11 giugno 2012

L’intuizione è vita vissuta

 
In un sistema dell'arte che si regge su regole perentorie, sempre più spesso gli artisti si incontrano tra di loro. Per sottrarsi al mercato, ma soprattutto per la necessità di indagare l'arte. E per farla in maniera plurale. Ecco un breve viaggio tra queste realtà. Preziose anche per chi dagli artisti si aspetta una ricerca e una pratica del senso diversa [di Francesca Pasini]

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Le opere d’arte sono costellate dall’immaginazione di luoghi, incontri, discussioni, amicizie. Le Avanguardie dell’inizio del secolo scorso trascinavano con sé pensieri, amori, contrasti, utopie che dall’arte si proiettavano sul comportamento affettivo, sociale, culturale, prefigurando di pari passo la critica alla morale borghese e il cambiamento in atto, da cui la stessa arte traeva la propria consapevolezza. Tutti i movimenti artistici hanno avuto un forte impatto sull’atteggiamento quotidiano, costituendo una specie di alone di partecipazione collettiva allo spirito del tempo. Il film di Woody Allen Midnight in Paris lo racconta in modo impareggiabile.

Da parecchi decenni l’arte non si sviluppa più attorno a movimenti dichiarati, ma a un tam tam dialogico tra varie personalità. Nel frattempo i linguaggi si sono ampliati e l’attenzione a scrutare tra le pieghe delle percezioni è diventata nodale nell’affrontare il magmatico territorio dell’arte visiva. È una rivoluzione che, pur avendo perso le caratteristiche tipiche dei movimenti politico-culturali, coinvolge con domande su idealità politiche, culturali e sociali, che a loro volta hanno perso l’afflato collettivo. È una transizione complicata, che spesso costringe a un’analisi molto lontana dallo stereotipo romantico di una sintesi visiva che trasporta tutti nella sfera della bellezza.

Valga per tutti il Padiglione Spagnolo della scorsa Biennale di Venezia, dove Dora Garcia ha ampliato il suo linguaggio estetico organizzando una serie di conferenze con differenti personalità culturali e differenti discipline.

Ma in questi anni ci sono anche aggregazioni artistiche che non si prefiggono “unicamente” di creare delle opere, ma piuttosto di incidere nella visione allo stato nascente, attraverso forme di cooperazione tra artisti. Cesare Pietroiusti è una delle personalità che lavora da tempo sul recupero dell’energia creatrice che ognuno ha in sé, indipendentemente da come la esprime. All’inizio degli anni Novanta è stato uno degli animatori del gruppo “Oreste”, che ha segnato una riflessione collettiva sulla produzione artistica. Oggi emerge anche un intento di diversificare il percorso tradizionale tra ricerca nello studio e approdo alle mostre in gallerie e musei.

Non so se è una critica al sistema dell’arte, mi pare sia più forte lo spirito d’indagine sull’arte in sé e la necessità di mettere a fuoco un’autonomia indipendentemente dai circuiti di esposizione e comunicazione. Un metodo per influenzare questi stessi circuiti con esperienze che pongono al centro “un fare”, che affronta il tema della creazione come irrinunciabile pratica che va ascoltata in quanto tale.

Sempre Pietroiusti ha lanciato lo scorso anno il “Museo in Esilio”, inteso come spazio mentale prima che fisico/ambientale, dove persone eccentriche o fuori dall’andamento rituale dell’espressione trovino un riconoscimento. Carla Lonzi, nel 1970, prima di passare da critica militante a femminista militante, scrive nel suo ultimo saggio che «l’intuizione è essa stessa un modo di vivere e non un mistero da chiarire attraverso un’analisi razionale» (La critica è potere in Scritti sull’arte, et/Al edizioni, 2012). Credo che questo sia lo spartiacque che presiede alla lettura dell’arte, in tutte le sue espressioni, comprese quelle anonime e diffuse.

Nell’atteggiamento comunitario rintracciabile in alcune pratiche artistiche odierne, leggo un’estensione del concetto di intuizione, espresso da Carla Lonzi. In questo “fare arte” in dialogo con altri, attraverso diversi ambiti espressivi, l’intuizione diventa un modo di vivere che si fonda sulla relazione, piuttosto che sul colpo di genio solitario. Il talento non viene taciuto, ma è prevalentemente orientato al dare forma a una creazione diffusa, che potremmo associare alla dimensione creatrice di ogni soggetto, anche quando non è artista, o prima di esserlo, o accanto alla sua stessa attività.

Questo è quello che leggo nella Festa dei vivi (che riflettono sulla morte) realizzata il 2 Novembre 2010, nell’ambito di “And And And”, il progetto di Fantin, Negro, Norese, Pietroiusti e Presicce che accompagna l’avvicinarsi di Documenta 13. Questo il programma: «Una riflessione sulla morte come trasformazione, soglia, mistero, ma anche come necessario orizzonte di senso». Varie letture su questi temi si alternano a lentissimi avanzamenti a cui tutti i partecipanti hanno contribuito spingendo una barca, carica di libri e fiori. Il pellegrinaggio è cominciato e finito a “Lu Cafauso”, un luogo immaginario che esiste per davvero, anomalia architettonica ed esistenziale, passando attraverso una visita al “Santuario della Pazienza” a San Cesario (Lecce) di Ezechiele Leandro (1905 – 1981), uno straordinario esempio di giardino mistico, un sito dell’espressione artistica di un autodidatta, fuori dagli schemi che hanno sempre distinto e tenuto separate alta e bassa cultura. Dal 31 ottobre al 3 novembre 2012 si svolge, fra la Serra dei Giardini di Venezia e San Cesario di Lecce un workshop che rappresenta la seconda edizione della “Festa dei Vivi (che riflettono sulla morte)”. Tutti i partecipanti, singolarmente o in piccoli gruppi, riproducono l’opera Polipo di Ezechiele Leandro prelevata dal giardino-santuario della Pazienza, si discute sulle modalità di utilizzo ed esposizione delle sculture realizzate. In pullman da Venezia a San Cesario avviene un convegno. All’arrivo: visita di Lu Cafausu, restituzione dell’originale di Ezechiele Leandro al Santuario della Pazienza. Festa serale con musica da un repertorio italiano quasi dimenticato, a cura di Oh Petroleum e Luca F. Il 3 Novembre ritorno in pullman a Venezia».

Luigi Presicce, dal canto suo, ha dato vita a Milano alla Brown Gallery, dove molti artisti hanno liberamente esposto il proprio lavoro. Il suo studio, situato sopra la galleria, è una specie di caverna visiva dove oggetti di vario genere e provenienza creano uno straordinario sfondo di immagini che si intrecciano ai suoi stessi lavori, a collegamenti con la cultura esoterica. Una sedimentazione di riferimenti che esplicita il magma che presiede la vita, i ricordi e il presente e che è già un’immagine estesa dell’intuizione vissuta. Da assorbire, più che da analizzare.

Enrica Borghi nel 2005 ha dato vita ad “Asilo Bianco”, associazione di artisti che vivono nella zona tra il Lago Maggiore e il Lago d’Orta. Nel 2011 Asilo Bianco ha avuto l’incarico di gestire la programmazione di Palazzo Tornielli di Ameno, attraverso la ricerca di culture contemporanee. “I mercoledì degli artisti”, nati dieci anni fa a Venezia nello studio di Maria Morganti, consistono nella presentazione del proprio lavoro di un artista ad altri artisti. L’appuntamento è poi stato regolarmente ospitato dalla Fondazione Bevilacqua La Masa, nella sede di Palazzetto Tito.

In dieci anni sono passati 250 artisti di ogni età (dai 20 ai 90 anni) italiani e internazionali, noti o meno noti, o anche chi si autodefinisce artista. L’obiettivo è conoscersi attraverso la propria opera. I nomi di chi ha partecipato non sono segreti, ma Maria Morganti non ne cita nessuno, per tener fede a una dimensione dialogica al di là dei riconoscimenti, dove ciò che conta è fare del proprio lavoro il grimaldello per immedesimarsi nelle esperienze dell’arte. Niente pubblico, niente critici, niente curatori. Col decimo anno, i mercoledì chiudono, ma rimane attiva la rete che si è creata.

*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 79. Te lo sei perso? Abbonati!

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