12 gennaio 2011

DALLA CRISI DELLE IDEOLOGIE ALLA CRISI E BASTA

 
di luca arnaudo

La visita a due mostre di provincia diviene l'occasione per riflettere sul complicato quanto delicato tema dei rapporti fra arte e società. Senza tema di prendere posizione...

di

Tempo fa, in giro per la piovosa campagna piemontese, mi sono imbattuto
a Cherasco in una mostra dal titolo Sironi, Guttuso, Vedova. Arte e
ideologie politiche a confronto
. Le opere esposte non erano granché, va
detto: tremenda poi nel suo complesso la sezione dedicata a Guttuso, ennesima conferma della
mediocrità di un pittore che dovette le proprie fortune a condizioni partitiche
più ancora che politiche (e si ricordi, per contrasto, la malasorte che toccò
invece nello stesso periodo a Giulio
Turcato
, ostracizzato
dal Pci togliattiano per le sue imperdonabili, splendide devianze astratte).

L’operazione critica così allestita, ad ogni modo, nel contrapporre pur
schematicamente la destra di Sironi alla sinistra di Guttuso e
Vedova, consente all’osservatore di
riflettere un poco sulle dinamiche proprie di artisti e gruppi del secolo
scorso, così come innescatesi a partire da ideologie intese quali vere e
proprie fedi sociali. Al tempo stesso, l’occasione porta a interrogarsi sulla
fisica della storia e dello spirito che ha portato allo scioglimento attuale di
ogni rapporto fra arte e società, all’evaporazione della presenza critica immediata
dell’artista nella società (italiana, va da sé, ché un discorso più ampio
sarebbe qui impossibile, se non altro per spazio).

Sottolineavo l’aspetto dell’immediatezza perché è evidente come non si
possa chiedere agli artisti di ricoprire un ruolo sociale di per sé (a pochi
chilometri da Cherasco, per dire, ad Alba, è in corso una splendida
retrospettiva sulla pittura di paesaggio di Giorgio
Morandi
: forse
uno degli artisti più appartati e schivi del Novecento, ma chi avrebbe
l’avventatezza di negarne il magistero? Una bellezza come interna necessità ed
esterna misura, viene da dire, è in ogni tempo la vera rivoluzione propagabile
dall’arte, ma andiamo avanti).

Giorgio Morandi - Paesaggio - 1935
E tuttavia colpisce come negli ultimi decenni, dagli anni ‘80 almeno,
sia venuta meno anche la costante – fino a quel momento praticamente
antropologica – degli artisti (non di spettacolo, sia ben chiaro) che aspirano alla
ribalta sociale conducendo discorsi dichiaratamente politici, occupandosi cioè
del presente nel presente, con tale attività consentendo così un più animato
confronto complessivo. In effetti, al netto degli scatoloni museali calati come
plop sculpture nei contesti urbani e poi privi di politiche culturali
che ne animino seriamente la conduzione, o, ancora, di un sistema
galleristico-commerciale che legittimamente persegue il profitto e dal quale
non si può dunque pretendere un ruolo educativo, nell’attuale contesto di
profonda crisi economica e politica chi manca all’appello sono propriamente gli
artisti intenzionati a incidere direttamente con il proprio discorso nel corpo
sociale.

Ci troviamo così a dover (meglio, a sentir) prendere per analisi e provocazioni
feconde le marachelle di un Maurizio Cattelan che, per quanto alle volte
pure geniali, rimangono comunque ben dentro i meccanismi delle trovate
pubblicitarie, sostanzialmente innocue per le strutture vigenti di potere
(perché, con buona pace di ogni discorso post-post-postmoderno, un potere c’è.
Che quotidianamente si condensa catalizzando la prona mediocrità circostante,
opera, spesso si subisce).

Già immagino cosa mi si dirà: ma di artisti combattivi ce n’è fin
troppi, è il circuito della comunicazione piuttosto a esser loro chiuso,
condannandoli all’invisibilità. Vero, ma è altrettanto vero che i movimenti
delle avanguardie storiche le loro ribalte se le sono prese senza aspettarsi
che fossero i mass media dell’epoca a dar loro spazio, inserendosi direttamente
e con la forza delle idee nel discorso pubblico del proprio tempo: “Le
libertà espressive sono di chi se le prende
”, rilevava il già detto Turcato
(del quale, per chi si trovi dalle parti di Terni, si consiglia un’ottima
retrospettiva in corso al Caos).

Maurizio Cattelan - Ave Maria - 2007
Corresponsabilità gravi in questa deriva privatistica, non si può
negare, sono da ascrivere a una critica che ha cessato di svolgere il proprio
ruolo di analisi (per l’appunto) critica a beneficio della società e maieutico
per gli artisti stessi, assestandosi in una dimensione intermedia tra mera
promozione commerciale e storia superficiale dell’arte. Ma, anche per questo, è
proprio dagli artisti che si vorrebbero ora atti concreti di una volontà nuova,
non negoziabile, lontana da interessati padrini: uno scatto di orgoglio
intellettuale, insomma, a difesa di un ruolo anche pubblico che hanno
meritoriamente conquistato nel passato, e che comporta nondimeno conseguenti
responsabilità.

Quando, fra qualche decennio, si guarderà agli anni che ci sta toccando
vivere, è molto probabile che si vedrà con maggior chiarezza quanto un’idea
distorta d’individualismo, una polverizzazione della sfera collettiva
determinata da modelli economici privi di fondamenta umanistiche e prosperati
nella confusione del dopo-‘89 abbiano indebolito il corpo sociale nel suo
complesso, rendendolo spiritualmente più povero e insoddisfatto.

Al momento siamo nel mezzo del guado, e tocca tenere la testa alta per
respirare: una simile posizione, viene solo da aggiungere, se non altro
consente anche di guardare più lontano.

luca arnaudo

[exibart]

32 Commenti

  1. Interessante spunto di riflessione, partendo da due proposte “provinciali” (benché pare che oggi i capoluoghi siano meno interessanti culturalmente del proprio territorio) e che non a caso individua in Guttuso l’elemento debole, in fatto di qualità artistica, fra gli artisti citati.
    Alla fine delle ideologie, rimane solo il talento (per dirla all’antica) e la qualità di di chi, senza bisogno di calarsi nel presente con strumenti pubblicistici utilizza la propria cifra stilistica – indifferente al soggetto – anche per denunciare la crisi di un’epoca.
    Fra i paesaggi di Morandi, capolavori, emergono quelli eseguiti a Grizzana durante il periodo di ritiro stabile dell’artista nel suo rifugio sull’Appennino, periodo che coincise con la fase acuta dei bombardamenti su Bologna e con l’epilogo tragico della guerra.
    Attraverso la desolazione di quelle vedute, l’angoscia e il senso di smarrimento di chi – apparentemente distaccato dall’àgone socio-politico del tempo – comprende e traduce in arte la solitudine dell’uomo e il baratro della propria coscienza.
    Tutte le immagini possono essere utilizzate, le più “forti” visivamente (e più esplicitamente provocatorie) come le più lontane dall’apparente contemporaneità.
    Nulla si deve vietare in arte.
    Ma quello che conta è solo l’arte, per l’appunto. La quale, se manca, non può essere sostituita dal proclama.
    Proclama che, di questi tempi, non si concretizza in un movimento solidale e profondo di pensiero, in un’aspirazione collettiva di libertà dal vincolo delle imposizioni del sistema sociale del terzo millennio, ma si limita a indicare superficialmente una collazione di “figure” a cui l’immaginario può acriticamente attingere.
    Un’operazione già perfettamente riuscita con Permanent Food molti anni fa, ma che ora ha necessità di una (ri)soluzione, con la scelta di campo, con l’adesione – da parte degli artisti – alla prassi, alla tecnica, al riconoscimento del talento altrui e al “fare corpo”.
    Per essere espliciti, Vanessa Beecroft non dovrebbe essere considerata nella compilazione di una storia dell’arte degli ultimi 20 anni non essendo propriamente né una fotografa (e si vede) né un’artista contemporanea tout court. E’ una designer (“arrangiatrice” di immagini in senso funzionale) che racconta alcuni aspetti della contemporaneità. E che, naturalmente, può trovare anche vasti consensi per la caratteristica fortemente estetizzante del proprio lavoro (adeguato alla casa moderna, assimilabile alla pubblicità elegante a cui dichiaratamente si ispira…).
    Ma l’arte, qui, latita. Diventa un esercizio di “copiatura” come quello degli studenti dell’Accademia nei grandi musei ottocenteschi. Nulla di male, ma se non esiste un supporto critico adeguato, l’arte stenta a riprendere coscienza di sé e si adegua poveramente alle necessità contingenti.
    In ciò si allinea il mio accordo con l’estensore dell’articolo, relativamente alla necessità di non ritenere il critico un accessorio necessario da sopportare passivamente per entrare nel sistema, ma una guida (da scegliere con attenzione) per costruire il pensiero teorico dell’arte e l’educazione del pubblico, che, negli ultimi decenni checché ne dicano le cifre roboanti di certe mostriciattole di cassetta a Milano e Roma, è invece sempre meno attento a ciò che davvero l’arte può offrire all’uomo.

  2. Archiviare il problema di Guttuso in maniera così semplicistica ([…] ennesima conferma della mediocrità di un pittore che dovette le proprie fortune a condizioni partitiche più ancora che politiche[…])mi sembra azzardato rispetto ad un pittore che sarebbe ora di valutare indipendentemente dalle sue passioni politiche inserendolo nel più ampio contesto della pittura realista, o figurativa, europea e riconoscendone la profonda preparazione culturale.
    Ci vorrà sicuramente ancora del tempo come tantissimo tempo è stato necessario per comprendere la lezione di Sironi sbeffeggiato per molti anni a causa delle sue simpatie politiche opposte a quelle di Guttuso.
    Certo entrambi i pittori hanno prodotto tantissime opere, alcune assai discutibili, e che sono stati molto falsificati, ma è vero anche che altre fanno parte della storia dell’arte.

  3. hai visto solo questo nell’illustrazione di paesaggio morandiano, in tutta la tua esistenza? bravo, ti qualifichi da solo con un commento del genere.

  4. Quando si è posti di fronte certe “cose” (le chiamo cose per pura strumentalita’ linguistica) non si puo’ evitare di esclamare….GUTTUSO! questa miscela che, per mera contingenza, porta l’etichetta di pittore ma che in realta’ nell’essere, nelle condotte e financo, oso dirlo, nella Prassi (cosi’ tanto cara a questi semi chierici di terra) riproduce i peggiori istinti della Chiesa che celebra e che lascio indovinare a chi legge.
    Il partito comunista Italiano è stato, infatti, la Chiesa peggiore esistita nel ventesimo secolo e dunque, di conseguenza, il suo manovale prediletto ha fatto semplicemente carriera.

    Consiglio pertanto chiunque la visione del Film Aguirre Furore di Dio, di Herzog; Unira’ infatti l’utile al dilettevole perche’ si tratta di un “Finto” Film (paradossalmente si intende finto) perche’ è la testimonianza piu’ autentica della follia DEL POTERE unita alla grazia delle sue immagini che in realta’ sono dipinti piu’ veri non solo di quelli di Guttuso ma anche dei buonanima che lo accompagnano nell’articolo commentato.

  5. morandi è uno dei pochi geni sicuri nella storia dell’arte italiana del secolo scorso

    l’opera riprodotta è semplicemente superba

    il gusto ahimé è come il coraggio, uno non se lo può dare

  6. Guttuso non può essere liquidato con poco, e credo l’articolo non intendesse farlo. I primi decenni sono buoni e si pongono in linea con la ricerca dell’epoca. Il fatto poi di rimanere ancorato alla figurazione anche negli anni in cui sembrava stantìo passatismo indica indipendenza intellettuale e coerenza, quantomeno. Che gli esiti siano sopravvalutati dalla critica degli anni ’60/’70 è piuttosto evidente. E’ giusto che un giudizio più obiettivo lodi i picchi e ridimensioni la troppa fama.
    Sironi potrebbe essere assimilato a questa parabola inversa, ma è ben diversa faccenda. La sua qualità artistica trascende il tempo e trascende soprattutto il Ventennio (che, piuttosto, da lui nelle arti prese uno stile a esempio) di cui non fu, in realtà, un ammiratore così affascinato. Lavorò, e molto, piuttosto, sotto il Fascismo. Così come esaurì nell’adesione (solo teorica) iniziale al Futurismo le pulsioni al cambiamento, che per lui, formalmente, avevano maggior potenza piuttosto nel Cubismo francese che nelle vicende artistiche nazionali.
    Ma Sironi non può avvalersi di un catalogo certificato, devastato com’è dai falsi e dai litigi di eredi e esperti. E il ragionamento sulla sua arte si fa complesso.
    Solo con lo studio di un catalogo definitivo delle opere potrebbe finalmente emergere la figura di grande anticipatore dell’astrazione qual è, un vero genio del Secondo Novecento, non solo del Primo.
    Morandi ebbe come primo acquirente “privato” Mussolini, ma la notizia non ne ha inquinato la memoria. La sua dimensione relativa e limitata a poche tele di piccolo formato e alla raffinata scuola delle incisioni lo esimeva dalle velleità per i grandi murales di edifici pubblici.
    Ma egli fu meno attaccato all’Italia di Sironi, che morì deluso e amareggiato, soffocato dalle polemiche post-belliche e dalla solitudine.
    Dal 1947, Morandi si rifiutò di esporre in Patria in personali da lui maniacalmente preparate, irritato dall’incompetenza (secondo la sua opinione) della nostra critica che pur lo adorava. Le sue mostre continuarono senza la sua approvazione. Complice, una fama che sin dagli anni Trenta non lo aveva mai abbandonato e che anzi stava crescendo, si rivolse esclusivamente all’Europa e all’America.
    E’ un diverso modo di intendere la propria funzione nella storia dell’arte.
    Ma, alla fine, anche quando si capisce che la parabola umana è “naturale” e che anche Vedova dopo gli anni ’80 sembra ripetere avvolgendosi su se stesso le espressioni fenomenali dei vent’anni precedenti, ciò che dovrebbe rimanere è solo l’arte migliore. Quella che la critica oggi non riesce a distinguere se non raramente, perché rifugge dal tornare a parlare dei grandi nomi, come se la loro esperienza fosse finita con l’anno della loro scomparsa.
    HM – che, troppo tranchant, definisce orrendi tutti i paesaggi morandiani – dovrebbe distinguere. Alcuni paesaggi sono decisamente meno significativi, ma la buona parte sono dei capolavori. Che non meritano di essere, come fa certa critica statunitense (non tutta!), ancora suddita dell’Ottocento francese di cui ha comprato tutto e da cui fa scaturire l’origine di ogni modernità, qualificati come esempi di cezannianesimo di ritorno. Per cui, secondo un distorto concetto di priorità di valori, Morandi non convince perché “non è come Cézanne” o “non raggiunge le sue vette”. E meno male…
    Temo stia diventando troppo di moda denigrare in toto i Nostri e non riconoscerne il giusto posto nella storia artistica e sociale del nostro Paese.
    Aldilà delle prigioni delle ideologie e degli -ismi (narcisismi compresi).

  7. @cristiana curti
    purtroppo (o per fortuna) di critica statunitense non so nulla, mi sono semplicemente basato sull’osservazione dei dipinti per il paragone con cezanne, d’altra parte non penso nemmeno che il problema sia la somiglianza dei paesaggi di morandi con quelli di cezanne (che in ogni caso è uscito mezzo secolo prima) quanto piuttosto la loro monotonia e piattezza (tolte rare eccezioni in cui non rientra di certo il quadro inguardabile dell’articolo) .
    le vere nature ‘morte’ nel caso di morandi sembrano i paesaggi non le bottiglie e gli oggetti che invece appaiono vivi e animati .

    @rugantino
    genii con due ii

  8. “Alla fine delle ideologie, rimane solo il talento” ,per l’appunto. Ed è per questo che di Guttuso, Migneco e molti altri ora non rimane più nulla: semplicemente perché non c’era nulla neanche prima. Nel migliore dei casi, Guttuso è stato un maldestro imitatore di Picasso (“Picassèe à la sicilienne” è stato il giudizio su una sua mostra a Parigi), nella peggiore un tappezziere ideologico, lontano anni luce dal realismo sociale internazionale più significativo della sua epoca, persino da quello più provinciale (ad esempio Ben Shahn o Grant Wood). Il problema era che a forza di essere servi di un’ ideologia o di seguire a pappagallo le direttive di un ignorante come TOGLIATTI, salvo abitare a Palazzo del Grillo imbottiti di soldi, non si ascoltava gente come Elio Vittorini, che, dalle pagine del Politecnico, accusava Togliatti di confondere l’arte impegnata con L’arcadia, come fece Garibaldi preferendo i poetastri patriottici a Leopardi.

  9. Condivido pienamente quello che scrive l’amico Lorenzo Marras. Aggiungo: se il pittore Guttuso è stato l’interprete più fedele dell’ideologia del partito comunista italiano, in direzione opposta, l’astrattismo classico fiorentino è stato il dissenso più implacabile dentro e fuori l’ideologia autoritaria comunista. Ecco come funziona l’arte legata ad un partito o ideologia.

  10. Mi permetto un ultimo lungo appunto sull’argomento, davvero interessante, che in definitiva si ricollega a quanto forse intendeva suggerire l’articolo.
    L’ideologia non qualifica né giustifica di per sé alcun talento artistico né merito culturale. Né però ha il potere di annullare entrambi, se invece esistono.
    Se Guttuso non è gran pittore (o, piuttosto, non è il gran pittore di cui si sono per anni celebrate le lodi), egli non lo è MALGRADO l’avversione alla sua fortuna fortemente politicizzata e questo valga anche per molti intellettuali, letterati, poeti, scrittori ecc. che hanno cavalcato un’onda di apprezzamenti generici per via della loro manifesta dichiarazione di appoggio ad un’ideologia (che divenne committenza).
    Sironi è un grande artista anche se colpito dall’ostracismo post-bellico. E, per quanto posso dire, attende ancora di essere compreso per ciò che veramente è.
    Pertanto è SEMPRE sbagliato giudicare un artista per la sua collocazione politica (che, individualmente, è comunque legittima).
    Altrimenti si rischia di costruire altri paletti critici di cui non si ha bisogno. E si finisce per giustificare, ad esempio, un’Angiola Tremonti alla GAM di Milano solo perché un’artista “emblema di una cultura non di sinistra” ha il diritto di calcare le scene più importanti dell’arte per riequilibrare i difetti di un passato culturale limitante e oppressivo.
    O, peggio, si rischia di definire “di destra” l’intera rappresentanza di artisti del Padiglione Italia della scorsa Biennale a causa dell’opinabile strombazzamento di “manifesti” da parte di uno in particolare dei due curatori incaricati.
    Si dovrebbe poter giudicare fregandosene delle dichiarazioni di principio. E magari affermare che quel Padiglione (aldilà di alcuni nomi, pur validi, della scena italiana) era quanto di peggio si potesse costruire per una manifestazione così importante.
    E’ altresì fuorviante, secondo il mio parere, condividere o riportare il giudizio (da sempre sciovinista nei confronti dell’arte italiana di tutti i tempi) della critica francese su Guttuso, la quale ritiene essere la propria arte il parametro assoluto su cui si incardina il gusto del Novecento, oltre a avocare a sé qualsiasi istanza di carattere “progressista”, ben più dell’arte italiana (senonché neppure i pittori francesi sbocciati nel secondo dopoguerra sono tutti dei capifila, basti vedere la parabola di un Jean Hélion…).
    La nostra fortuna, alla fine delle ideologie, è proprio quella di poter liberare il giudizio da vincoli (anche sottilmente psicologici) che non permettono una serena lettura delle opere, dei loro meriti e dei loro demeriti.
    Circa Migneco, è vero che di lui – purtroppo – rimane perlopiù una campionatura di pescatori e raccoglitori di mandorle o fichi d’india che lascia molto a desiderare, ma questo perché raramente la cultura italiana si prende cura dei propri artisti e mantiene alto il valore dei contributi migliori. La figurazione espressionista di Migneco, negli anni Trenta e Quaranta, è interessante e ha valore. I soggetti sono il riflesso della realtà siciliana del tempo. Soggetti che, dopo gli anni ’60 hanno perso del tutto freschezza e qualità espressiva. Ma il pubblico e il mercato hanno cercato la superficie invece della qualità. Tanto che un buon Migneco dei primordi può addirittura valere meno di un quadrino da Telemarket di trent’anni fa.
    Non sono amante né di Guttuso né di Migneco, dei quali non acquisterei alcuna opera neppure delle fasi migliori. E la cosa singolare di Migneco e Guttuso, per rimanere in questi esempi, è che il loro collezionismo è perlopiù costituito dalla borghesia italica (spesso del Nord) degli anni ’80-’90, che sicuramente non ha mai condiviso gli ideali o le poetiche degli artisti che appende ai propri muri con vistose cornici dorate finto rinascimento.
    Bisogna una volta per tutte, per affrancarci dagli errori di valutazione, decidersi a giudicare con occhi limpidi e con cultura.
    Faremmo un bel regalo a noi stessi, soprattutto nel giudicare la nostra arte contemporanea che non è esente da rischi simili a quelli di ogni epoca di forti tensioni sociali. Soprattutto quando le tensioni non si risolvono attraverso una vera passione civile che può incalare anche giuste istanze.
    Insomma, la mancanza di passione civile ma, soprattutto, CULTURALE (non la mancanza di ideologie) non determina di per sé assenza o crescita di “artisticità”, ma determina invece, quasi sicuramente, un forte calo di attenzione e voglia di comprendere da parte del pubblico.
    L’arte rimane (non è da discutere), il problema è capire chi, abbassando il livello culturale, rimarrà ad apprezzarla e chi invece preferirà eleganti (quando va bene) succedanei.
    Vi ringrazio per la discussione e la pazienza.

  11. GRAZIE alla signora Cristiana Curti!!!
    chiara, lucida e distaccata.
    una come Lei meriterebbe di scrivere e recensire a pieno titolo su questo sito.

  12. Si, signora Curti, peccato che ogni qualvolta ci sia un suo commento così lungo passi all’istante la voglia di leggerlo, e si salti a piè pari, insomma il buon senso di un professionista si valuta molti fattori. Questo non è il luogo per mettere in mostra se stessi con temoni noiosi, questo è il posto per commentare con sagacia e intelligenza.
    Saluti

  13. sarà mica “che quella del settore” è una pigra di natura oltre che invidiosa et incapace di discernere le cose buone da quelle non buone ovvero insulse e, queste sì, noiose?
    non me ne voglia ma, di lungo, vedo solo la sua barba caprina…

  14. invece no, ‘geni’ come plurale di ‘genio’ è corretto, considerato che la ‘i’ di genio è atona

    semmai caro hm ‘cézanne’ si scrive con l’accento

  15. si può dire in tutti e due i modi ma l’uso più corretto resta quello arcaico con due i visto che in caso contrario per indicare il plurale di gene bisognerebbe usare l’accento acuto (cosa che non fa veramente nessuno SPECIALMENTE NEI NOMI PROPRI). in ogni caso io ce l’ho più lungo quindi questa discussione non ha più senso di esistere .

    ps
    gli interventi di cristiana curti sono tra i pochi veramente interessanti di questo sito quindi una del settore fai qualcosa perchè le sincopi di cui soffri potrebbero peggiorare .

  16. Signora Una del settore, basta girare la rotellina del mouse, così non si annoia. Per me è un piacere leggere i post di Cristiana Curti e spero che continui a scriverne. De gustibus.

  17. Cristiana Curti ha scritto in modo suggestivo, approfondito, preciso nonche’ elegante un commento che non ho difficolta’ giudicare superiore a cio’ che è stato commentato.
    Tanto dovevo e volentieri scrivo.

  18. Non ci sarebbe alcun motivo di inviare note non pertinenti l’argomento dell’articolo, se non fosse che la cortesia (e la pazienza, perché è vero che sono maledettamente troppo verbosa, ma io non sono “professionista”) di Silvio nei miei confronti merita un grazie di cuore.
    Circa la Signora Del Settore (Una è un nome bellissimo, complimenti! è l’italianizzazione di quello della giovane moglie del Chaplin maturo?), che conosce senz’altro meglio di me il bon ton del web, spero voglia cortesemente indicarmi dove essa scrive acciocché possa imparare dal suo stile, dalla sua sagacia e dalla sua intelligenza.

  19. In questo sabato di notizie determinanti per il nostro Paese, fa piacere verificare che per alcuni discutere d’arte sia ancora una necessità. Ringrazio davvero coloro che hanno connotato questo momento con i loro commenti appassionati e che hanno voluto leggere anche i miei. Spero di essere meno prolissa, comunque.
    E grazie anche a Francesco che, in realtà, è il vero incipit di questa breve incursione in un’oasi di epicureismo intellettuale (ossimoro impossibile!).

  20. ricapitolando a beneficio di tutti e soprattutto di chi scrive: ‘geni’ è plurale corretto di ‘genio’
    ‘genii’ è sconsigliabile e comunque divenuto obsoleto dal secolo XIX in poi

  21. -‘genii’ è sconsigliabile e comunque divenuto obsoleto dal secolo XIX in poi-

    lol sei bravo a leggere yahoo answers tramite google e a vantarti nei forum, guarda che devi valutare diverse voci prima di esprimere un giudizio, addirittura hai copiato lo stesso aggettivo che hai trovato lì sopra ‘sconsigliabile’ AHAHAHAAHAHAAHAHAHAAHA dai ritenta e sarai più fortunato, magari la prossima volta ti documenterai meglio e ripeterai meno a pappagallo ciò che leggi sul primo sito ricavato da google così potrai formulare una definizione che valga la pena leggere, magari cerca anche sul devoto oli non sul primo de mauro paravia che leggi su yahoo answers, grazie . il plurale di genio va distinto dal plurale di gene, ed è consigliabile continuare a usare la doppia i dato che gli accenti acuti non vengono mai usati nel linguaggio scritto (da siena in giù si disconosce completamente il congiuntivo figuriamoci l’uso dell’accento acuto) .

  22. Caro hm, io sono nato sotto Siena e non solo conosco perfettamente il congiuntivo, ma so anche che i nomi delle città si scrivono con l’iniziale maiuscola. E’curioso che al nord, in cui albergano bande di materialisti analfabeti, ci sia qualcuno che pretenda di dare lezioni di grammatica agli altri.

  23. -Caro hm, io sono nato sotto Siena e non solo conosco perfettamente il congiuntivo-

    sei un’eccezione .

    -ma so anche che i nomi delle città si scrivono con l’iniziale maiuscola-

    il linguaggio del web ignora le lettere maiuscole, dovresti capirlo dal titolo del sito nella barra superiore del tuo browser. in ogni caso ignorare le maiuscole è FUTURE ITALIAN, lo avevo già definito anni fa su alcuni blog (molti sono stati chiusi dalla polizia postale potresti chiedere a loro x delucidazioni) .

    -E’curioso che al nord, in cui albergano bande di materialisti analfabeti, ci sia qualcuno che pretenda di dare lezioni di grammatica agli altri.-

    l’italiano moderno è nato a firenze (centro nord). mi spiace per te .

  24. Okay, pace, ho sbagliato anch’io, generalizzando. Però a me questo FUTURE ITALIAN spaventa un po’, non vorrei che diventasse NO MORE ITALIAN.

  25. Buonasera,

    sono il perplesso autore dell’articolo che tanti commenti ha scatenato. Perplesso, in effetti, perché a parte alcuni primi post attinenti al tema dello scritto, o perlomeno a qualcuno degli artisti citati, la stragrande maggioranza pare più interessata a questioni da accademia della crusca dei poveri, o, peggio, a prendersela con i pochi commentatori che, curiosamente, d’arte in un sito dedicato all’arte hanno inteso occuparsi. In tutta franchezza, mi chiedo quale sia l’utilità di un simile confronto. Insomma, internet abbonda di social networks e similia dove ognuno può fare ampia bacheca del proprio ego, eventualmente con annessi tormenti grammaticali: perché dunque non provarsi, di tanto in tanto almeno, a prendere parte a una discussione su temi più generali, ma tendenzialmente pure più utili alla collettività, in un contesto che – pare il caso di farlo rilevare – ai temi dell’arte è dedicato?
    Cordiali saluti, LA

  26. Avverto nel suo intervento, Arnaudo, un pizzico di narcisismo autoriale che, non si offenda se glielo dico, la fanno vistosamente debordare in sentieri che in verita’ non le competono (mi riferisco al suo invito alla frequentazione di social Networks ad esempio..).

    Non è , inoltre, sicuramente pedante farLe osservare che i commenti agli articoli di questa rivista , prima di venire pubblicati vengono rigorosamente controllati dalla Redazione della stessa.
    Concludo per significarLe che, prima di sparare nel mucchio, sarebbe stato doveroso da parte sua dare una chiara identita’ degli autori dei commenti da Lei ritenuti non adeguati ai temi che ella ha ritenuto proporre con il suo articolo perche’ altrimenti è troppo facile manifestarsi con sufficenza perplesso.

    La saluto, Arnaudo.

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