07 marzo 2018

La cosa più bella di Gillo era Gillo

 
Un ultimo ricordo, molto personale, legato al grande critico. E ad un metodo che ha cambiato radicalmente le modalità di scrittura e lettura dell’arte

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È triste pensare che Gillo non ci sia più. Raggiungere Milano per una fiera, una mostra o un evento culturale e non passare a piazzale Lavater per un saluto a un amico così caro sarà un po’ come tornare in una città nuova, in un luogo che non conserva la familiarità, la consuetudine degli ultimi venti anni. 
Quando si pranzava insieme era sempre una festa: e sempre necessariamente in compagnia d’un’amica, “per allietare”, diceva, il convivio. Ricordo la sua passione per il Cannonau di Sardegna e per una cucina povera ma elegante: un suo piatto forte erano le penne allo zafferano con cipolla e dadini di prosciutto cotto.
Negli ultimi tempi, quando ancora riuscivamo a sentirci telefonicamente mi chiedeva sempre: e allora? Come va a Macerata? Nel 2011 all’Accademia, il 27 marzo gli avevamo conferito la Laurea Honoris Causa e il Premio Svoboda al Talento Artistico e Creativo. Ne fu compiaciuto e felice. Compiaciuto d’aver trascorso dei giorni piacevoli in nostra compagnia. Felice d’aver provato una cucina diversa, d’aver degustato crema fritta e ottima Lacrima di Morro d’Alba. 
Un giorno di qualche anno fa (28 febbraio 2010), dopo pranzo, ebbi accesso a una stanzetta segreta di casa sua. Era alla sinistra rispetto all’uscio d’ingresso. Un armadio, in quel luogo intimo, conservava al suo interno tutti i libri scritti in una vita. Mi invitò a prenderne quanti ne volessi, era un suo regalo, un suo vivo ringraziamento perché non solo avevo da poco concluso il mio ciclo di dottorato, ma avevo appena pubblicato un libro sulla sua avventura intellettuale, Gillo Dorfles. Arte e critica d’arte nel secondo Novecento
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Gillo Dorfles
Scelsi timidamente due piccoli libricini con sue prefazioni – Lyonel Feininger e L’alfabeto di Capogrossi pubblicati da Vanni Scheiwiller rispettivamente nel 1958 e nel 1962 (il primo in occasione della Mostra retrospettiva di Lyonel Feininger allestita da Emilio Dall’Oglio e Luigi Serravalli nella Sala Esposizioni dell’Azienda Autonoma di Soggiorno e Cura di Milano) – e alcune splendide monografie: Albrecht Dürer (1958), la riedizione del Discorso tecnico delle arti (2003) e la prima edizione delle Ultime tendenze nell’arte d’oggi (maggio 1961). Riapro privatamente proprio le Ultime tendenze, ci trovo una dedica e, a mo’ di segnalibro, una sua missiva inviatami il 6 maggio 2010. In quella pagina segnata, la 5 che apre la Premessa, ci ritrovo tutta la freschezza di una persona, di un pensiero, di un metodo. Trovo ciò che caratterizzava teoreticamente Gillo: il fatto che la sua vitalità filosofica e la sua curiosità si nutrivano di presente e investivano qualsiasi oggetto o cosa, ufficiale e non ufficiale. «La mia intenzione», scrive in quella prima Premessa (che reputo una “piccola lezione” quantomai attuale per leggere il mondo in cui viviamo), «non è stata quella di compilare un testo di “storia dell’arte moderna”, e nemmeno una raccolta di brevi monografie, riguardanti taluni artisti, legate tra di loro da un tenue filo conduttore: due sistemi oggi molto spesso adottati. Non ho neppure mirato a tracciare un’ennesima “estetica”, imbastendo dottrine filosofiche più o meno arzigogolate per giustificare questo o quell’aspetto d’un’arte, come la nostra, ancora in divenire. Il mio scopo è stato soltanto quello di “fissare”, prima che fosse troppo tardi (e, oggi, il “troppo tardi” viene di solito anche “troppo presto”) certe mie esperienze critiche attorno a quella pittura e scultura da me considerate come più autentiche e rappresentative per i nostri giorni, così come esse si vengono svolgendo e ramificando sotto i nostri occhi».
Antonello Tolve

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