02 gennaio 2020

Morandi e Longhi. Storia di un’amicizia

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Un legame trentennale ha caratterizzato le vite del pittore e del critico, protagonisti della Storia dell'Arte italiana. Con Bologna sullo sfondo

«Tutto quello che riusciamo a vedere nel mondo oggettivo in realtà non esiste così come lo vediamo e lo percepiamo. Per me non vi è nulla di astratto. Per altro ritengo che non vi sia nulla di più surreale e astratto del reale». Parole che bene spiegano la ricerca di Giorgio Morandi (Bologna, 1890-1964), l’artista italiano che più di ogni altro ha saputo incidere sul Novecento vivendo in un sostanziale isolamento rispetto a quanto a Parigi, Milano, Roma o in altre città si produceva e “bruciava”. L’artista, infatti, com’è noto, s’impose una vita appartata, legata al piccolo atelier di Via Fondazza a Bologna, nel quale praticava la sua arte calma e immobile, lontana dal clamore dei movimenti artistici a lui contemporanei. Isolamento che nel suo caso non è mai stato sinonimo di esclusione o disinformazione, quanto di fedeltà ad un preciso modo di sentire e percepire il mondo circostante, senza mai preoccuparsi di apparire fuori moda o, peggio, ripetitivo. Quello di Morandi è un caso eccezionale se non unico nella storia dell’arte. La sua vita ha rappresentato e rappresenta uno straordinario esempio di coerenza, di incorruttibilità morale prima che estetica, nel quale la grandezza di un artista avanza quella di un’intera città, pur grande e unica nel tracciato storico-artistico com’è Bologna. E di questa grandezza cittadina era ben consapevole Roberto Longhi (Alba, 1890 – Firenze, 1970), al punto da diventarne il più grande fautore, dedicando pagine memorabili agli artisti felsini, da Vitale da Bologna ad Amico Aspertini. Un tocco di “eccentricità padana” Longhi deve averlo individuato anche in Morandi. Eccentricità intesa come antidoto tanto alla retorica di Novecento italiano quanto alle trovate dadaiste e surrealiste. D’altro canto, rimanendo in termini di eccentricità, non si può fare a meno di associare l’amore di Longhi per Caravaggio a quello per la pittura di Morandi. Longhi nelle sue ricerche ha sempre cercato il filone del naturalismo che evidente si ritrova anche nel pittore bolognese che dalla realtà non si è mai allontanato. Longhi nel corso della sua sessantennale attività critica ha sempre cercato pittori che sono riusciti a vedere con naturalezza, in modo “umano e non umanistico” diceva. Si spiega così il suo apprezzamento per Morandi che è partito dalla realtà per spogliarla delle sue apparenze fino ad approdare all’essenza. Nature morte e “Paesaggi inameni” per dirla con Longhi sono le sole tematiche adottate dall’artista, punti fermi tra i quali dipanare la sua peculiare visione del mondo.

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Giorgio Morandi Natura morta olio su tela 1923 24 Museo Novecento Firenze Raccolta Alberto Della Ragione Fototeca Musei Civici Fiorentini

Morandi il pioniere contro i prodotti americani

Morandi è per Longhi “un vero pittore” che nella solitudine ha trovato la strada della sua singolarità, fermo restando, come ha scritto il critico riferendosi all’Aspertini, «che gli spiriti bizzarri in tempi inquieti, rischiano d’essere i migliori pionieri». E in un certo qual modo Morandi un pioniere lo è stato per davvero, forse inascoltato se in occasione della puntata del 1964 della trasmissione televisiva L’Approdo, al momento del commiato dall’artista, appena scomparso, Longhi si rammarica del fatto che la morte dell’amico lasciava il posto ad una «irrevocabile, disperata certezza che la sua attività resti interrotta, non continui; e proprio quando più ce ne sarebbe stato bisogno». Giacché, concludeva Longhi con immancabile vis polemica, «una nemesi capricciosa ma non priva di significato ha voluto che Morandi uscisse di scena il giorno stesso in cui venivano esposti a Venezia i prodotti della Pop Art». Con l’acume che sempre lo ha contraddistinto Longhi intuisce prontamente il nuovo corso della storia dell’arte dolendosi per la mancanza di Morandi nel quale evidentemente vedeva uno strumento efficace da contrapporre al dilagare dei “prodotti” americani. Tuttavia gli resta la consolazione che «la statura di Morandi potrà, dovrà crescere ancora, dopo che questo ultimo cinquantennio sarà stato equamente ridimensionato, dopo di che ben pochi resteranno a contarsi, forse sulle dita di una sola mano; e Morandi non sarà secondo a nessuno».

 

L’amicizia tra Longhi e Morandi

Nati entrambi nel 1890, Morandi e Longhi stringono amicizia a Bologna, dove l’uno viveva e l’altro insegnava dal 1934. Proprio durante una prolusione all’Università in cui ripercorre i momenti salienti della pittura bolognese, Longhi definisce Morandi “uno dei migliori pittori viventi d’Italia”, il solo che «pur navigando tra le secche più perigliose della pittura moderna, abbia però saputo sempre orientare il suo viaggio con una lentezza meditata, con un’affettuosità studiata, da parer quelle d’un nuovo incamminato». Da quel tempo ebbe inizio il loro lungo sodalizio improntato a una profonda e reciproca ammirazione. Frequentazione intellettuale e vicinanza di pensieri che continuano anche nei trent’anni a venire, com’è attestato dal carteggio tra i due, iniziato nel 1939, anno del trasferimento di Longhi a Firenze, e durato per tutta la vita, fino alla morte di Morandi. Corrispondenza che si intensifica negli anni Quaranta, quando la guerra – è Longhi a ricordarlo -dirada fino ad interromperla la consuetudine quasi quotidiana delle tornate critiche bolognesi.

Un rapporto stretto, leale, tanto più lodevole se rapportato alle personalità dei due protagonisti, che non si sbaglierebbe a definire ferma, granitica. Rapporto che nel 2014, in occasione del cinquantesimo anniversario della scomparsa di Morandi, è stato oggetto di un approfondito studio da parte della Fondazione Longhi di Firenze, scaturito in quello stesso anno nella mostra “Morandi – Longhi. Opere Lettere Scritti”, curata da Maria Cristina Bandera, direttrice della Fondazione, e nel relativo catalogo (Silvana Editoriale), magistralmente introdotto da Mina Gregori, che di Longhi è stata allieva prediletta. Proprio a quest’ultima si deve una considerazione importante sulla condotta metodologica adottata dal critico piemontese: «Longhi partiva dall’arte contemporanea per arrivare all’antico. Anche nell’antico ha cercato e individuato quei canali che anticipano o condividevano certe tendenze dell’arte contemporanea».

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Giorgio Morandi Paesaggio olio su tela 1941 Collezione privata Firenze

Un’amicizia trentennale dunque ha legato Longhi e Morandi, dal 1934, anno della loro conoscenza a Bologna, dove Longhi insegnava, ponendo le basi di una solida scuola critica italiana e oltre (si pensi alla sua importanza per un allievo eccellente qual è stato Pierpaolo Pasolini), al 1964, anno di morte del pittore. Giustamente considerato uno dei rapporti esemplari del Novecento tra critico e artista, il sodalizio che li ha uniti è sempre stato connotato da stima reciproca, consolidato da incontri e fitti carteggi proseguiti anche dopo la guerra. Proprio dopo il conflitto, tra il 21 aprile e il 3 maggio 1945, Longhi ordina una personale dell’artista alla Galleria Il Fiore di Firenze scrivendo nella presentazione una delle pagine fondamentali della fortuna critica del pittore bolognese: «Che soltanto scavando dentro e attraverso la forma, e stratificando le ‘ricordanze’ tonali, si possa riescire alla luce del sentimento più integro e puro, ecco infatti la lezione intima di Morandi e il chiarimento immediato della sua riduzione del soggetto che gira al minimo; l’abolizione, in ogni caso, del soggetto invadente che parte in quarta e si divora l’opera e l’osservatore. Oggetti inutili, paesaggi inameni, fiori di stagione, sono pretesti più che sufficienti per esprimersi ‘in forma’; e non si esprime, si sa bene, che il sentimento». Lo stesso testo Longhi lo ripropone, accompagnato da una lunga nota, all’esposizione delle opere morandiane alla Biennale di Venezia del 1966, la Biennale di Fontana, Burri, dell’optical e dell’ormai inarrestabile Pop Art.

Longhi e Morandi erano accomunati dalla medesima personalità schiva, austera, volta all’essenziale che per entrambi coincideva con la comprensione oggettiva delle cose. Lo testimonia tra gli altri anche il fatto che pochi giorni prima di morire Morandi si sia rallegrato con un suo amico di avere avuto la fortuna di una vita del tutto priva di eventi eccezionali. Una fortuna che oggi, nel variegato e divistico panorama dell’arte contemporanea, in pochi saprebbero cogliere e di cui ancora meno saprebbero gioirne.

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