amore”, proprio come fa Roland Barthes in Frammenti di un discorso amoroso, e pare davvero sentirlo, per quelli come me che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e di entrare in empatia. E non mi si dica che questa è una nostalgia, è molto più: sarebbe abbastanza per una rivoluzione.

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