Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
28
marzo 2019
L’INTERVISTA / FRANCESCO STOCCHI
Personaggi
ECLETTICA LYGIA PAPE
Per la prima volta in un’istituzione italiana, alla Fondazione Carriero di Milano, nove ambienti dell’artista brasiliana
Per la prima volta in un’istituzione italiana, alla Fondazione Carriero di Milano, nove ambienti dell’artista brasiliana
di Silvia Conta
La Fondazione Carriero presenta Lygia Pape, la prima personale dell’artista in un’istituzione italiana, a cura di Francesco Stocchi, che porta nel cuore di Milano una delle maggiori esponenti del Neoconcretismo brasiliano. La mostra, organizzata in stretta collaborazione con Projeto Lygia Pape, con nove sale con opere realizzate tra il 1952 e il 2000, a quindici anni dalla scomparsa di Lygia Pape (Rio de Janeiro, 1927-2004), vuole «raccontare e approfondire il percorso dell’artista brasiliana sottolineandone in particolare l’eclettismo e la poliedricità – ha spiegato la Fondazione. Nell’arco dei quarantacinque anni della sua carriera, Pape si è confrontata con una molteplicità di linguaggi – dal disegno alla scultura, dal video al balletto, sconfinando nell’installazione e nella fotografia – facendo propria la lezione del modernismo europeo per poi fonderlo con le istanze della cultura del suo paese, fino ad arrivare a una personalissima sintesi tra le pratiche artistiche».
Lygia Pape si inserisce nel percorso iniziato dalla Fondazione Carriero nel 2015 e che ha visto susseguirsi mostre dedicate, tra gli altri, a Fontana e Leoncillo, Pascali, Sol LeWitt e Giulio Paolini.
Come è nata la mostra?
«Presso la Fondazione Carriero cerchiamo sempre di offrire un punto di vista altro nei confronti di ciò che è noto, soprattutto dell’arte del dopoguerra, del XX secolo, e in particolare quella che è stata fortemente connotata, dai tagli di Fontana all’aspetto mediterraneo dell’opera di Pascali, alle caratteristiche cartesiane del lavoro di LeWitt. Partiamo dagli assunti più noti e comuni per poi, almeno in parte, smontarli e mostrare, magari, qualcosa che vada oltre all’impatto frontale. Organizziamo due mostre l’anno e mostra dopo mostra si crea una catena, un progetto suggerisce il successivo e così via, si genera una sorta di musicalità, di note che ritornano».
Lygia Pape Disegno – Spazio magnetizzato, Registro cinematografico, 1980 disegno e collage su carta millimetrata 31,5×46,7 cm © Projeto Lygia Pape
A quale delle mostre precedenti si collega, idealmente, quella di Lygia Pape?
«Nel novembre 2017 abbiamo realizzato una mostra di Sol LeWitt, ho invitato Rem Koolhaas come co-curatore – in questo caso non come architetto o come designer della mostra – e gli ho chiesto se fosse interessato a lavorare insieme e a immaginare una mostra su Sol LeWitt: conoscevo la sua passione giovanile nei confronti dell’artista e mi incuriosiva se fosse possibile scardinare l’immagine di Sol LeWitt – gli inglesi dicono “emotionless” – che fa dei numeri e della regola la sua cifra distintiva, dove il gesto viene meno e l’opera si esegue attraverso l’esecuzione di regole. Abbiamo realizzato la mostra Between the lines, dove, appunto, sottolineavamo un aspetto molto più emotivo, molto più caldo, dell’opera di LeWitt. La mostra di Lygia Pape è una come la “seconda parte”, che vuole investigare sempre un’artista che lavora con la geometria primaria, con forme semplici, ma con un piglio sincretico rispetto alla sua cultura d’origine, rispetto alla società in cui viveva, che era il Brasile degli anni Cinquanta e Sessanta. Questo aspetto conferisce alla geometria astratta una sensualità, aggiunge colori e diventa qualcosa di estremamente vivo fino anche, in certi casi, a entrare nel figurativo, o comunque ad andare oltre l’astratto, quindi le forme astratte diventano quasi allegoriche, a seconda della opere, assumendo così un significato completamente diverso».
Qual è l’intento della mostra su Lygia Pape?
«L’intento della mostra è sottolineare che Lygia Pape e il Neoconcretismo stesso non sono stati un episodio di un’avanguardia sudamericana che ha ripreso la lezione europea per riproporla, ma parte da essa per creare qualcosa di assolutamente inedito, che non è un surrogato delle ricerche artistiche a cui hanno guardato, come quelle di Moholy-Nagy, Jospef Albers, il Suprematismo russo, etc… Gli artisti sudamericani hanno usato tali ricerche come punto di partenza per poi prenderne le distanze, quindi la rilettura proposta dalla mostra alla Fondazione Carriero non è fine a se stessa, si inserisce in un ambito più ampio, culturale, dove, un’avanguardia, un movimento proveniente da una zona non occidentale, – anche perché si rende conto di vivere in una zona periferica -, invece di “accodarsi”, ha il coraggio – o la sfrontatezza – di sovvertire le regole e fare qualcosa di nuovo. Così facendo, inoltre, questi artisti non solo non hanno meramente riproposto un linguaggio, ma hanno anche anticipato un’evoluzione che ha conosciuto il modernismo in Occidente negli ultimi vent’anni ».
Lygia Pape Disegno, 1985 pastelli su cartoncino 50×50 cm © Projeto Lygia Pape
Come si inserisce questa mostra nel panorama degli studi sui contemporanei dell’artista?
«Lygia Pape è un’artista nota, la nostra mostra è solamente, un assaggio, ma c’è ancora moltissimo da approfondire, perché la sua produzione è sterminata. C’è un grande clamore nel lavorare con artisti che non sono europei o statunitensi, c’è una sorta di revisione storica molto interessante che può essere, a mio modo di vedere, un po’ sciatta e ideologica, oppure veramente dare delle occasioni per degli studi interessantissimi. In più di un’occasione ho visto delle espressioni di modernismo non occidentali che, a mio modo di vedere, erano un po’ delle riprese, ma solo per il fatto che venivano da un paese o dall’altro, magari venivano riproposte in varie mostre, ma, sempre secondo la mia opinione, erano delle varianti di ciò che l’astrattismo occidentale ha proposto. Nel caso di Lygia Pape e del neoconcretismo brasiliano, invece, si sviluppa un autentico filone di sperimentazione, diventa autoctono ed è interessante sottolineare questo sviluppo originale e autonomo».
La mostra è stata realizzata in collaborazione con Projeto Lygia Pape. Da dove provengono le opere che sono in mostra?
«Le opere che presentiamo provengono da varie fonti, incluso Projeto Lygia Pape, ma anche dal Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia di Madrid, da vari istituti e da collezioni private. Il ruolo di Projeto Lygia Pape è quello di preservare la memoria e sviluppare lo studio dell’opera dell’artista, inoltre, conserva una grande collezione delle sue opere. Grazie all’appoggio di Projecto Lygia Pape siamo riusciti ad accedere ad opere inedite che per varie ragioni non erano mai state esposte e a ottenere dei prestiti piuttosto complessi. È stata una bella collaborazione».
Lygia Pape Tecelar, 1957 xilografia su carta giapponese 21,2×20,8 cm / 21,2×20,8 cm © Projeto Lygia Pape
Come si svolge il percorso espositivo all’interno della Fondazione?
«La mostra è sviluppata sui tre piani della Fondazione, che è una sorta di ibrido tra spazio privato e spazio pubblico e non vuole essere né completamente l’uno né l’altro. La mostra si struttura in nove ambienti e ognuno è dedicato a una specifica serie in un percorso che definirei quasi modulare, anche se ogni sala ha una dimensione diversa: sono esposti, ad esempio, i Tecelares, Ttéia, i collages, Relevos, etc… La mostra ha un ordine acronologico, non è un racconto dell’artista, non è una retrospettiva, e copre la produzione dagli anni Cinquanta fino al 2000, è ampia ma volutamente concentrata sull’impiego della geometria astratta, mentre lascia da parte certi aspetti del lavoro dell’artista che, come dicevo, è estremamente prolifico e sorprendente».
Silvia Conta