18 gennaio 2013

L’intervista/Gianfranco Maraniello Tutta l’arte della city

 
Il direttore del MAMbo, in questa occasione anche coordinatore del programma Art City, ci racconta il potenziale di Bologna sotto l'ottica del “museo diffuso”. Perché è importante la fiera ma non si può, e non si deve, investire tutto su di essa. E non basta nemmeno più un percorso urbano di “eventi off” per fare rete, ma un nuovo modello dove l'Italia, per una volta tanto, potrebbe essere leader

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Il week end bolognese si avvicina e tanti sono i cambiamenti in atto sotto le due torri. Non solo per la nuova direzione della vecchia fiera, che si rinnova, o per la nascita di SetUp, ma anche per un nuovo modo di avvicinarsi all’arte in città: con il progetto “Art City”, accendendo una nuova luce in quella che era la pertinenza del circuito “Off”, e mettendo un marchio istituzionale ad una serie di musei, aperture, eventi e mostre collaterali e sparse nel tessuto urbano. Che per una volta si riuniscono sotto un unico cappello, con la volontà di fare rete e di creare le condizioni per la nascita di un contemporaneo che trovi l’humus nella storia della città. E che la faccia crescere. Gianfranco Maraniello ci racconta “Art City”, con uno sguardo al MAMbo, alle fiere più importanti del mondo e al potenziale, un po’ inespresso, di una Bologna regina dell’arte 365 giorni all’anno.
Bologna apre questo 2013 con un progetto d’impostazione più europea, mai sperimentato in precedenza: l’apertura di moltissimi spazi istituzionali contemporaneamente, in occasione della fiera. Com’è nata la possibilità di “Art City” e quali sono gli orizzonti a cui guarda?
«Più che un progetto mai sperimentato direi che quest’anno è emersa la volontà di un coordinamento rispetto al fiorire di iniziative un po’ disordinate, come capitava a Bologna durante le scorse edizioni di Artefiera. Da questo intento si è aperta una prospettiva curatoriale e più istituzionale, nonostante “Art City” non abbia la pretesa di rappresentare tutto quello che accade in città. “Art City” sarà piuttosto un programma selezionato che vuole valorizzare luoghi d’arte permanenti a Bologna. Da un lato tutto ciò significa non dover lavorare più solo sulle piazze, ma fare anche il modo che le grandi manifestazioni fieristiche diventino il tramite per riscoprire il territorio, punto di forza tutto italiano. Non ci si può permettere di entrare nella competizione mondiale con kermesse come Miami o Hong Kong, non vi sono le dimensioni e non è nemmeno il periodo finanziario adatto, ma al di fuori della fiera abbiamo un patrimonio sempre presente e da valorizzare, come si ripete di continuo. “Art City” vuole essere proprio questo: attraverso le incursioni del contemporaneo si scoprirà il diffuso patrimonio storico della nostra città. Un patrimonio presente solo in Italia».

Non bastava quindi solo il circuito “Off” per valorizzare la settimana bolognese?
«No, sono due iniziative diverse. È giusto che vi siano altri eventi privati, fiere alternative, ma quello che ci aspettiamo con “Art City” è di rimarcare il punto di una scelta strategica nell’identità culturale della città, attraverso il suo carattere istituzionale».
Dunque anche per una dimensione più “qualitativa” dell’offerta?
«Assolutamente si, ma non inteso come confronto con le altre iniziative. Qualitativo nel senso che “Art City” cercherà anche di qualificare fortemente la proposta culturale, con una grande attenzione riservata all’accoglienza del pubblico. Non a caso vi saranno, durante i giorni della manifestazione, numerosi operatori didattici preposti nelle varie sedi, compreso durante la notte bianca, così come un servizio per bambini, anche per attività pedagogiche». 

Una manifestazione per tutti insomma?
«Si, abbiamo anche una partnership con la Cineteca che farà una programmazione legata a film d’artista e sugli artisti, che ha anche organizzato una notte bianca del cinema dove molte sale di Bologna proietteranno pellicole legate all’universo specifico dell’arte. Inoltre non si è deciso di puntare solo su programmi esclusivi per le VIP Card come spesso capita nelle altre fiere, ma con un unico biglietto di ingresso alla fiera tutti i Musei Civici saranno gratuiti e i cinema avranno biglietti ridotti. Inoltre sarà attivo l’autobus-navetta che porterà nei luoghi dell’arte dalle 12 alle 20, nel week end, partendo dalla fiera. E sarà diffusa anche un’Art City Map».
Da sempre la settimana di Artefiera per Bologna rappresenta una vera esplosione d’arte, ma come fare a mantenere l’attenzione durante il resto dell’anno? Come vede piazzato il capoluogo emiliano nel panorama italiano dell’arte?
«Nel resto dell’anno l’offerta culturale continua, e vi sono molte occasioni. Vogliamo  far riscoprire, con questo inizio, alcune opere d’arte e musei che sono stati finora poco visitati, vedasi il Museo per la Memoria di Ustica con l’installazione permanente di Christian Boltanski, un memoriale unico e presente solo e soltanto a Bologna. Ci sono poi i Musei Civici, i musei del percorso di Genius Bononiae. C’è una grande quotidianità intorno all’arte a Bologna. “Art City” metterà le basi per una valorizzazione».

Come si è trovato in questo doppio ruolo di direttore del MAMbo e di coordinatore di Art City? C’è stato il rischio di un “conflitto di interessi”?
«Art City nasce dalla volontà del Comune e della fiera come un’operazione di posizionamento strategico sull’arte moderna e contemporanea in città. Tecnicamente il Comune ha preso atto delle competenze che ci sono su questo campo e ha chiesto al MAMbo di progettare, e più spesso di coordinare, una rete di progetti anche autonomi, si veda il Premio Furla e il Festival Arte Scienza per esempio, che hanno comunque convenzioni, rapporti e storie istituzionali di lungo corso e che quindi rientrano perfettamente nel programma». 
C’è la possibilità di un museo diffuso? Tutti questi enti diversificati sotto il cappello di Artefiera trovano una loro unione, ma transitoria. Come vede la possibilità di un raggruppamento tra le varie istituzioni? 
«Questo è un ottimo tema. In questi giorni se ne sta parlando anche con l’Assessore alla Cultura Ronchi. Dal 1 gennaio scorso MAMbo ha assunto il compito di coordinare e dirigere il sistema museale bolognese verso un’unica istituzione, con nuove risorse che arriveranno da Comune e Regione. Specificatamente, a parte questioni economiche e organizzative, è proprio una peculiarità di Bologna essere un museo diffuso, come molte altre città della penisola delle stesse dimensioni. Con un patrimonio architettonico e urbanistico che è un grande “parco culturale” metropolitano, sviluppato in un percorso che “Art City” vuole dimostrare essere facilmente praticabile, anche a livello fisico».

Sono veri i rumors che vorrebbero Villa delle Rose come spazio aperto permanentemente?
«No, Villa delle Rose è uno spazio espositivo che non ha servizi quotidiani, e allo stato attuale delle finanze è impossibile pensare di aprire un nuovo “museo”. Villa delle Rose ha due periodi l’anno, quello estivo e quello legato ad Artefiera, che ci permettono di usarla in maniera sostenibile».  
Visto che all’epoca dei tagli è difficile mettere in piedi un nuovo museo, come andrà avanti il programma del MAMbo?
«Possiamo dire che il MAMbo la spending review l’aveva anticipata da tempo, verificando anche le conseguenze della legge 122, che all’inizio era parsa un nostro problema, ma che invece ha toccato tutti con un effetto domino. Il museo, dalla sua apertura nel 2007, non ha mai chiuso perché ha trovato un suo assetto, garantendo in questi anni di crisi una serie di servizi che vanno dalle aperture ai servizi didattici, alla tutela del patrimonio e delle collezioni, pur razionalizzando i costi di gestione. Nonostante tutto il bilancio 2012 si è chiuso in attivo. Devo dire che questa amministrazione comunale ha interpretato bene i problemi che si sono venuti a creare negli ultimi tempi. Ora dobbiamo occuparci del sistema museale bolognese, che ha un potenziale enorme, ma che sta vivendo gli stessi inciampi che hanno riguardato il MAMbo e i musei di arte contemporanea italiani. Le collezioni però sono ottime, il personale è competente, il valore scientifico indubbio. Restano da mettere in atto una serie di operazioni manageriali che portino, prossimamente, a creare una nuova eccellenza tutta bolognese».

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