28 settembre 2001

‘Io la contestazione la vedo così’

 
E’ questo il titolo del convegno che si svolgerà a Siena nelle giornate di sabato e domenica. Il tema sarà il rapporto tra arte e contestazione. Esiste un ruolo dell’arte negli episodi di Genova ma anche in quelli di New York? Ci sono artisti in grado di farsi carico di tutto questo? Ne abbiamo parlato con Sergio Risaliti, direttore del Palazzo delle Papesse…

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I lavori avranno come sfondo i ‘fatti di Genova’ ed una mostra parallela al convegno documenterà con foto e video gli episodi dei giorni del G8. I nuovi fatti americani collocano però in primo piano un altro macroscopico elemento di contestazione. L’11 settembre sarà allora uno degli argomenti di “io la contestazione la vedo così”? In che termini?
Certo, ciò che è accaduto a New York l’11 settembre ci obbliga a riconsiderare le questioni e ad precisi nell’uso dei termini. Le sfumature diventano ancora più importanti in un momento in cui si riducono gli spazi di critica.
Nei giorni successivi alla tragedia americana ho pensato a come fosse necessario rimettere in discussione questa tavola rotonda. Oggi più che mai credo nell’importanza dell’evento durante il quale la rappresentazione della violenza e della paura saranno sottoposte ad un’altra verifica, questa volta artistica. Troppe volte sottovalutiamo il ruolo fondamentale dell’arte nella gestione dei conflitti, prima e dopo la loro insorgenza. L’artista in questo convegno non sta ai margini della discussione politica ma si posiziona frontalmente rispetto alla storia, alla cronaca ed il suo linguaggio si pone fra lo spettatore e la realtà.

Il convegno si aprirà proprio alla chiusura de ‘Il Dono’, una delle più grandi ed importanti mostre proposte dalle Papesse in questi anni.
Ci saranno delle connessioni tra le forti tematiche trasmesse da questa esposizione e gli obiettivi che si prefigge il convegno?

Il Palazzo delle Papesse si ritrova di nuovo all’interno delle problematiche contemporanee: l’anno scorso abbiamo organizzato una delle mostre più delicate (Israele e Palestina, ndr), quest’anno la
mostra sul Dono. Chiaramente non si risponde mai all’evento già accaduto ma lo si prevede in quando l’organizzazione dura circa un anno. In questo sta la sensibilità e la concentrazione necessaria per dirigere un centro d’arte.
Una mostra può essere anche il momento di sintesi e di apertura o, come direbbe un noto filosofo, il ‘raccogliersi dentro ad una chiave simbolica’ di quanto gli artisti hanno prodotto, previsto, preannunciato, prefigurato.
La forza espressiva dell’arte credo non debba essere messa più ai margini della discussione politica o delle strategie culturali utili a confrontarsi ed a risolvere le complessità del nostro tempo.

“Io la contestazione la vedo così” prende il nome da uno scritto di Pino Pascali sugli scontri del ’68. Nel 2001 sapresti indicare alcuni artisti o comunque alcuni ambiti di produzione artistica che, in Italia o fuori, siano in grado di riflettere sui temi della nuova contestazione e sulla globabizzazione?
Credo che siano tanti gli artisti, gli architetti, gli scrittori che ormai si occupano sia direttamente che simbolicamente di temi quali la contestazione e la globalizzazione. Basti pensare al ritorno di notorietà di Guy Debord. Evidentemente dopo gli anni ’80 l’arte contemporanea è ritornata a quella preoccupazione per l’esistente che l’ha caratterizzata per tutto il Novecento.
Per parlare degli artisti giovani mi vengono in mente quelli invitati al convegno: Armin Linke, Giorgi e Galli, Stalker, Botto&Bruno. Non invitati ma evocati senz’altro Pascali e Schifano. Ho voluto inoltre invitare Luciano Fabro e Massimiliano Fuksas perché su questi temi le differenze di metodo arricchiscono il confronto e le nostre possibilità di comprensione.
Infine la presenza di un uomo politico come Bertinotti, in questa occasione circondato dal mondo dell’arte, rende la situazione particolarmente interessante.

Massimiliano Tonelli



Per tutte le altre informazioni techiche su “Io la contestazione la vedo così”: INFO


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7 Commenti

  1. Un articolo veramente interessante,complimenti!Sono assolutamente convinta che l’artista, oggi più che mai,si affaccia con “la sua arte” alle problematiche del suo tempo.Certamente questo processo di convoilgimento non è una novità(basti pensare ai Futuristi ed in parte se vogliamo anche agli espressionisti tedeschi:es.il gruppo “Die Bruke”),ma certamente tale fenomeno si è andato accentuandosi negli ultimi decenni e sono sicura che sarà sempre più evidente con il perfezionarsi dei mezzi di comunicazione,che già oggi sono arrivati a livelli considerevoli.Questo è l’artista del nuovo millennio :un essere dotato di particolare sensibilità e proprio per questo attento a ciò che accade attorno a sè;pronto a dire la propria opinione su ciò che il mondo gli offre.Ora più che mai l’artista rappresenta il suo tempo,la sua cultura e quindi risulta sempre più infondato il volgare detto:”Impara l’arte e mettila da parte”.

  2. Quest’intervista, molto discreta, è anche particolarmente interessante.
    Soprattutto per il tono e l’impostazione.
    Risaliti è convincente, quasi profetico.
    Proprio per questo gli chiedo con cortesia di intervenire ancora e chiarire questa frase “La forza espressiva dell’arte credo non debba essere messa più ai margini della discussione politica o delle strategie culturali utili a confrontarsi ed a risolvere le complessità del nostro tempo”.
    Desidero capire in quale direzione ha espresso questo pensiero; ve ne sono almeno due.
    Le domando gentilmente di sciogliermi questo dubbio.
    Grazie, Biz.

  3. Immagino che Risaliti pensi che nel momento in cui si parla di Economia, Finanza, Società a livello politico (parlamenti, governi), anche l’arte deve avere il suo ruolo…

  4. Caro Nanni,
    ti assicuro che di immaginazione ne ho molta anche io.
    Ora però vorrei sentire Risaliti, e non ciò che immaginiamo abbia inteso dire.
    Ah, ovviamente l’italiano lo capisco benissimo.
    E’ a ben altro che mi riferisco.
    Ciao, Biz.

  5. Io c’ero a Siena. Per me è stata una delle manifestazioni più interessanti che siano state fatte sulla cultura contemporanea. Il quadro era completo: il punto di vista dell’arte, della filosofia, della letteratura della politica pura di fronte a tematiche sociali che devono diventare urgenti nella nostra coscienza. L’arte senza impegno sociale e senza un interesse collettivo non avrebbe senso. L’arte oggi più che nel passato deve far nascere un senso critico della realtà in cui viviamo. L’arte deve esserci per tutti. I tempi dell’individualismo anni Ottanta deve fionire

  6. molto interessante questo dibattito , anche se ciò che stà avvenendo in Italia è alquanto preoccupante . E’ di oggi la notizia che un articolo della finanziaria che si stà discutendo in parlamento, rischia assegnando i litorali ai Comuni di consegnarli alla privatizzazione ,si tornerebbe così agli anni oscuri di prima della legge” credo del 73″, che rese pubbliche tutte le spiagge della penisola. (Prima c’ erano sbarramenti e bagnini che impedivano il transito alle persone ). Questa legge ripristinerebbe il passato e la speculazione edilizia abusiva che in questo modo ,
    sarebbe definitivamente legittimata . Direte che centra con la cultura ?…Centra ..centra ..uno stato che non è in grado di difendere il paesaggio,è barbaro e incivile , natura ambiente tradizioni , sono l’ anima di un paese distruggerle in nome di un presunto mercato che rilegittima solo l’ economia da terzo mondo dei palazzinari nostrani, consegnerà ai posteri una nazione devastata in ogni sua parte , e ciò che resta scomparirà.
    Se nel secolo che ci ha preceduto tutto il pensiero sociale si orientava verso la socializzazione , di beni, servizi , cultura e istruzione , oggi si stà tornando indietro verso falsi e non comprovati obiettivi di modernizzazione , conditi dalla mitologia dello “stato azienda “, che deve essere più efficente ma che riduce in realtà l’ offerta di servizi a vantaggio di una privatizzazione strisciante funzionale solo ai potentati che sono in grado di spartirsi i beni di uno stato in dissoluzione . Non si parla anche di privatizzare anche i musei ? E’ emblematico ad esempio ciò che stà avvenendo in Liguria nel Parco delle 5 terre, sentieri che per centinaia d’ anni hanno collegato vecchi borghi sul mare si vogliono far pagare 5000 £ire agli escursionisti che vengono lì da tutto il mondo , di questo passo torneremo ad una sorta di medioevo tecnologico, tutto ciò che avrà un valore storico culturale paesaggistico sarà gravato da una gabella , le frontiere scomparse nell Unione torneranno nel bel paese come ai tempi del “granducato di Toscana” per i pedaggi ci vogliono caselli ed esattori poi guardie per colpire i non paganti .. , pagheremo un pedaggio per entrare a Roma ,.. a Firenze .. a Venezia ..tutto sarà in vendita .Chissà queste belle idee sulla devolutions in Italia si trasformeranno nei pruriti da campanile e negli appetiti di tutti gli “aumma aumma locali ” la nostra libertà sarà sempre più ridotta e .. forse ci costerà anche l’ aria che respireremo,.. in un determinato posto …perchè , magari meno inquinata …

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