10 aprile 2008

CRITICA DELL’ARTE REALE

 
di marco d'egidio

Il film di Sergio Rubini Colpo d’occhio è un duro atto d’accusa nei confronti del cinismo spregiudicato del mondo dell’arte. Mentre le leggi del mercato hanno svuotato della propria missione l’impresa artistica, la figura del critico professionista ristabilisce l’equilibrio nel caos. Sancendo così il proprio potere...

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Il fondo cinico e crudele del mondo dell’arte contemporanea è al centro dell’obiettivo di Sergio Rubini nel film Colpo d’occhio. L’attore e regista interpreta la punta di diamante affilata, preziosa e durissima della critica italiana: uno squalo circondato da belle donne e parassiti che, con poche battute, è in grado di decretare il successo o l’anonimato di un artista (meglio essere stroncati che ignorati, in fondo è tutta una questione di notorietà). Nelle sue grinfie cade, con qualche colpa, un giovane scultore pronto a tutto pur di avere l’opportunità di mettersi in mostra. Al centro, una donna triste e bellissima, che della penna sa ancora fare un utilizzo etico e non soggiogato all’odore dei soldi: buon maestro non fu Rubini. Fra i tre personaggi nasce un triangolo in cui amore e fame di potere si intrecciano fino a creare l’ineluttabile tela di un destino senza redenzione; ma l’arte ha colpa, alimentando sogni impossibili e diventando strumento di una trama delittuosa.
Oltre ai meriti del film, un thriller all’italiana con buon ritmo e interpretazioni azzeccate (soprattutto Vittoria Puccini, meno Scamarcio), punto d’interesse è la rappresentazione un po’ grottesca di un elegante e patinato mondo dell’arte reale (così intendendo la sfera di relazioni, interessi economici e giochi di potere che occupa il mercato dell’arte). Quale verità, se di questo si tratta, ha svelato Rubini assommando sul suo personaggio un mix letale di vizi e deformazioni caricaturali?
Innanzitutto occorre dire che il professor Lulli non può essere rappresentativo della categoria dei critici perché gli eccessi di cui si fa campione nascono, La locandina di Colpo d'occhiopiù che come conseguenza necessaria di un meccanismo esterno quale il mercato artistico, in quanto effetto di nevrosi e complessi personali. Ma il merito del film è aver individuato proprio nel critico professionista (e moderno: anche Leon Battista Alberti lo era, a suo modo) l’anello che ha modificato la catena, trasformando completamente l’arte e con essa i canoni estetici. Il critico, figura inevitabile del mercato dell’arte grazie alla sua capacità di orientare il giudizio dei fruitori-consumatori e di anticipare le tendenze con la stessa efficacia di una sfilata di moda, è il vero elemento distruttivo della tradizione, e ciò non è necessariamente un male.
L’arte, al termine del vorticoso susseguirsi delle avanguardie che rappresentano l’ultimo sussulto della tradizione prima dello spegnimento, il definitivo affannarsi della creatività alla ricerca dei limiti di se stessa, è oggi mercato globale al pari di un qualsiasi bene di consumo, e l’offerta si è moltiplicata in nome della democrazia artistica (relativista). Se a questo si aggiunge la mancanza di una selezione all’ingresso che, ad esempio, esisteva nelle botteghe del Rinascimento, in quanto la tradizione si esprimeva di maestro in allievo e altro spazio non esisteva, si può capire come la figura del critico s’inserisca fra produzione artistica e mercato nella precisa posizione di selezionatore in uscita.
Questo spostamento del momento in cui si “decide” che cosa è arte e che cosa non lo è il principale responsabile del proliferare della novità bizzarra, del gusto per lo stupore. L’eccentricità innovativa delle opere contemporanee è la ricerca inconscia del giudizio positivo, poiché gli artisti stessi, self-made men, non sono sicuri di essere tali, e forse credono che l’arte sia morta. Grazie al critico, di cui nel film di Rubini è tracciato un ritratto caricaturale in versione paternalista, si è reinserito l’imbuto che ci protegge da un’ondata, questa sì davvero relativistica, di schizzi inutili. Un ritorno al passato non è possibile finché l’arte sarà mercato e il critico ne sarà arbitro necessario. Quindi non è possibile tout court.
Una scena del film Colpo d'occhio con Riccardo Scamarcio e Vittoria Puccini
Colpo d’occhio
, focalizzando sull’ego diabolico del critico, eccede volutamente nella rappresentazione, ma non sbaglia mira nell’individuazione del momento di crisi (cioè cambiamento) dell’arte. Che coincide con l’avvento della critica professionistica.

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marco d’egidio

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9 Commenti

  1. “Oltre ai meriti del film, un thriller all’italiana con buon ritmo e interpretazioni azzeccate (soprattutto Vittoria Puccini, meno Scamarcio)”

    Con tutta la buona volontà, di meriti in questo film ne ho trovati veramente pochi, se non uno solamente che risiede nell’idea svelata all’ultimo dell’arte che muore per mano della critica e di un circuito malsano che ormai l’avvolge. Gli unici a morire sono Scamarcio e il suo bambino, che nemmeno viene al mondo. Quindi, l’artista e la sua creazione. L’artista ad un certo punto si ritrova in una situazione tale per cui la propria opera(quella autentica), frutto della sua creatività, perde forza e non vede la luce.
    Quanto alle interpretazioni, a parte quella inevitabilmente perfetta di Rubini, mi pare che sia Scamarcio, quanto anche la Puccini, fossero decisamente al di sotto di ogni decenza.
    Il film, nel complesso, è fatto male. Definirlo thriller significa farlo rientrare in un genere, cosa che non mi pare possibile.

  2. Complimenti per l’articolo .
    Si capisce che l’autore è persona colta e raffinata. Ultimamente è diventato difficile trovare giornalisti capaci di appassionare con uno stile garbato e concreto.
    Sono troppi quelli che antepongono alla chiarezza del concetto, saccenza ed aggressività e ciò probabilmente è dovuto ad un’ accecante voglia di protagonismo .

    Sono sicuro che qualunque altro giornalista non si sarebbe fatto sfuggire la ghiotta occasione di massacrare Scamarcio perdendo di vista tutto il resto.

  3. L’articolo è ben scritto. Rispetto al film bisogna dire che una figura di critico così delineata in Italia si è estinta dopo Bonito Oliva, con l’eccezione puramente mediatica di Sgarbi. I critici che apparentemente contano oggi avvallanno passivamente scelte del sistema, non sono loro a determinare la scena, mentre i pochi davvero indipendenti sono costretti a muoversi in situazioni di nicchia.

  4. l’arte è sempre stata anche mercato, e non può esistere interamente al di fuori del mercato, per il semplice fatto che il mercato è il luogo di incontro delle persone interessate, che sia arte moda o scrittura, cui l’artista si rivolge. nella storia le logiche del mercato sono cambiate, ma non c’è mai stata storia senza mercato. forse, preistoria, certamente nemmeno Unione Sovietica o Cuba. stabilita questa ovvietà assai spesso dimenticata (forse anche dall’estensore?), e cioè che il mercato è l’ossigeno dell’arte, e che tolto l’ossigeno morta l’arte, l’aspetto molto discutibile è la logica del mercato. ma spesso, sopravvalutata: assurta ad alibi, della flebile ispirazione, del balbettio delle coscienze, della perplessità diffusa nella vita di ciascuno almeno nelle ore che si consumano al di fuori di un centro commerciale, e perciò anche nelle vite degli artisti. i critici, ne esistono di diverso valore e gusto: mi scelgo i miei, e li leggo volentieri, senza subirli come depositari di verità che nel nostro mondo non esistono più. sono pallide guide, evanescenti figure che propongono nelle nebbie del presente delle possibili regioni abitate dalla poesia: armati di qualche conoscenza e sensibilità e talvolta di inconfessabili interessi. pretendere un’arte diversa è volere un mondo diverso: liberi di provarci.

  5. Credo che gli amanti dell’arte ascoltino se stessi nella scelta delle opere,pertanto non si fanno influenzare dal mercato fatto dalla televisione e da qualche avaro critico d’arte!
    Questo credo che sia il succo del bel film!

  6. l’articolo è interessante, seppure benevolo. Parte da un punto di vista classico, in abse al quale vi è un punto alto dell’arte, contaminato dal mondo marcio degli interessi particolari personali ed economici, rispetto ai quali viene da parlare di crisi dell’arte. Ma quando mai? piuttosto il film tocca una corda della realtà viva e pulsante: l’idealismo idiota e consolotario che vuole dare un senso universale dell’arte, che esiste solo nella mente provata di poveri ed eterni illusi, è il sottofondo di un mondo reale, per nulla in crisi, in cui arte è rapporti umani, e come tali relazioni tribali e biologiche, questa è l’arte: un mezzo di sopravvivenza per commercianti dell’idealismo, niente di diverso da patate, tubi in alluminio o dosi di eroina. Quindi il film non è altro che una porta ad un vezzo costante, anche se poi i toni da neoralismo e felleuitton lo portano a smorzare le potenzialità espressive, insomma non male ma un altro film della sciagurata vena italiana.

  7. è l’ennesima variazione sul tema lui, lei l’altro, cambia solo l’ambientazione, ma chi ha ricostruito lo sfondo, ne ha saputo cogliere un aspetto nodale: se il critico fosse un venditore di tubi, come taluni auspicano, non avrebbe più quegli argomenti che consentono a un vecchio privo di requisiti fisici e morali, di avere la meglio sul suo rivale giovane e bello. chiaramente le questioni etiche sono solo un retaggio old fashion, forse i vecchi maschi di potere stanno lasciando alle giovani donne una piccola nicchia di mercato?

  8. Concordo con te sull’importanza della figura del critico d’arte, ma penso che il discorso vada esteso anche ad altre figure, quali ad esempio, quella del gallerista e quella del curatore. Le gallerie d’arte nascono con l’800 e costituiscono la base del cosiddetto mercato dell’arte, di cui dettano le leggi al punto da costituire una vera e propria lobby economica in questo settore. Il curatore, che in fin dei conti è una delle tante incarnazioni del critico d’arte, a sua volta si preoccupa di dare un certo “taglio” ad una mostra ed ad un artista, in definitiva promuovendolo. Lulli, infatti, nel film sconvolge e guida la vita del protagonista più come curatore che in quanto semplice critico. Egli non funge tanto da giornalista-recensore, come fu a suo tempo anche Baudelaire, quanto da promoter ed agente. E’ il grande burattinaio, ed è tale perché si muove direttamente nel mercato, influenzandolo, non perché fornisce un semplice giudizio di gusto.

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