21 aprile 2020

Idee per il futuro #1. Parlano gli artisti: Angelo Bellobono

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Una nuova rubrica per dare la parola agli artisti e immaginare, insieme, nuove idee per il futuro, dopo il Covid-19: oggi sentiamo Angelo Bellobono

Angelo Bellobono
Angelo Bellobono

Idee per il futuro è la nuova rubrica di exibart, per dare la parola agli artisti e immaginare, insieme, nuove idee per il futuro, oltre che per provare a capire come realizzarlo, dopo l’emergenza Covid-19: l’appuntamento di oggi è con Angelo Bellobono.

Gli artisti sono infatti i primi attori della “filiera” del sistema dell’arte. Ma che mondo potremo trovare domani, quando tutti gli sforzi, oggi, sembrano essere stati vanificati da quasi due mesi di serrata? E quali potranno essere le modalità di ripresa, in un Paese sempre più a corto di liquidità in ogni campo, figuriamoci in quello perennemente bistrattato della cultura?

In queste settimane, esperti in ogni settore hanno lanciato i loro messaggi, più o meno retorici e di ogni fattura, mentre gli artisti sono stati interpellati, tuttalpiù, per raccontare la propria vita in quarantena o per essere coinvolti in operazioni di beneficenza. Una pacca sulla spalla, un grazie e un arrivederci, come ben conosciamo.

Quando (presto, contrariamente a quello che il messaggio della paura vuole fare passare) ripartiranno le attività, riapriranno i musei le gallerie e una sorta di vita normale ricomincerà a scorrere, quale normalità troveremo? E con quali mezzi sostenerla? Con quali piani e con quali strategie economiche?

Senza artisti non ci sono critici, mostre, musei, gallerie, riviste e non sarà possibile scrivere – o ricordare – la storia dell’arte di oggi e di domani. Per questo abbiamo deciso di far parlare gli artisti visivi italiani o residenti in Italia, coloro che lavorano con l’arte nel vero senso della parola. E che dovrebbero essere ascoltati dalla politica, non solamente usati come intrattenitori di nicchia.

La biografia di Angelo Bellobono

Angelo Bellobono è nato a Nettuno, nel 1964. Attraverso la pittura e il corpo crea atmosfere e racconti sospesi che indagano il rapporto tra antropologia, geologia, identità, confine e territorio. Sperimenta costantemente un senso di appartenenza “corporale” ai luoghi, esperienza necessaria a leggere sedimentazioni e memorie del paesaggio.

Ha realizzato vari progetti interdisciplinari come: “Atla(s)now” iniziato con le comunità Amazigh dell’Alto Atlante, “Before me and after my time” con i nativi americani di New York Ramapough Lenape, “Io sono futuro” nelle aree appenniniche colpite dal sisma e “Linea Appennino 1201” in collaborazione con AlbumArte lungo l’intera dorsale appenninica.

Ha partecipato alla XV Quadriennale di Roma, alla IV e V Biennale di Marrakech e al Grand Tour d’Italie del MIbact. Ha esposto in spazi pubblici e privati come AlbumArte, Spazio Mars di Milano, Fondazione Volume di Roma, Museo di arte moderna del Cairo e Nuova Delhi, Museo Macro di Roma, Multicultural art center Melbourne, Museo Ciac di Genazzano, Palazzo Re Enzo di Bologna, Galleria Wunderkammern di Roma, Envoy Gallery di New York, Frank Pages di Ginevra, Biasa ArtSpace di Bali.

Ha vinto il premio Celeste per la pittura nel 2005 e il Drawing Artslant nel 2009. Nel 2010 ha partecipato ai Martedì Critici e nel 2015 al Tedx Talk Roma, ed è stato invitato in varie residenze come Bocs Cosenza, Landina Cars Omegna, Fondazione Lac o le Mon San Cesario di Lecce. Il suo lavoro si trova in numerose collezioni pubbliche e private.

Bellobono è anche Maestro di sci e Tecnico della preparazione motoria, atletica e funzionale.

Angelo Bellobono, Paesaggio strappato, 200 x 80, dittico, 2019, olio e acrilico su tela
Angelo Bellobono, Paesaggio strappato, 200 x 80, dittico, 2019, olio e acrilico su tela

Idee per il futuro: la parola agli artisti

Tre cose che chiederesti per far fronte al futuro, come professionista dell’arte (Denaro? Possibilità di esporre? Studio gratuito? Minori imposte sulla Partita Iva? Abbassamento dell’IVA per chi decide di investire in arte? Creazione di un sindacato?…)

«Anche se viviamo in costante stato di emergenza e pericolo, aspettando passivamente consequenze annunciate, quello che ci sta accadendo oggi è molto più di ciò in cui pensavamo di imbatterci, Da tale contesto è importante trarre le conclusioni per attivare un cambiamento reale. Sicuramente un abbassamento dell’iva a chi investe in arte è fondamentale, come lo è un sostegno in denaro a tutte quelle figure, tra cui gli artisiti, legati da sempre ad un’economia altalenante. Ma se a ciò non si coniuga un cambiamento reale ogni soluzione avrà vita breve. Tutto il resto si crea, si incontra e non si aspetta, non basta cercare nemici sempre all’esterno di noi stessi e dei nostri mondi di riferimento.

Nei momenti di paura, perché di paura si tratta, si cominciano a promuovere adunate di settore, obsolete ed inutili in un’epoca in cui i settori non esistono più e ogni settore è organicamente funzionale all’altro. Ora, come in ogni emergenza, c’è tutta un’attività protesa al chi siamo, chi è meglio o peggio, che cosa facciamo, cosa faremo, come cambieremo, tutto cambierà, aiuto. Alla fine credo che si cambierà a tempo e per qualcuno sarà molto lungo.

Chi ha sempre realizzato opere in ogni condizione, indipendentemente da tutti e da ogni obiettivo, continuerà a farlo. Chi lo faceva come ipotesi tra le molte smetterà e chi ha infinito successo eliminerà qualche lusso. Ci saranno carriere e vite rotte, vite salvate da carriere interrotte e “carriere nuove”. Le storie da scrivere sono agli sgoccioli, storie che non avranno lettori e non raggiungeranno nessun tempo. Chi continuerà a scriverle cercandone il senso? Dove cercare l’arte è molto semplice e chiaro, da sempre, ma si continua a farlo, spesso, nei posti sbagliati, nel modo sbagliato e contribuendo a rafforzare mondi malati.

Ecco, sarà importante cominciare a curare mondi e non il nostro mondo. L’esperienza di esistenza interrotta che tutti stiamo vivendo, se ne analizziamo le cause, suggerisce di non “Ripartire” con le stesse modalità del “prima”, ma valutarne altre per tentare, una volta per tutte, di “Partire” per durare.

Il Coronavirus, che domina ormai le nostre vite, ci ha fatto dimenticare tutte le emergenze ambientali e la vita votata al consumo e al profitto insostenibile. Quindi queste riflessioni potrebbero applicarsi su larga scala, ai concetti di coesistenza degli equilibri dei sistemi naturali e produttivi. L’accettazione e il riconoscimento di un certo grado di vulnerabilità è, e resta, il miglior mezzo per continuare a esistere e resistere, non solo individualmente, e ognuno può compiere il suo passo per attenuare la frenesia del profitto sconsiderato e non goduto».

Ci puoi dire un motivo per cui, secondo te, ancora oggi in Italia si fatica a riconoscere i diritti degli artisti come categoria professionale?

«Ho vissuto per oltre 20 anni all’estero e a parte alcuni aspetti che facilitano il giovanislista piacere di essere artisti, poi la realtà non è così diversa da noi. Mi dissocio dal fronte della retorica sul noi e loro. Essere artisti fino a 30 anni è una cosa, esserlo per sempre è un’altra.

L’arte è una pratica antica e importante che nel tempo ha creato tanti sistemi, poco liquidi e molto solidi, che spesso seguono le leggi esclusive della speculazione e dell’espropriazione culturale e finanziaria. L’arte, intesa come sistema, deve risolvere questioni di identità, fruizione, funzione, riconoscimento ed eventualmente riconoscibilità, che da centinaia di anni usano gli stessi codici, contribuendo ad alimentare gli immensi e ipocriti equivoci su cui essa stessa poggia.

Prima ci sono le opere “nude”, poi i processi che le rendono prodotti di consumo, ed è in tali processi che si rivelano tutte le strategie, le variabili e le modalità che restituiscono un prodotto in forma di pensiero/opera. La seduzione del potere ed i complessi di inferiorità, o superiorità, che da tempo immemore affliggono autori, critici, collezionisti, curatori e intellettuali ha, con un processo lento e inesorabile, impoverito le opere della loro funzione e dei loro contenuti.

Il terrore di essere provinciali, di non sedurre il potente di turno, ci ha culturalmente depotenziati e omologati al gusto e alle leggi più antietiche del profitto e del consumo. La centralità dell’opera nel tempo si è perduta. Per discutere di arte si usano griglie e codici sempre più esclusivi e poco permeabili alle variabili, utili al rafforzamento del pensiero tramite il confronto e l’ascolto. La non mescolanza produce stupidità e genera ignoranza, pregiudizio e luoghi comuni internazionalmente riconosciuti, che spazzano via ogni esperienza locale.

Questa interruzione potrebbe essere l’occasione per ripensare il nostro bisogno di esotismo e internazionalismo culturale, esercitando, con la forza e la consapevolezza globale acquisita, un servizio di cultura stanziale, territoriale, in grado di restituirci meraviglia, bellezza, umanità e valore a KM Zero. Ecco, prendersi cura di questi aspetti forse é oggi un atto rivoluzionario, una cura per il nostro cronico senso di provinciale inferiorità.

Quindi, anzichè prendere come esempio le dorate “artists chicken farms” di Bushwick, dove artisti di 20 anni pagano uno studio 3mila dollari al mese, o di un ISCP che alimenta aspettative riducendo vite sul lastrico, inviterei ad analizzare tantissime realtà italiane che promuovono una cultura di prossimità di qualità elevatissima, matura e in dialogo con il mondo.

Cominciamo da qui per cercare esperienze ed artisti di livello, che con mezzi non sempre monumentali, realizzano opere e progetti importanti. Qualche nome? Landina, Mars, Cars, Casa Sponge, Selvatico, Bridge Art, Dimora Oz, Dolomiti Contemporanee, AlbumArte, Nosadella.due, A cielo aperto, Liminaria, Ramdom, RAVE east village, Site Specific, Spazio Y, Scuola di Santa Rosa, Lac O le Mon, Yellow, Franca, Arte Sella e molte altre che per mia lacuna non conosco o dimentico».

Parliamo dei danni, oltre a quelli morali. A che progetti stavi lavorando prima di questo isolamento? Prevedi che si concretizzeranno o dovranno essere abbandonati?

«Nel momento in cui si compiono scelte più o meno radicali, al di fuori di schemi e sensi compiuti, si è consapevoli di accettare e seguire altre strade, a volte bellissime, altre piene di difficoltà. Ma a pensarci bene non è lo stesso per tutti? magari senza l’intenzionalità che un’artista sceglie. Da questo isolamento non ho avuto alcun danno morale, ma solo un modo diverso di gestire tempo, pulsioni, priorità, ozio. La mia vita è rimasta più o meno la stessa, tranne le dovute eccezioni imposte dale circostanze. Negli anni ho scelto una certa frugalità e ho messo a fuoco una serie di “bisogni primari” che danno ritmo ai miei giorni e questo, in questi giorni, è stato di grande aiuto.

Da tempo sto lavorando ad un libro d’artista dedicato all’Appennino in collaborazione con la Collezione Maramotti e ad un lungo progetto di residenze intineranti, sempre in Appennino, in collaborazione con Nos Art production e con il sostegno della Fondazione Cultura e Arte. Naturalmente tutto è posticipato, ma pronto a partire appena possibile, non ho fretta.

Per il resto passo il mio tempo in studio, che fortunatamente è sotto casa, dipingendo. Ogni dipinto è un progetto a se che si compie. La fantastica magia della pittura che nasce e ti guida, a volte, in luoghi che non conosci o dove non sapevi di essere stato. La pittura è per me il senso, poi c’è tutto ciò che ne deriva. E’ una pratica che almeno per me esalta l’isolamento e il tempo rallentato, distoglie dalla bulimia delle immagini e dalla guerra del web».

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