20 gennaio 2015

Contro l’integralismo “laico”

 
Ospitiamo quest’intervento sul massacro di Charlie Hebdo, pur non condividendo appieno le opinioni espresse. Convinti però che queste aiutino a riflettere in maniera non dogmatica

di

Charlie Hebdo è di nuovo in edicola, fedele a se stesso, come se nulla fosse accaduto. Nei giorni precedenti la sua “resurrezione”, innumerevoli analisti andavano commentando l’eccidio di Parigi e i drammatici avvenimenti in corso. Ci si interrogava, anche, sul ruolo che la satira riveste o dovrebbe rivestire a fronte di un fenomeno pericoloso e incontrollabile: il terrorismo di matrice islamista latente nei sobborghi delle città occidentali. Pareri da consegnare prontamente a un lettore più ansioso del solito erano affidati a chi è abituato a riflettere con ponderatezza, ma le conclusioni sono tuttora discordi: c’è chi è a favore di una libertà d’espressione senza condizionamento alcuno – il fronte continentale, abbastanza compatto –, e chi invoca al contrario una qualche misura e senso del limite – soprattutto dai Paesi anglofoni e, com’era ovvio attendersi, dalla Chiesa Cattolica, attraverso le dichiarazioni inappuntabili e colorite di Papa Francesco.
Vorrei unirmi alla schiera di questi ultimi, a chi per una volta riflette senza l’assillo ideologico di turno, coadiuvato nella mia analisi dalla prospettiva inconsueta e però decisiva del riscontro iconografico, terreno che propriamente mi compete. Non si tratta di un vezzo fuori luogo, date le circostanze, ma di verificare se alcuni indizi di natura eminentemente iconografica non abbiano da dirci, della tragedia di Parigi, qualcosa di fondamentale che ai ragionamenti dei più sembra sfuggire. 
Un leitmotiv emblematico quanto ricorrente di alcune vignette celebrative di CH rischia di rimanere ignoto: la contrapposizione tra la matita – la penna in genere – e l’arma. Due differenti strumenti offensivi si fronteggiano, l’uno metaforico, l’altro concreto, entrambi potenzialmente letali, i fatti di Parigi lo dimostrano. C’è lo schema del duello, della partita dei doppi, in quelle vignette, del Bene contro il Male. Automatico è assegnare l’uno e l’altro rispettivamente alla satira e al terrorismo e schierarsi di conseguenza. Sappiamo, con Clausewitz, che la partita della guerra è anch’essa un gioco di duelli, di mosse e contromosse, di pedine sacrificabili, e con Girard che commenta Clausewitz che lo scontro rischia, al pari delle vignette parigine, di non conoscere fine. Quello che sia la guerra sia la satira manichea di CH veicolano è propriamente il misconoscimento dell’ontologia speculare che sottende ogni duello, della verità per la quale i “fuochi” sono buoni o cattivi a seconda degli osservatori. Del tutto irrilevante è sapere a chi realmente spetti l’orizzonte del Bene e quello del Male: o si disinnesca la sticomitia agita come quella solo rappresentata, l’altalena delle ritorsioni che genera le due polarità, o si rischia di precipitare nel sangue dove le caselle d’appartenenza si confondono e non ci si distingue più. La violenza mimetica è come la peste, finisce per annullare ogni differenza tra chi attacca e chi difende e, in ultima analisi, tra i duellanti stessi. Sia chiaro tutto ciò non in prospettiva: è la condizione umana, per lo più. 
Solo un dio potrebbe osservare le controparti giocare a ruoli alterni la medesima partita di scacchi identitari, i quali, essendo “matti”, non possono riconoscere le proprie mentite spoglie. Lo scacchiere umano è immanente e continuo, non contempla confini spazio-temporali da poter oltrepassare: dal labirinto dei cori, degli insulti e della violenza reciproca che, imprigionando i duellanti, contribuisce a identificarli, non è dato uscire se non attraverso l’ausilio di quel punto di vista oltremondano che non riusciamo, non possiamo “incarnare”. L’antropologo e letterato René Girard ha speso negli ultimi decenni molte pagine fondamentali a questo proposito, che la Francia e l’Occidente in genere farebbe bene e in fretta a (ri)scoprire. 
95425
Occorre rilevare come, di fronte a una pace inaccessibile e ostaggi di trincee permanenti, si possa quantomeno giocare agli strateghi. Non è lecito attendersi, tuttavia, che la prima mossa volta a decostruire l’onto-teologia scacchistica spetti a un nemico che, non potendo fare ricorso né a Cristo né ai Lumi, non può prevederla. Essa è una nostra prerogativa sia pure solo teorica, la quale non aspetta che di essere verificata nell’unico modo consentito: la cessazione delle ostilità o l’inizio di un’auto-consapevolezza che non necessiti di un avversario per puntellarsi in superficie. Se la prima opzione ci appare velleitaria, forse non lo è la seconda. 
Ferma restando la condanna senza appello dell’atto terroristico parigino, che anche il fronte islamico moderato avrebbe il dovere di affidare ai megafoni, un tentativo retroattivo di recuperare noi stessi potrebbe essere quello di riconoscere alle vignette di CH un integralismo “laico” pari e contrario al fondamentalismo religioso, sorvolando sul fatto che usiamo appaltare il lavoro sporco a milizie stipendiate, missili e droni così da alienare le nostre responsabilità criminali. Limitiamoci, cioè, unicamente al piano dell’invettiva. Se instillassimo per primi in noi stessi quantomeno il dubbio che un’idolatria della libertà d’espressione sia comunque idolatria, e non l’esercizio di una ragione davvero libera perché dialettica e responsabile, forse si tratterebbe di un piccolo passo nella giusta direzione, di essere addirittura d’esempio ai nostri avversari. 
Non a caso Francesco Bonami, uno che il polso delle immagini lo avverte e che non è certo allergico alle provocazioni, su La Stampa di venerdì 9 gennaio è stato tra i primi a riconoscere come CH abbia oltrepassato i limiti di una satira spregiudicata, la quale se non è un pranzo di gala, nemmeno fa del terrorismo una vignetta. Proviamo a rincarare la dose, incamminandoci su sentieri anche iconografici che denunciano, se non l’identità ontologica delle controparti, quantomeno una loro inquietante prossimità. 
Un’attitudine peculiare dell’Homo Sapiens/Necans accomuna senza dubbio tanto i terroristi di Allah che i vignettisti della libertà: il sacrificio. Nel momento stesso in cui la “fratellanza” di rue Nicolas Appert 10 decise che non doveva più rispondere a niente e nessuno, se non naturalmente a se stessa e a una legislazione in materia particolarmente lasca e che affonda le sue radici nella Rivoluzione, la ragione che sotto quegli stessi cieli si autoproclamò sovrana fu persa e la tracotanza fece il suo ingresso trionfale nelle edicole di Francia. Il DNA, si sa, non muta facilmente. Cos’altro erano le intemperanze diplomatiche verso il Corano e i suoi fedeli – per non scomodare le altre due religioni abramitiche – così ingenuamente equivocate per il diritto inalienabile di dire, scrivere e disegnare ciò che si vuole, se non l’antica hybris che faceva capolino? Non rammentava esattamente, lo spirito redazionale al completo, una Psiche intenta a bruciare il potente Eros con il suo pallido “lume”? 
95426
Come l’aquila di Zeus affonderà inesorabile il becco nel fegato ingrossato di Prometeo, dissacratore ante litteram dell’autorità divina, così il castigo di Allah non si farà attendere a lungo, veicolato stavolta da un manipolo di lupi assassini. Non più riconducibili a un San Sebastiano trafitto da penne stilografiche, gli adepti di CH affronteranno stoicamente, sull’altare della loro dismisura, un destino preannunciato da tempo ma che forse, chissà, si sarebbe perso per strada. Senonché il sacro è puntuale, siamo noi ad essere in ritardo sul suo determinismo radicale; esso rovescia quei vicoli ciechi che sono le nostre coordinate ideologiche in planimetrie labirintiche che non lasciano scampo. 
Vittime e carnefici raggiungeranno insieme e appassionatamente i tanti martiri immolatisi in nome dei loro credo particolari, e in barba a un principio di contraddizione sempre sbandierato e ogni volta disatteso. E i cugini moderati di CH, i quali magari non coltivavano affatto il medesimo disprezzo della vita? Come la mettiamo con le quattro vittime, tanto per cambiare ebree, che hanno pagato un conto non richiesto? O con l’opzione primogenita di Coulibaly, sfumata solo per miracolo, di compiere un’ecatombe di “agnellini”? Forse che la redazione di CH assoldò tutti i pargoli di Parigi, in vista di vignette che avrebbero sacrificato Isacco al dio sbagliato? Dal canto loro i terroristi, goffi quanto i loro doppi vignettisti, assicurarono di non voler eliminare i civili ma solo le milizie, quali evidentemente reputavano essere i nemici del Profeta armati di pennello e naturalmente le forze di polizia. Ma si sa, in ogni conflitto l’eroe trascina con sé cilindro e bombetta, rendendoli partigiani loro malgrado e, di concerto, vittime. L’apologia di reato di CH è soltanto negata dalla facciata terroristica, è pietra angolare del medesimo edificio di violenza. 
Con quanta protervia squisitamente totemica, appena il giorno dopo, il nuovo sacerdote di CH Gerard Biard ha annunciato che mercoledì 14 gennaio il settimanale satirico sarebbe apparso nuovamente in edicola senza alcun ripensamento nelle direttive editoriali, e anzi con rinnovata determinazione corroborata dall’orgoglio nazionale? Così è stato, promessa mantenuta e record di vendite. Prima tutti in piazza, a rendere omaggio al milite noto e a quello ignoto, uniti al grido unanime di Je suis Charlie! Come se si avesse il diritto, affianco a quello sacrosanto di adunare una “muta del lamento”, di trasfigurarla in “muta di guerra”, di arruolare un’intera Nazione; come se la rapacità di un manipolo di snob militanti non fosse paga di venti vittime e anelasse a fare proseliti, a evolvere in appetito di massa (nel senso di Canetti, proprio). Le vittime ci sono e si contano, ma non autorizzano – non tutte almeno – la celebrazione di quelli che vanno considerati tra gli istigatori dei loro assassini, né una partecipazione mistico-plebiscitaria non dissimile da quelle dei fanatici che si pretende di fronteggiare. Chi si è unito e si unirà alla massa dei Buoni – vivi e morti – almeno sappia che è arruolato. 
95427
Ce l’avrebbero spezzata davvero, la matita, se la battuta di spirito anche feroce non fosse sfumata nella bestemmia intenzionale? Prima di scivolare nell’irreparabile le comunità di riferimento dei tre assassini non chiedevano, insistentemente quanto legittimamente, di smetterla di insultare il Profeta e il suo Signore perché in particolare la loro religione non sa, non riesce, non può tollerare l’offesa? Si controbatterà: che diritto hanno di chiuderci la bocca? O anche: le vignette sono solo un pretesto, in loro assenza avrebbero colpito altri bersagli. Questioni irrilevanti, un terrorista non sa che farsene del nostro universalismo secolare e mira dove mira. Restiamo dunque ai fatti: le vignette c’erano e purtroppo ci sono ancora, e hanno provocato una strage. Siamo stati noi stessi, con l’aiuto dei nostri sicari, a tapparci la bocca; a trascinare nel sangue, inconsapevolmente complici, quel dominio dei segni che ciascuno pretendeva per sé. Se neghiamo un registro retorico buono solo a schierarci, ovvero a dis-orientarci, per far posto a un suo analogo esclusivamente empirico, la conclusione necessaria è che siamo corresponsabili degli eventi perché «chi insulti la mamma di qualcuno, non può che ricevere un pugno in tutta risposta». Trattasi di buon senso sia esplicativo sia preventivo, e non di prescrizione reattiva, come qualcuno ha voluto intendere. Come a dire che al violento che prospetta di ucciderci non diamo mica dell’incivile, retrogrado e superstizioso: cerchiamo di calmierarlo, cominciando con il non provocarlo per primi. Che a rammentarci dei lineamenti di logica elementare debba essere il Pontefice rasenta veramente il colmo. La sua anche è una vignetta dissacrante, ma all’indirizzo di una laicità irragionevole.
Se la bestemmia fosse vietata e punita si scongiurerebbe la giustizia privata, è l’assennata proposta di Eugenio Scalfari – che andrebbe estesa all’intera UE e limitata all’illecito amministrativo, aggiungiamo. Nel frattempo non sarebbe il caso, previa denuncia di un solipsismo conclamato in voga tra i paladini della logorrea satirica, di lasciare interamente ai violenti la responsabilità dello scontro progressivo che si va profilando anche per colpa di CH, sottraendo loro, per quanto è possibile, ogni alibi, pretesto e scintilla? Perseverare negli insulti al credo islamico significherà fomentare ulteriormente la violenza, gettare benzina sugli impulsi sadomasochistici loro e nostri, creare contrapposizioni da stadio che porteranno altro sangue, il tutto in nome di una libertà di parola che, senza briglie, non può che smettere di essere tale per servire un comune e oscuro desiderio di morte. 
95429
Vorrei citare, riadattandola alle circostanze, una delle definizioni di intelligenza elencate da Umberto Galimberti: «C’è un’intelligenza dialettica che consiste nel comprendere come il nostro interlocutore possa non condividere il medesimo orizzonte culturale, dai cui segue che ogni sforzo di piegarlo alla nostra superiore ragione possa non solo dimostrarsi vano, ma rischi di offenderlo e infine di inimicarcelo, restituendoci quella stoltezza che credevamo di non possedere perché riposta interamente nell’altro». Anche non condividendo l’idea che una satira offensiva verso qualsivoglia religione sia fondamentalmente sbagliata e anch’essa “integralista”, occorre che si abbia ben chiaro che il fanatismo islamico e una larghissima fetta di islamici moderati non sono in grado di apprezzare un’ironia graffiante come quella di CH, né tantomeno un sarcasmo feroce. Essi possono solo subirla, con il rischio concreto e reiterato che ripaghino le nostre sottili rappresentazioni con azioni altrettanto sottili, solo più fragorose. 
Le élite occidentali in genere dovrebbero rammentare che laicità e ateismo sono i frutti recenti di millenni insanguinati, che non tutte le genti del Pianeta possono e vogliono sostituire il Tempio col Granaio nei medesimi tempi e modalità luttuose. Ogni considerazione in merito al fondamentalismo islamico che non tenga conto di un tale principio di realtà antropologico, assecondando al suo posto le deformazioni ideologiche più variopinte, vignette comprese, non può che risolversi in stigmatizzazioni del nemico che solo contribuiranno a divinizzarlo. 
95428
Questo vuole dunque essere un appello alla responsabilità di tutti i Charlie Hebdo di oggi e di domani e degli Stati che li ospitano: non si alimenti l’appetito senza fondo di una divinità rapace con viscere umane che ricrescono non appena dilaniate. Il proverbiale timore dei Numi non era vigliaccheria – ci mancherebbe –, era senso del limite. Al pari di ogni altra divinità, è lecito ritenere il temibile dio dell’Islam frutto dell’umana superstizione, ma per ciò stesso lo si tema e rispetti ancora di più. La “divinità” va intesa in quanto “di nessun uomo”, non è che la violenza mimetica degli uomini la quale si può imbrigliare e cavalcare solo finché non si è disarcionati, e succede sempre. 
Chi proprio non vuol sentire ragioni, ragioni di Stato comprese, nell’armamentario del suo integralismo laico contempli se non altro un po’ della furbizia e del pragmatismo di Ulisse. Il quale mai avrebbe consentito ai suoi compagni di sollecitare un coinquilino già irascibile di suo con un umorismo adolescenziale alla CH, né gli avrebbe sbandierato in faccia i suoi attributi di maschio alpha. Semmai sarebbe ricorso all’arguzia proto-laica ma ancora divina di Atena, tanto da escogitare di essere Nessuno nella circostanza paradossale di un Polifemo accecato. Omero aveva capito che disarticolare lo scontro è più efficace che parodiarlo sull’esempio di un gregge “espiatorio” che fa l’orso delle caverne cieco. L’onto-teo-zoologia di questo tipo di vignetta, alla lunga, avrebbe ricacciato il gregge nelle grinfie di Ciclopi dalla vista aguzza e che preferiscono l’uomo, al capro che lo nasconde, rappresenta, “disegna”.  
Roberto Ago

3 Commenti

  1. La satira di Charlie Hebdo non piace neanche a me. Mi sembra un intervento nel complesso condivisibile e misurato. Scalfari ha effettivamente accusato il Papa per un pugno contrario alla ragione di Voltaire, travisando il senso della frase di Bergoglio. Alfredo

  2. L’autore mi sembra un po’ ambivalente sulla questione del fanatismo, anche se il testo procede in maniera lineare e i ragionamenti sembrano funzionare apparentemente senza sbavature.
    Trovo semplicemente pretestuosa (per non dire ridicola) la lettura dei “segni”. Ci vuole coraggio per accostare il nero del lutto dei cartelli “Je suis Charlie” al nero delle bandiere dell’ISIS. E poi perché usa il verbo “arruolare”, a proposito della manifestazione parigina? Scrive: “Arruolare un’intera Nazione”. Dov’erano le armi? Durante il corteo di Parigi c’erano due milioni di persone impegnate a manifestare pacificamente, in maniera determinata e coesa, contro l’inaccettabile violenza di un gruppo di estremisti. Contro degli assassini spietati.
    Quanto allo smettere di pubblicare le vignette che offendono la sensibilità di milioni di musulmani come viatico per “fermare” la furia dei fondamentalisti, il discorso potrebbe forse funzionare tra 2 vicini di casa che litigano per divergenze di vedute, ma non per una società intera. Le società sono complesse e gli equilibri e i valori su cui si fondano non sono negoziabili. Diversamente vuol dire scendere a patti con gli integralisti. Diversamente vuol dire elevare la violenza a strumento. Diversamente vuol dire ammettere le regole oppressive di un potere perverso e sì, incontrollabile.
    Il compromesso, come soluzione per calmare gli animi, non è accettabile. E non perché siamo “fanatici della libertà”. Ma proprio perché siamo liberi.

  3. Gentile Valentin,
    se per ambivalente intende che mi faccio carico, senza scinderlo in due, di un campo semantico altamente contraddittorio quale sono i fatti di Parigi, ha perfettamente ragione. Lei al contrario è un perfetto esempio di partigianeria, e naturalmente così il suo avversario.
    1) Ecco perché non accosto tanto il nero delle bandiere né ciò che veicolano, ma il comportamento di due opposte tifoserie. Non mi interessa schierarmi perché perderei la visione d’insieme. Se lei osservasse dalla Luna le due piazze senza nulla sapere dei rispettivi credo, vedrebbe due gemmelli diversi che si combattono allo stesso modo un po’ come allo stadio. Finché non riconoscono di giocare la medesima partita, né i buoni né i cattivi usciranno dal match, mentre le ragioni dell’uno e dell’altro non fanno che fischiare di nuovo insieme il calcio d’inizio. Peccato solo che non di calcio si tratti.
    2) Di qui il verbo “arrulare”, che non necessita di armi per essere impiegato metaforicamente. Come bomber, punta, cannonata…
    3) Non ho suggerito di smettere di pubblicare vignette, per quanto siano piuttosto mediocri, ma solo di non rappresentare più il Profeta e il suo Signore perché la religione islamica purtroppo non lo consente e sarebbe gesto cortese da parte nostra non farlo. Bestemmiare la Madonna in Italia non si può farlo per analoghe ragioni: loro sono da meno? Purtroppo almeno in questo la Francia non è l’Italia.
    4) Se proprio non ci si tiene, ad essere cortesi, lo si faccia almeno per furbizia: milioni di musulmani pacifici ce ne sarebbero grati e i terroristi dovrebbero escogitare più seri pretesti. Ha presente la Pax romana? E poi scusi lei, se va ad asparagi, con una vipera viene o non viene a patti, e allora indossa gli stivali invece di insultarla dicendole che è velenosa? Guardi che non è molto diverso.
    Come se non bastasse, con CH proprio non vede l’ombra della speculazione economica cavalcare lo scontro pre e post attentato? Mica sono Saviano che informa l’opinione pubblica a rischio della vita, disegnano Maometto senza dir nulla che già non sappiamo a un prezzo maggiorato perché allargato alla comunità: non le pare un’idiozia?
    4) Infine, il compromesso inaccettabile per lei e per tutti i guerrafondai mascherati da benpensanti è esattamente una divisa che denota l’altro come nemico.
    Comunque le risposte alle sue domande erano già tutte contenute nell’articolo.
    Saluti RA

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui