06 novembre 2002

C’è un museo ad Arezzo?

 
di matilde puleo

Una agile analisi della situazione espositiva aretina. Un museo, una sala espositiva, alcuni spazi in restrutturazione, le mostre d’arte contemporanea in una chiesa sconsacrata. Le discutibili scelte del direttore e il ruolo dell’amministrazione. Ma ci sono, eccome, delle speranze…

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Ad Arezzo c’è un museo d’arte contemporanea. Arezzo ha un museo in fase di ristrutturazione ed una sala espositiva prestigiosa che ha avuto voce in capitolo sin dal lontanissimo 1959. Oggi però sono impensabili le ‘scommesse’ attive come allora o le attività espositive in spazi prestigiosi come quelli fiorentini di Villa Vogel e di Villa Carducci-Pandolfini, organizzati qualche mese fa in collaborazione con il Pecci per sopperire la mancanza fiorentina di un museo. Non si vedono neanche, nonostante le risorse in tal senso ci siano, bookshop come spazi espositivi e luoghi in cui vengono invitati gli artisti ad interagire come nel progetto Caveau delle Papesse di Siena e tutto resta in ambito più che localistico.
L’impegno dell’attuale Amministrazione si è concretizzato nell’arredare con laOttone Rosai Il cancelletto rosso, (1933) Olio su tela cm 57,5 x 70,7 Coll. Privata, Novara collezione alcune sale del palazzo comunale e di dare avvio ad un’attività espositiva nella Chiesa di S. Ignazio al quanto discutibile. Inutile dire che, nel frattempo, il pubblico aretino e quello venuto da fuori continua ad ignorare l’esistenza, la giustificazione e la storia di questo museo, mentre delle impalcature del progetto Branzi non si potrà che pensare ad una scelta politica ‘lungimirante’ nella volontà di ‘istituire’ un museo che sembra non esserci mai stato.
Siamo quindi giunti ad una nuova paradossale epoca in cui si dimentica che c’era una collezione invisibile per assenza di sede, a favore di questo attuale entusiasmo per un museo del quale non se ne conoscono né le opere né la storia. Finalmente sfilacciata la linea di continuità, i giovani perdono la possibilità di comprendere quali furono le ragioni e le scelte di chi li ha preceduti e di cui essi sono gli eredi.
Eredi di pezzi frantumati di passato che non sapranno a favore o contro cosa si potrà organizzare il futuro.

Giorgio De Chirico Le muse inquietanti (1916)Le scelte programmatiche del nuovo direttore, quando non sono confuse, sembrano avere un chiaro stampo commerciale. Basti pensare che l’evento inaugurale è stato costituito dalla proposta di una versione ridotta del Premio Arezzo che dal 1959 e per cinque edizioni segnò la storia artistica e culturale del territorio aretino e non solo. In seguito, il Direttore ha organizzato una serie di mostre che per marchi estetica e scelte, ricordano molto quelle delle gallerie commerciali proponendo nomi di volta in volta diversi quanto desueti. Abbiamo potuto vedere una mostra del de Chirico (nella foto) più commerciale degli anni Trenta; in seguito Utrillo, poi Ottone Rosai (foto in alto)ed Antonio Ligabue più Capitani, Bonechi e quest’ultimo Licata del quale sono in mostra, visto la grandezza del nome, solo ‘le carte’. Banditi i contatti col mondo, con i giovani, con l’arte un po’ più scomoda e con la città.
Si ignora del tutto la forza di un ruolo istituzionale incentrato sul pubblico. La possibilità di essere dei mediatori e punto di riferimento sia per il sistema dell’arte, che per chi ne fruisce e di questo, per di più, si è fieri.
Tuttavia, mai come ora il nome di Arezzo e del museo sono stati così in vista: qui si concretizza il paradosso tra importanti impegni finanziari circa la pubblicità e incapacità di testimoniare la propria storia. C’è da sperare che questa faciloneria non diventi ‘politica culturale’ per il resto della Toscana e che almeno per questo si dimentichi che ad Arezzo c’è un museo d’arte contemporanea.

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matilde puleo

[exibart]

7 Commenti

  1. Dispiace leggere così tante inesattezze, errori grossolani e giudizi critici superficiali in un editoriale scritto da chi non ha veduto neppure una delle mostre citate con inaudito pressapochismo( gli articoli correlati lo dimostrano).
    I fatti, allora, soltanto i fatti:

    – non è corretto parlare di Museo, quando quella a cui ci si riferisce è, almeno per ora, una galleria comunale d’arte contemporanea.

    – e’ un errore affermare che la “Vetrina del Premio Arezzo” – una Vetrina, non il Premio -, sia stata la manifestazione inaugurale del mio programma espositivo quadriennale. La mostra dedicata ad un noto autore contemporaneo – inaugurata da Michelangelo Antonioni – ha infatti preceduto di tre mesi tale rassegna.

    – E’ un altro errore scrivere che la mostra di de Chirico fosse incentrata sui cosiddetti “commerciali anni Trenta”. A rileggere giusto il titolo di tale esposizione, ovvero “Giorgio de Chirico. La metafisica del paesaggio 1909-1970”, si capisce che l’arco cronologico trattato fu allora molto più ampio, con eccezionali ritrovamenti e inediti riferiti anche al primo periodo boeckliniano dell’artista.

    – E’ un ulteriore errore scrivere che sono state fatte mostre di certo Capitani e di Bonechi (chi, Lorenzo o Claudio?), quando la realtà dei fatti dice che la scorsa estate ne è stata allestita soltanto una di Benedetta Bonichi, che è una giovane e talentuosa artista contemporanea (premiata, si può ricordare?, proprio in occasione della mostra aretina, con una targa d’argento del Presidente della Repubblica).

    – E’, penso io, almeno imbarazzante paventare una minore importanza delle carte di Licata rispetto ai suoi dipinti, quando i massimi esegeti di quest’autore, come i direttori dei musei internazionali più esclusivi, ne rivendicano, al contrario, il ruolo prioritario.

    Tanta incredibile disinformazione dà peraltro l’impressione di nascere da alcune, imbarazzanti omissioni:

    – perchè non dire dei 40.000 biglietti staccati negli ultimi due anni di attività espositiva della galleria comunale di Arezzo?

    – perchè non parlare dei costi eccezionalmente ridotti da essa sostenuti(90 milioni per un’antologica di de Chirico, 25 per una di Utrillo, 100 per una di Ligabue…), facendo, dunque, ricorso minimo al denaro del contribuente, quel contribuente che – cito da una lettera di un’associazione culturale di 200 soci recapitata al sottoscritto – “con la sua direzione ha finalmente potuto ammirare nella propria città quelle mostre che prima constavano di lunghe ore di attesa e di faticosi viaggi”?

    – perchè non informare dei libri, non semplici cataloghi, editi nelle varie occasioni?

    – perchè non riferire degli audiovisivi realizzati, a margine di ogni singola mostra, per le scuole?

    – perchè non citare le collaborazioni prestiose, gli interventi di rango che hanno accompagnato l’attività della galleria (cito, fra gli altri, Maurizio Fagiolo dell’Arco e Luigi Cavallo, studiosi di valore impareggiabile)?

    – perchè, infine, tacere l’indirizzo chiaro preciso, di un programma volto a rileggere e approfondire il Novecento storico, almeno quel Novecento che ha conosciuto e riconosciuto l’influenza di Piero della Francesca?

    Una tale, manifesta faziosità riconosce almeno, sul finire,un’esattezza: mai, prima d’ora, Arezzo e la sua galleria avevano avuto tanta visibilità. E, aggiungo io (con questa eccezione, che conferma peraltro la regola), tanto rispetto. Quel rispetto e quella visibilità che Arezzo merita ora e in futuro per la sua storia e la sua civiltà.

    Distinti saluti.

    Giovanni Faccenda
    Direttore artistico
    della Galleria Comunale
    d’Arte Contemporanea di Arezzo

  2. sono sinceramente sorpreso dall’articolo del 6 novembre sulla situazione di Arezzo riguardo l’arte contemporanea
    innanzitutto confermo la mia totale approvazione sia al Direttore Giovanni Faccenda che all’assessore Prof. Armando Cherici nella scelta delle mostre sino ad ora organizzate e poi intervengo, essendo parte in causa, al riguardo di un passo del suo articolo “Banditi i contatti con il mondo, con i giovani, con l’arte un po’ più scomoda e con la città”,
    la mia risposta a questo suo passaggio è che proprio dal 7 novembre nella Sala di Sant’Ignazio, sede della Galleria Comunale d’Arte Contemporanea, è stata aperta la Mostra STRIP! 2002, mostra che vede esposte tavole originali di ben cinque autori professionisti aretini di fumetto, tutti regolarmente al lavoro per la Sergio Bonelli Editore sui personaggi di Tex, Mister No e Nick Raider, oltre a loro sono esposte opere di due giovani artiste come Lucia Cheli e Valentina Davoli, Completa il panorama una presentazione del progetto “Termite Bianca” un progetto che intende realizzare un lungometraggio a 2 e 3D, anche qui gli artisti aretini sono presenti in forze.
    Ed ora dopo questa brevissima presentazione vengo ai vari punti:
    a) Banditi i contatti con il mondo
    Sarebbe sufficiente la promozione martellante che è stata fatta solo la settimana scorsa a Lucca Comics per indicare come i contatti con il mondo ci siano stati e non sono di certo mancati nelle precedenti mostre anzi sono io ad essere, al momento in ritardo per esempio sul sito internet di http://www.arezzoeventi.com
    b) contatti con i giovani
    il solo fatto che alla mostra seguirà l’offerta di un corso gratuito di fumettto e il grande interesse che la mostra ha dimostrato di ottenere, in soli tre giorni sono state oltre 5000 le reali presenze, evidenziano come il contatto non solo ci sia stato ma funziona
    sabato 9 si è svolto il primo degli incontri con gli autori e guarda caso proprio i giovani erano il numero maggiore rispeeto ai numerosi intervenuti
    c) l’arte un po’ scomoda
    La concessione della sede espositiva a STRIP!2002 ci sembra la corretta risposta a quanto impropriamente segnalato, infatti il fumetto, anche se d’autore, è considerato proprio, non da tutti però, “arte scomoda”
    d) i rapporti con la città
    qui lascio parlare i numeri dei reali visitatori, se non ci fossero questi rapporti perché sono intervenuti in numero cosi elevato

    concludo invitando la gentile redattrice a fare visita ad Arezzo per meglio comprendere l’attuale situazione ed eventualmente riscrive un nuovo articolo riparatorio e che riporti la verità

  3. questo sabato vado a torino per artissima, ma visto l’articolo, la prossima vado ad arezzo. signor direttore si trovi pronto (dunque aperto).
    In questa stagione arezzo la immagino interessantissima. pregusto.

  4. Credo che questo “Museo” , come viene insistentemente definito dalla signora Puleo , forse dimenticandosi l’attuale funzine di galleria d’arte contemporanea , non avrebbe ricevuto così tanti visitatori se fosse stato gestito in maniera diversa.Cara signora Puleo , io sono un giovane di ventisei anni , e visto che lei sembra preoccuparsi anche del nostro rapporto con l’Arte , forse non ha tenuto conto dell’ importanza di manifestazioni come la Vetrina del Premio Arezzo (da lei citata con toni spiacevoli ,tra l’altro),possano avere per avvicinarci a questo Mondo.
    Credo proprio che ad avere l’idee confuse sia lei.
    Distinti saluti

  5. Firenze, 13.11.2002

    Credo che gli ultimi due anni di attività della Galleria Comunale d’arte contemporanea di Arezzo siano stati particolarmente vitali e apprezzabili per scelte espositive, qualità delle opere presentate, organizzazione delle mostre, completezza, approfondimento e rigore dei cataloghi, iniziative a sfondo educativo per i giovani, eco di interesse suscitato. Più volte ho sentito mettere a confronto Arezzo con Firenze, per qualità delle manifestazioni organizzate, basti pensare alla mostra fiorentina “Continuità. Arte in Toscana 1945-200” articolata tra Firenze e Prato da gennaio a settembre di quest’anno, che sebbene tanto sbandierata si è rivelata un vero disastro culturale, del tutto settoriale, storicamente incompleta e fuorviante per chiunque volesse conoscere (in positivo o in negativo), i veri protagonisti dell’arte del ‘900 in Toscana.
    Ricordo che all’inaugurazione di una mostra ad Arezzo perfino un rappresentante del Governo Comunale fiorentino si complimentava con l’Assessore alla Cultura di Arezzo per la vitalità della Galleria Comunale d’arte contemporanea, manifestando scherzosamente di temere per Firenze di passare in secondo piano rispetto ad Arezzo.
    Questo articolo a firma Matilde Puleo, che certamente non si è documentata, pur senza un reale significato e ricco di errori forse un significato di fondo ce l’ha: l’attività degli ultimi due anni della Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Arezzo ha destato molto interesse e dà fastidio o fa paura a qualcuno.
    Vada ad Arezzo o guardi almeno i bei libri-catalogo delle recenti manifestazioni Sig.ra Puleo, e dopo riscriva qualcosa che non informi in maniera scorretta i lettori di Exibart !
    Distinti saluti

    Renato Conti

  6. Gentile dott. Faccenda,
    Secondo me fare politica culturale significa saper dimostrare qualcos’altro del semplice buon esito economico nel portare avanti un ente istituzionale e quindi pubblico.
    Ad Arezzo, la “galleria” fu istituita nel 1962 con questo nome per dare corso all’attività espositiva di arte contemporanea. Quando Mario Salmi fu nominato presidente onorario della galleria, l’intento era quello di spostare, un domani, la collezione di arte moderna attualmente visibile al museo Medievale, per poter finalmente istituire un “museo d’arte moderna e contemporanea”.
    Ad Arezzo quindi, la galleria si è sempre chiamata così, anche quando vi si svolgevano compiti da museo. Ha avuto una sua sede, una sua collezione, un suo passato espositivo, mostre didattiche, uffici stampa e sezioni didattiche, come qualsiasi altro museo.
    Si ricordi, inoltre, tanto per appellarsi alle parole che il Palazzo dei Diamanti di Ferrara, il Castello di Rivoli, la Rocca di Umbertide e il Pecci della prim’ora non si chiamavano museo e tuttavia, è corretto utilizzare entrambi i termini.
    Ciò che preoccupa è che Lei si appelli ad alcuni passaggi del mio discorso, evitando accuratamente il punto più significativo e cioè quello che si riferisce alla collettività ed alla responsabilità che ogni curatore e direttore artistico deve avere verso l’identità del contesto in cui andrà ad operare. Il compito dovrebbe essere quello di fornire i dati di una prospettiva più ampia che assicuri un effettivo dialogo con la città prima ancora che con la storia dell’arte. Ma, ancora una volta, si parla di ente pubblico – di museo- e lei dice ‘galleria’ continuando a farci pensare che il significato di questa parola abbia i connotati di una qualsiasi galleria commerciale.
    Una politica culturale, dicevo, basata solo sui dati del botteghino non dimostra molto perché di fronte all’assenza di scelta, alla fine ci sentiamo costretti a prendere ciò che ci viene imposto.
    Ed è proprio qui il punto: quando non si contestualizza il proprio lavoro, quando non ci sia accorge della città in cui siamo, si fanno scelte lontane dagli effettivi bisogni e si condanna la città stessa a vivere un vuoto di formazione, di cultura e di senso critico che è frutto di imposizioni piuttosto che di ricerca di senso.
    Conclusa la mostra di un De Chirico infatti, la città rimane sospesa a mezz’aria in una condizione metafisica appunto che è costituita da mancanza di proposte alternative e da lacune piuttosto che da quei semplici risvolti positivi dati dal non essere costretti a fare la fila.
    Ciò che non si capisce è come si possa pensare di fare cultura senza ascoltare le necessità del proprio pubblico e degli artisti locali. I quali come lei sicuramente saprà, sono attualmente costretti a ricorrere al ‘Cenacolo degli artisti’. Unica attività espositiva ma di serie B che vede tutti: ricerche facili ed altre più o meno interessanti, ospiti sotto un loggiato (praticamente per strada) con le loro opere esposte sui cavalletti personali.
    Mi scusi, ma quando si propinano manifestazioni come le sue, importanti e riconosciute a livello nazionale, si costringe chi vi abita ad un livello triste e si finisce con lo schiacciare la città con il decorativismo.
    L’arte è invece analisi, presa di coscienza della realtà e allargamento della consapevolezza del posto dell’uomo nel mondo. Lezioni tutte, delle quali mai come ora abbiamo bisogno!
    Non si criticano i nomi degli artisti in quanto tali quindi, ma il fatto che questi nomi non siano stati scelti se non per raggiungere gli obiettivi economici desiderati, e ciò ci testimonia di un’ulteriore mancanza di ascolto anche nei confronti degli artisti stessi in cui Lei crede.
    Perché appellarsi ai biglietti venduti invece che al lavoro critico e alla scelta?
    Se non sono autoreferenziali, queste mostre con chi si confrontano e perché non si riesce a vedere nessun filo conduttore?
    In questo senso, ad Arezzo, checché se ne dica Norberto, (prima mostra ed evento inaugurale, è vero) è fin troppo chiarificatore della mia critica e non l’ho usato per non approfittarmene troppo!. Norberto e De Chirico in questo senso, dunque appaiono oltre che ‘decorativi’ anche dei marziani.
    E marziani diventano effettivamente, specie se del lavoro di diffusione e di alfabetizzazione artistica nelle scuole bisogna farne una medaglia da appendere al petto, invece che considerarlo un dovere.
    Ecco perché 90 milioni sembrano una cifra accettabile per una mostra di De Chirico, e forse lo sono davvero, ma ci si è mai chiesti in quanti altri modi avrebbero potuto essere spesi questi soldi? E il guadagno com’è investito? Quale finanziamento è previsto per le attività culturali cittadine?
    Il guaio è che fare politica è relativamente semplice, mentre invece, addossarsi il peso della formazione permanente e dell’aggiornamento per garantire il diritto di cittadinanza, è un lavoro sotterraneo, ingrato, pieno di sacrifici e con risultati che non permettono di essere trascritti a caratteri cubitali.
    Piero della Francesca è molto di più dell’inizio del Novecento e del ‘Novecento’ della Sarfatti, e quindi io ci andrei cauta.
    Anzi, a dire il vero, i rapporti tra la galleria e Piero della Francesca sono solo di adiacenza architettonica!
    Concludo dicendo che per quanto riguarda la Bonichi, il mio è stato un errore di battitura frequenti in chi scrive, ma del quale tuttavia mi scuso ufficialmente con l’artista, la quale però, pur nella dignità effettiva del suo lavoro, rientra nel discorso fin qui esposto a proposito del ruolo di mediatore culturale che un museo-galleria dovrebbe avere.

    Tuttavia, Le auguro un buon lavoro! GlieLo auguro anche per me e per quanti hanno le mie stesse necessità.
    Distinti saluti
    Matilde Puleo

  7. Conosco Giovanni Faccenda come critico d’arte del QN (La Nazione/Il Giorno/Il Resto del Carlino). Di lui ho sempre apprezzato l’onestà intesa come obiettività verso gli eventi di cui ha trattato, la fedeltà alla sua interpretazione dell’arte e il rispetto per gli artisti che gli ha permesso di esprimersi e aprirsi verso orizzonti creativi senza remore e pregiudizi. A questo si aggiunge, coerentemente con il compito che un critico di una testata deve rispettare, la puntualità d’informazione e la competenza.
    Credo inopportuno attaccare chi si impegna a svolgere un lavoro sincero.

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