13 ottobre 2015

L’intervista/Vadim Zakharov

 
NON MI PIACE L’ODORE DELL’ESSERE ARTISTA
Una raffica di idee e di visioni. Ecco Zacharov che “non crea opere per rispondere. Ma crea domande per noi”

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Dall’attuale esposizione al museo Garage di Mosca parte l’itinerario a ritroso nell’opera di Vadim Zakharov, dove il presente si fonde con il passato creando nuove interazioni.
Vadim Zakharov vive e lavora a Berlino. Dal 1978 ha partecipato al Concettualismo Moscovita, uno dei movimenti che animavano segretamente la scena della capitale dell’Unione Sovietica. È da sempre archivista, editor e collezionista del movimento. Trasferitosi in Germania negli anni Novanta, ha fatto del dialogo tra diverse culture ed epoche il centro della sua arte. In nome di una cultura universale, crea intrecci fatti di alterazioni, ironia e contraddizioni che scardinano simulacri e rivelano nuove interrelazioni. 
35 anni fa iniziavi l’esperienza di archivista del Concettualismo Moscovita per valorizzare l’arte realizzata nel contesto della Mosca non-ufficiale. Da allora, il tuo archivio ha acquisito opere e documenti che testimoniano un importante brano della storia europea, quello del crollo del muro di Berlino, la caduta dell’Urss, l’emigrazione in Europa e il viaggio all’interno del sistema dell’arte occidentale. Oggi la sezione video del tuo archivio, iniziata nel 1989 , è esposta al Garage Museum di Mosca per la mostra “Postscript after RIP: A Video Archive of Moscow Artists’ Exhibitions (1989–2014)”, che celebra la sua acquisizione da parte dell’istituzione. Come riesci a gestire la tua personalità poliedrica, divisa tra l’artista, il collezionista, l’archivista  e l’editor? 
«Dieci o più anni fa, scrissi l’articolo Shiva’s method in cui provavo ad esprimere il mio metodo polifonico, dell’essere ad un tempo artista, archivista, collezionista, editor e curatore. Un metodo che ho seguito per 30 anni. Oggi, nel 2015, decido di cambiarlo e lo faccio in modo radicale, tagliandomi una ad una ogni mia “mano di Shiva”. La mostra al Garage Museum ha due direzioni, una molto didattica che consiste nel mostrare al pubblico russo il mio archivio video, che documenta le esposizioni di arte russa dal 1989 al 2014. Sono circa 230 esposizioni registrate nell’arco di 26 anni, per la prima volta presentate in Russia. La maggior parte delle quali filmata in gallerie e musei dell’Ovest durante l’era della Perestroika, un momento molto importante per la cultura russa. Ma ho un problema. Non so ancora porre freno al mio essere archivista. Ed ho una grande pena per il momento che seguirà il taglio della mia mano, e quindi della mia attività. Il titolo dell’esibizione è “Postscript after R.I.P.”. Questo significa che dico addio al mio archivio, ma che avrò ancora delle osservazioni finali da fare dopo che questo sarà sepolto nel cimitero della cultura. Oggi provo a tornare ad essere solamente un artista. Ma allo stesso tempo non mi piace l’odore dell’essere artista. Questo è ancora il mio dilemma, che mi lascia nuove sensazioni e crea interesse nella mia vita».
The last stop of Pastor Zond the publisher, 1998 Courtesy Vadim Zakharov
Nel 2013 hai presentato Danaë nel padiglione russo alla Biennale di Venezia, proponendo una riflessione sul ruolo del denaro nella società contemporanea. Il mito era diventato valuta corrente: una Danaë. Pensi che la mitologia possa aiutarci a comprendere la nostra era?
«Il tema predominante di Danaë era il ritornare alle fondamenta della cultura per trovare alcune spiegazioni alla vita di oggi. Viviamo circondati da falsità che non ci danno la possibilità di credere. E la mitologia è più vera della realtà, è ancora strumento di conoscenza. Nella nostra cultura ha un ruolo importante e quella greca ne è la base. All’epoca ho pensato che sarebbe risultata più vicina alla realtà rispetto alla teoria marxista e che potesse darci la distanza per vedere il presente in cui l’informazione ha più valore del denaro. Questo spiega le antenne satellitari di fronte al padiglione. L’antenna oggi, Danaë ieri».
L’anno scorso a Pechino hai realizzato la seconda parte della trilogia del denaro intitolata “2014. A space Odyssey”, in cui sviluppavi il suo lato negativo. E la moneta era One Shit.
«L’aspetto negativo è il secondo momento per pensare a cosa significhi il denaro nella società e nel mondo dell’arte. In Cina esistono repliche cartacee di monete da bruciare e offrire agli avi. Io sono un artista e la situazione varia continuamente tra alti e bassi; il mercato è ridicolo quando le opere contemporanee arrivano a costare milioni. Mi spiace, ma io non lo comprendo. Il denaro di per sé non è buono né cattivo, ecco perché ho inserito i giudizi sulle monete: L’artista garantisce il valore con il suo onore su One Danaë e Il valore è garantito dalla merda dell’artista su One Shit».
Vadim Zakharov Danäe, Biennale di Venezia 2013, courtesy Vadim Zakharov, foto di Daniel Zakharov
Su One Shit c’è l’asino, una figura tratta da Apuleio?
«Si, l’Asino d’oro dalle Metamorfosi di Apuleio, e ci sono richiami anche alla favola dei Fratelli Grimm Il tavolino magico e, ovviamente, al film di Stanley Kubrick».
Hanno colto questa citazione in Cina?
«No, forse le persone della scena artistica cinese conoscono più Freud e la psicoanalisi e per lui la merda è una cosa positiva. Sognare l’atto della defecazione è d’auspicio. La prospettiva dello spazio crea la giusta distanza tra uomo e società adatta a mostrare il processo in una situazione ambivalente. Il denaro nello spazio cade da un faldone, ricordo del monolite di Kubrick, su una tavola, distruggendo la vita. Questo genera domande, ma io non creo opere per rispondere, creo le domande per voi».
Le figure tratte dal mondo della cultura popolano le tue opere. Penso a San Sebastian suite e Don Quixote against Internet. Qual è l’importanza della cultura?
«Negli ultimi cent’anni, da quando l’arte ha il titolo di contemporanea, l’uomo ha iniziato a correre per creare il nuovo. I cambiamenti sono stati veloci, ci sono stati nuovi formati e nuove idee, ma oggi siamo in crisi per la velocità e la direzione. Corriamo così velocemente che non riconosciamo ciò che accade accanto a noi. Questa è la direzione di molti artisti. Io vado verso il passato e la cultura che non sono un territorio senza uscita. Vi sono sempre molte cose che possono darci sia il logico che l’inaspettato e non conosciuto. Oggi gli artisti spesso pensano: ”Io sono un genio e tutti sono merda”, e io penso che questo non sia più valido».
Vadim Zakharov, Don Quixote against Internet, 1999, courtesy Vadim Zakharov
Oggi l’estetica visuale prevale sul significato, il materiale sull’idea. Tu sei un artista concettuale e usi la narrazione per raccontare. 
«La narrazione è solo uno strumento e oggi, più o meno, tutti gli artisti sono concettuali. Appartengo alla tradizione del Concettualismo Moscovita, nato alla fine degli anni ’60, e ancora uso le sue strategie tra cui la narrazione. A volte la storia è più interessante delle immagini, ma spesso un’immagine include più narrazioni, come in Danaë. Induco lo spettatore a creare storie mettendo assieme più elementi visivi che lo stimolino. Non mostro qualcosa, né un’immagine. Creo la possibilità di conoscere più cose in un momento unico».
Literature on one page è un’opera che riduce un testo letterario in una pagina, si riferisce alla difficoltà di capire il passato?
«Si, ho iniziato lavorando sul Piccolo Principe che contava 67 pagine, che ho stampato su un unico foglio. Poi l’Inferno di Dante, 168 pagine, e Cento favole russe di 216 pagine, sono state stampate su un’unica pagina. Come risultato finale hai delle icone della letteratura, la metafora dell’immagine come spiegazione del funzionamento della cultura. Ogni secondo copre il passato, come ogni immagine danneggia le pagine precedenti». 
Vadim Zakharov, One Shit da 2014. A space Odyssey, courtesy Vadim Zakharov
Un procedimento e un’idea concettuale che mi ricorda Movie in one drawning.
«Si, in questo caso ho proiettato Roma Città Aperta di Rossellini su un foglio e, per tutto il tempo della proiezione, ho tentato di fissarvi le immagini in movimento con una matita. Ogni tratto copriva il precedente e il risultato è stato un disegno astratto: la trasformazione di una cosa in un’altra».
Crei molte relazioni tra passato e presente, ma qual è la tua idea di futuro?
«Oggi sono molto pessimista. Don Quixote against Internet è un’opera che mostra che andiamo verso il futuro di spalle, mai di viso perché non possiamo vederlo. Possiamo vedere il presente e il passato ma del futuro possiamo solo fare analisi su cosa forse accadrà. Queste mi dicono che il futuro non è positivo in una prospettiva di dieci anni. La situazione è pessima, non solo in Russia e in Ucraina. I musulmani radicali stanno distruggendo cultura ma il mercato dell’arte è forte. Non capisco come questo sia collegato, qualche businessman dovrebbe spiegarmelo così magari sarò capace di finire la trilogia: One Danaë, One Shit e ora non so cosa fare».
Alessandra Franetovich

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