12 maggio 2020

La nostalgia dell’opera. E lo sguardo di Palma Bucarelli

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Cosa ci insegna la critica se oggi tutto va verso la retorica della comunicazione? Una riflessione sul rapporto con l'arte, partendo dalle parole di Palma Bucarelli. Non dimenticando un fondamentale aspetto erotico

Palma Bucarelli

Nella precipitosa risposta della critica e degli attori del sistema dell’arte alla crisi generata dalla pandemia, dispiace osservare come molti degli interventi risultino incapaci di aprire prospettive che vadano oltre la mera contingenza, nonché di porre interrogativi più ampi sulla condizione di estrema complessità che caratterizzerà il futuro della nostra relazione con l’opera d’arte.

Presenza e assenza dell’emotività

In un contesto tanto delicato, mi sembra che abbiamo mancato l’appuntamento con il silenzio. Non tanto in termini di inoperosità, ma piuttosto di raccoglimento e osservazione. Sarebbe parso invece doveroso dedicare il giusto tempo a riflettere su alcuni temi fondamentali, come quello della rivalutazione della relazione con l’opera d’arte come esperienza fisica e sensibile. Un problema centrale, poiché oggi più che mai emerge con forza quanto ancora sia profondo il legame dell’esperienza estetica con la dimensione del vissuto, ovvero con la presenza e interrelazione contestuale di corpi organici e inorganici avvicendati nello spazio. In un momento di distanziamento forzato, vale forse la pena riscoprire le implicazioni di un trasporto emotivo capace di realizzarsi non solo alla presenza dell’opera d’arte, ma anche nella sua assenza. Ed è proprio in questa cornice che è possibile riscoprire il valore di un rapporto nostalgico con l’opera d’arte.

Proprio in funzione di questa suggestione, trovo significativo condividere un frammento di uno scritto di Palma Bucarelli tratto da una recensione del 1945:

“[…] abbiamo pur bisogno di dire la commozione di questo riprender contatto, il quotidiano contatto, con le nostre opere d’arte. E ce le guardiamo e riguardiamo con occhi nuovi, ci pare, e quasi stupiti, come se la provvidenza codesti beni ci abbia elargito per la seconda volta, come se li avessimo riacquistati, tant’è stata tutto questo lunghissimo eterno tempo di guerra, la paura di perderli.” [1]

Palma Bucarelli
Palma Bucarelli

Si annota come l’analogia con la Seconda Guerra Mondiale non voglia amplificare il tanto discusso paragone bellico, ma piuttosto consentire di ricercare nella tragicità di questi eventi una linearità che origini proprio dallo stabilirsi di una relazione empatica.

La commozione espressa in queste righe, sintomatica di un rapporto intimo, quasi viscerale con l’opera d’arte, si rivela oggi incredibilmente ispiratrice. Raccontando un’urgenza che si impone con forza, queste parole ci consentono di riscoprire nell’ordinarietà del rapporto con il nostro patrimonio una straordinaria conquista.

Il rapporto viscerale con l’opera d’arte

E proprio oggi, illusoriamente agevolati dalle possibilità fruitive offerte dalla tecnologia, è necessario recuperare il valore di questo attaccamento, non perché quella fisica si configuri come l’unica possibilità relazionale con l’opera d’arte, ma poiché la sua valenza antropologica è ancora un elemento fondativo della nostra civiltà.

Palma Bucarelli

Le parole di Palma Bucarelli propongono un’apertura relazionale ulteriore in cui si rimarca l’importanza di un rinnovato erotismo nella nostra esperienza estetica. Un erotismo, aggiungo, che dovremmo abituarci ad interpellare estensivamente in tutte quelle attività umane in cui converga il lavorio del pensiero, dominate invece, nella maggior parte dei casi, da manifestazioni retoriche del paradigma della comunicazione, che proprio in questi momenti si trova a collassare su sé stesso. Possono commuoverci e mancarci, le nostre opere, e nella loro assenza prende corpo un fatto straordinario a cui dobbiamo ancora essere in grado di attribuire il reale valore, per tentare forse così di commisurare il senso più intimo della loro esistenza.

[1] Estratto da Cronache Indipendenti, De Luca Editori d’Arte (2010), a cura di Lorenzo Cantatore. Il volume raccoglie alcuni articoli della giovane Palma Bucarelli scritte tra il 1943 e il 1946.

 

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