30 ottobre 2001

Anche i tedeschi perdono la testa…

 

L’artista Antonio Riello è stato di recente vittima di un episodio di censura, scatenatosi a Dusseldorf dopo gli eventi dell’11 settembre. Le sue innocue “Ladies Weapons” sono improvvisamente divenute pericolose e oggetto di pesanti attacchi…

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Si sa che il panico è una malattia contagiosa, che annebbia il cervello e fa agire sull’onda di irragionevoli ansie. Sappiamo anche che in tempi come questi, attraversati da venti di guerra e minacce di epidemie planetarie, il panico diventa un problema che coinvolge la collettività, in una reazione a catena difficilmente arrestabile.
D’altra parte l’obiettivo del terrorismo è da sempre stato questo: diffondere il virus della paura, un virus capace di ferire e disorientare la società più di qualunque spora di antrace.
Ne sa qualcosa Antonio Riello, protagonista involontario di un episodio di ansia collettiva che ha portato ad un ridicol tentativo di censura delle sue opere d’arte. Il lavoro di Riello, che molti ricorderanno, è incentrato sul tema delle armi, che l’artista riveste di tessuti e strass, trasformandole in innocui Antonio Riello, Ladies Weaponsoggetti “glamour”. La serie Ladies Weapons, iniziata nel 1998, è una singolare collezione di “armi da signora”, fucili rosa shocking, pistole leopardate e bombe a mano dorate piene di cuoricini. L’arte di Riello, che egli stesso definisce “concettuale-ironica”, si confronta così con i lati oscuri della società contemporanea. “Le mie ‘armi’ sono semplicemente lo specchio e il simbolo della rimozione “estetica” – praticata dalla società attraverso la moda, il design, l’arte stessa, talvolta – della violenza che permea in profondità il nostro contesto sociale. Mi interessano i rapporti tra la percezione etica e la contraffazione estetica, che cerca di fare apparire ‘buono’ ciò che è semplicemente ‘bello’.”
Ma veniamo ai fatti: la mostra personale di Riello allestita alla Galleria VOSS di Dusseldorf, composta da una serie di armi di vari eserciti (ovviamente non Antonio Riello, Ladies Weaponsfunzionanti) rivestite con diversi tessuti gessati, è stata oggetto di attacchi pesantissimi. Ben commentata e affollata di visitatori nelle settimane precedenti, subito dopo il tragico 11 settembre l’esposizione è improvvisamente divenuta scandalosa e “pericolosa”.
Tutto è cominciato con un articolo della giornalista Helga Meister pubblicato su un importante quotidiano locale: il Westdeutsche Zeitung. La teutonica Helga chiedeva senza mezzi termini di chiudere la mostra che, puntualmente, nei giorni successivi ha ricevuto diverse visite della polizia, intenta a controllare scrupolosamente le opere/armi esposte. Il povero gallerista si è sentito addirittura consigliare di “cambiare genere” e di chiudere per “evitare problemi”, ed è stato bersagliato per alcuni giorni con pesanti telefonate di minaccia.
Antonio Riello“Il bello è che non si capisce neanche chi e perché si sente minacciato dalla mia mostra! Si tratta di una sorta di “terrorismo” alla rovescia figlio di fantasmi collettivi e isterismi di massa informi e non ben identificabili” ha commentato l’artista.
L’episodio è solo l’ultimo di una lunga serie, ma ogni volta che vediamo verificarsi storie come questa non possiamo fare a meno di stupirci. Ci stupiamo di come la paura generi idiozia, di come l’arte diventi stranamente quasi sempre il primo bersaglio della censura più retriva. Una chiave di lettura interessante ce la offre però lo stesso Riello che, superato lo sconcerto riflette: “Sembrava che ormai l’arte fosse innocua ed anestetizzata. Invece “disturba” e può fare addirittura paura. Ciò che mi è successo è in qualche modo indice di una sua vitalità.” Voi che ne pensate?

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Valentina Tanni

[exibart]

3 Commenti

  1. Tutta buona pubblicità per il bravo Riello.
    Tanto noi, le sue opere, possiamo liberamente vederle nella mostra “Generazionale” al LaMec di Vicenza, alla Basilica Palladiana.

  2. anche a palermo hanno censurato adalberto abbate per le svastiche …e la moda del momento..proibizionisti e antiproibizionisti dovrebbero andare in ferie.

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