08 dicembre 2015

La libertà secondo ORLAN

 
L’incontro con l’artista francese è occasione per ripercorrere la sua idea dell’identità e della natura umana. Con qualche sorpresa come la critica contro il calcio, per esempio

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Maravee Therapy, progetto a cura di Sabrina Zannier suddiviso in diverse tappe, pone al suo centro il corpo e i canoni della bellezza. Per la prima tappa, la curatrice ha dedicato una mostra personale ad ORLAN, all’interno della quale ha presentato una serie di grandi opere fotografiche — alcune per la prima volta in Italia —, e un’installazione che hanno riproposto il tema della chirurgia plastica, della ricerca genetica, dell’etica antropologica e delle nuove religioni-ossessioni imposte dal sistema, prima fra tutte il calcio. 
Abbiamo incontrato ORLAN, artista disponibile e generosa, ma stranamente restia ad affrontare la manipolazione plastica del corpo, tema che lei ha incarnato in maniera radicale, ripetendo come un mantra la sua volontà di uscire sempre dal quadro e liberarsi e ribellarsi da e a tutte le imposizioni che di epoca in epoca emergono nella società occidentale e nelle culture altre. Un’altra sua ossessione, emersa in varie circostanze, è l’avversione nei confronti della natura, che cerca continuamente di sfidare, oltre che la sua petizione contro la morte (http://www.orlan.eu/petition/), alla quale chiunque può aderire. 
Non avendola mai incontrata prima ed essendo stata, mentre ero studentessa, una delle prime performer a colpirmi, la curiosità più immediata è legata soprattutto all’identità e a che cosa ha comportato, ad un livello profondo, questo continuo ed invasivo mutamento. Decisa e con lo sguardo diretto negli occhi, ORLAN sostiene di «non aver mai amato le identità forti, fisse, che rischiano di portare a una forma di nazionalismo.» Che predilige, al contrario, «le identità nomadi e mutanti, sempre aperte al mondo e all’altro». 
ORLAN, vista della mostra, photo Belinda De Vito
L’intervento chirurgico ORLAN lo colloca in una prospettiva antropologica, affermando che «tutte le culture hanno sempre cercato di modificare il proprio corpo, di fabbricarselo» e che in fondo lei non ha mai sentito l’esigenza di intervenire chirurgicamente su di sé, ma voleva semplicemente reinventarsi. Voleva «creare una nuova immagine per produrre nuove immagini, rimuovendo la maschera innata, biologica, e crearne da sola delle altre». Aggiungendo che questo percorso sull’identità occidentale, legata profondamente al concetto di canone è durato, in fondo, solamente tre anni, mentre attualmente l’attenzione è puntata sulle culture non occidentali alla ricerca di un’apertura verso l’altro con la presa di coscienza del “noi siamo” (e non “io sono”). Identità, libertà — soprattutto della donna —, assenza di dolore fisico, sono le parole che ORLAN pronuncia più frequentemente. 
Le chiedo, allora, come pensa che questo cambiamento continuo possa essere considerato libertà, se non sia, al contrario, qualcosa che porti invece all’esasperazione e al dolore e non si tratti dell’ennesimo fallimento umano di fronte alle sfide nei confronti della natura. Per certi aspetti legati soprattutto al consumo, oggi la nostra società ha canonizzato anche quel mostruoso di cui parla spesso lei, tanto da potersi riferire a una “medicina della sorveglianza” a tutti gli effetti. «Nella maggior parte delle mie opere ho affrontato e ho preso posizione rispetto a dei fenomeni sociali che mi ponevano dei problemi. In primo luogo la chirurgia estetica e le cattive abitudini di standardizzare tutto. Poi sono arrivate le molestie provocate dal calcio che invade ogni cosa e che fabbrica un tipo di maschio urlante, primitivo, nazionalista e limitato ad una sola pratica che occupa tutto il tempo disponibile e tutte le conversazioni», è la sua risposta. 
ORLAN, vista della mostra, photo Belinda De Vito
E dal calcio ORLAN è andata oltre. Ultimamente i videogiochi sono il suo bersaglio, in quanto al loro interno moltissimi sono gli stereotipi femminili proposti e l’atto di uccidere o di essere uccisi è l’obiettivo primario per poter avanzare di livello. Mi parla di Expérimentale mise en jeu, dove il personaggio principale assomiglia alla sua scultura luminosa interattiva Bump Load che è la rappresentazione di una donna dal corpo forte e solido, un corpo che non ha niente a che fare con i corpi femminili rappresentati nei giochi. Nel suo caso, per avanzare di livello bisogna avvolgere tutto il corpo (quello del giocatore) con i bracciali Myo diventando così un’installazione interattiva. Poco a poco il personaggio principale si umanizza e inizia a ricostruire tutte le opere d’arte distrutte che trova nel suo cammino così, il paesaggio tutto attorno, prima in rovina, si ricostruisce mano a mano che si avanza. 
Aggiunge che ciascuna delle sue opere è «una riflessione sul mondo e su come affrontarlo in queste sue continue evoluzioni. Lui cambia e noi ci miglioriamo mantenendo una distanza critica sia su noi stessi che sugli altri». Dalla poetica, spostiamo l’attenzione sulla forma ed estetica che dà ai suoi lavori, chiedendole, dal momento che oggi siamo attorniati di immagini di ibridi, dal virtuale e da immagini forti come quelle proposte in questa mostra, quale sia il senso di lavorare ancora con queste immagini e fare arte usando in questo modo il corpo. E il punto sta sempre lì: «Andare oltre i confini e le idee preconcette come fa anche nella sua vita. Il mio stesso nome, ORLAN, si scrive tutto in maiuscolo. E l’obiettivo ora, così come era avvenuto nelle sue serie Corps-sculpture e in Tentative de sortir du cadre, è giocare con la rappresentazione dello spazio spingendone i suoi limiti e soprattutto giocare con ciò che rappresenta simbolicamente il quadro, ovvero tutto ciò che ci racchiude e ci formatta». 
ORLAN, vista della mostra, photo Belinda De Vito
Uno di questi tentativi è stato messo in scena nella mostra dove, attraverso un software di realtà aumentata, l’artista supera i limiti del reale. «Nella serie delle Self-hybridations, realizzate a partire dalle maschere dell’Opera di Pechino — spiega ORLAN —sono uscita dall’opera per comparire sugli schermi in forma di avatar 3D. Grazie a questo software posso far apparire il mio avatar sui cellulari, oppure sugli Ipad delle persone. Anche qui vado oltre i codici dell’Opera di Pechino che proibiscono alle donne di interpretare il loro ruolo (che spetta ai soli uomini) e faccio fare al mio avatar le acrobazie che possono essere eseguite solo dagli attori». 
La mostra al Castello di Susans, Majano (UD) ha chiuso il 29 novembre.
Le altre mostre del progetto proseguiranno nelle seguenti date e luoghi:

Museo Civico di Palazzo Elti,
Gemona del Friuli (UD)
Inaugurazione sabato 19.12.2015, ore 18
Durata mostra 20.12.2015 > 21.2.2016 

Obalne Galerije Piran / Galerija Loža, Capodistria (SLO)
Inaugurazione 29.1.2016
Durata mostra: 29.1 > 29.2.2016

Gledališče Koper
Teatro Capodistria (SLO)
Febbraio 2016

Eva Comuzzi

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