14 aprile 2012

MAXXI paradosso

 
Il commissariamento del museo annunciato alla stampa dal Mibac, apre uno scenario disastroso. Dove il Ministero fa la guerra al suo museo, togliendogli i soldi, ma soprattutto sfiduciandolo. E dando chiari messaggi ai privati: “non investite nella cultura, siamo i primi noi a non crederci”. In quale Paese va in onda un film grottesco come questo? Solo nell’Italia del ministro Ornaghi, l’unico non tecnico di un governo di tecnici, che non voleva nessuno [di Adriana Polveroni]

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Oggi, 14 aprile, il MAXXi era più affollato del solito: lunga fila per una conversazione d’architettura, bambini e genitori con carrozzini a sbirciare l’ultima installazione di Kaarina Kaikkonen, inaugurata nel pomeriggio, gente ovunque. Per crudele ironia della sorte, è anche il primo giorno della “Settimana della Cultura” promossa dal Ministero dei Beni Culturali. Lo stesso che il giorno prima ha deciso il commissariamento del museo, diramando alle agenzie di stampa un secco comunicato alle ore 18, a uffici chiusi quindi, senza aver informato della decisione presa il MAXXI stesso. 
Benvenuti nell’Italia che si fa male, che non abbandona il vizio di darsi le martellate sulle parti basse. E benvenuti anche nel marasma di dati, voci, delegittimazioni che alla fine disegnano uno scenario ancora più cupo e paradossale, la cui meschina orchestrazione sarebbe da attribuirsi agli appetiti di qualcuno per accaparrarsi una poltrona e fottere tutti gli altri. Cioè noi, gli italiani che abbiamo pagato anche con i nostri soldi il MAXXI (più di 150 milioni di euro) e l’abbiamo atteso per dieci anni di tormentato cantiere. Possibile? Forse sì, nell’Italia disastrata di oggi e del MAXXI che rischia di affondare dopo due anni come una Costa Crociera Culturale, è possibile che tutto ciò avvenga perché qualcuno, che ha un ricco contratto in scadenza, vuole sfilare la poltrona a qualcun altro. 
Ricostruiamo i fatti, come sono emersi dalla conferenza stampa di stamane. 
Il Ministero decide di commissariare il museo adducendo come motivo un non meglio quantificato buco nei bilanci 2010 e 2011. Che poi, da corridoio in corridoio, si gonfia fino a raggiungere la cifra di 11 milioni di euro, che immediatamente rimbalza come un tiro al bersaglio MAXXI su alcuni giornali stamattina stessa. Tutto falso, spiega Pio Baldi, presidente della Fondazione MAXXI, nata nel 2009 anche per permettere l’ingresso di denaro fresco da parte dei privati, in previsione, e anzi forse con la certezza, che i finanziamenti al museo dallo Stato, che non ha mai amato la creatura di Zaha Hadid, sarebbero stati un terno a lotto. 

E questi sono i dati snocciolati da Baldi, che da oggi compaiono anche nel sito del MAXXI: «Nel 2010 il Ministero ci ha finanziato con 7 milioni di euro e noi abbiamo chiuso l’anno con un attivo di 2 milioni e 380mila euro. Nel 2011 ci dà 4 milioni e noi registriamo un passivo di 700mila euro, causato dai tagli lineari pari del 43 per cento operati dal ministro Tremonti (lo stesso che anni fa decise di stornare dalla finanziaria i soldi allocati al cantiere del MAXXI, con il risultato di bloccare lo stesso per un paio d’anni, e lievitandone i costi n.d.r.). Ma quel passivo l’abbiamo recuperato con l’avanzo del 2010, disponendo ancora di un milione e mezzo di euro», continua Baldi. «Nel 2012 il Ministero ci assegna 2 milioni di euro, a fronte di una nostra richiesta di fabbisogno di 11 milioni per proseguire nelle nostre attività. Dunque, il presunto buco di 11 milioni, uscito oggi sui giornali, non è altro che il budget secondo noi necessario per la vita del museo. Ma non c’è nessun passivo. Nei due anni di attività, anzi, ci siamo guadagnati un autofinanziamento del 50 per cento, tra biglietteria, servizi aggiuntivi e sponsorizzazioni. Ma il danno è fatto, stavamo aspettando l’atto burocratico per firmare l’ingresso della Regione Lazio come socio fondatore (rappresentato da Claudio Velardi, n.d.r.), eravamo in procinto di firmare una partnership con un’azienda privata di 1 milione e 800mila euro che rischia di saltare perché il disinvestimento deciso dal Ministero di una proprietà statale scoraggia anche i privati», conclude Baldi. 

“Disinvestimento”, parola grossa e inequivocabile: il Ministero, quindi, avrebbe deciso di mollare il MAXXI. Perché? Nessuno è in grado di dare una risposta, se non adducendo l’amore mai sbocciato tra il nostro MIBac, a prescindere dal ministro che lo dirige, e il museo. Sì perché il Consiglio d’Amministrazione del MAXXI, composto dallo stesso Baldi, dal vicepresidente Roberto Grossi e dal filosofo (chissà perché, ci sarebbe da chiedersi en passant) Stefano Zecchi, dal luglio 2011 comincia a scrivere quattro lettere, «prima al ministro Galan e poi a Ornaghi per chiedere conto dei tagli che tra il 2011 e il 2012 (in previsione di bilancio) decurtano il budget del museo del 75 per cento e per decidere insieme come affrontare la programmazione», racconta Roberto Grossi. «Ma nessuno ci ha risposto e solo dopo la quarta lettera di gennaio scorso, in cui denunciavamo l’impossibilità di approvare il bilancio, abbiamo avuto un incontro con Ornaghi, il direttore generale Mario Resca e il segretario generale del Mibac Antonella Recchia. La questione sta tutta in quei 2 milioni di euro assegnati per il 2012. Si parla di risparmi e poi si pensa a un commissario-manager che costerà un sacco di soldi. Se c’è una realtà che andrebbe commissariata è il Ministero» arringa Grossi. A quelle cifre dovrebbero poi aggiungersi 2 milioni stanziati da Arcus (agenzia ministeriale di finanziamento dei beni culturali, n.d.r.), che nel 2009 erano 6 e che via via sono diminuiti anch’essi «non arrivando affatto nel 2012, per cui oggi ci paghiamo pure gli interessi passivi per 70mila euro», aggiunge Alessandro Bianchi, segretario generale della Fondazione MAXXI. 

E qui i numeri si ingarbugliano e ci vuole parecchia pazienza per capire come stanno veramente le cose del MAXXI. Primo quanto costa il museo? Poco, se raffrontato per esempio, con un altro gigante tipo il Mart. 850mila euro di utenze, 2 milioni di spese per il personale, 423mila euro di ammortamento annuo. Dunque poco più di 3 milioni per stare aperto. Spiccioli per il bestione che è. Cui si aggiungono un milione e 800mila di spese generali, tutela delle opere, manutenzione (tutte attività date in appalto). 630mila euro per attività promozionale e di comunicazione, infine 2 milioni e 800mila per le attività culturali. «Risparmiamo su tutto. A volte fa freddo qua dentro, chiudiamo alle 19, abbiamo ridotto qualsiasi spesa», tuona un Baldi sempre più visibilmente teso. 
Ma i risparmi non bastano, evidentemente. Perché a monte c’è l’idea sciagurata che un museo del genere possa vivere con 2 milioni all’anno dati dal suo azionista di maggioranza, il Mibac, più altrettanto che riesce a metter in piedi da solo e altri 2 milioni da Arcus, che però non arrivano. 
Come va all’estero? «Il Reina Sofia di Madrid ha un budget complessivo di 50 milioni, nel 2010 erano 57, l’80 per cento gli viene dallo Stato e la Spagna oggi sta peggio di noi», risponde Umberto Croppi, presente in conferenza stampa. Stesso confronto impietoso con la Tate Modern di Londra, cui lo Stato da 32 milioni di sterline su 54 totali, il Kiasma di Helsinki (19 milioni), la Pinacoteca di Monaco di Baviera (14 milioni) o con il MACBA di Barcellona (11 milioni e 200mila). Tutti finanziati tra il 70 ne l’80 per cento (a parte la Tate) dallo Stato o dal Comune. Cioè dal pubblico. Come lo è anche la Fondazione Torino Musei che dal 2010 al 2011 non ha ridotto i suoi oltre 10 milioni di budget. Perché lo dovrebbero sapere tutti, a partire dai tecnici, che i musei da soli non campano. Ma nel nostro governo fatto di tecnici, l’unico non tecnico è il ministro della Cultura Lorenzo Ornaghi, deragliato sui Beni Cultuali, da che doveva andare alla Pubblica Istruzione, dove però ha trovato- lì sì! – il fermo rifiuto del Pd. 
La cultura si conferma la discarica della politica italiana, dove vengono messi i ministri che non vuole nessuno o i giullari del re, come è stato Bondi. E se si taglia, il primo campo dove abbattere la falce è quello culturale. 

Il MAXXI avrà i suoi problemi interni: mostre non sempre all’altezza del grande museo che dovrebbe essere – ma come si fa a fare cose buone con quattro soldi, al di là delle scelte? – partner privati che stentano ad arrivare: l’accordo con Terna è durato due anni e poi chiuso, di quello con Fendi se ne parla dal 2009 e non decolla. Ma del suo destino pare fregare poco a tutti. Perché oggi, richiesta una presa di posizione di AMACI, l’associazione che riunisce 27 musei d’arte contemporanea italiani, non arriva nessuna risposta. Solo la Consulta per l’arte contemporanea di Roma, neonata e fragile “struttura dal basso”, denuncia «un metodo che forse offende ancora più dei soldi mancanti e intende approfondire la possibilità di un commissariamento a fronte di un niente», afferma Cristiana Perrella, portavoce della Consulta. 
E allora? Allora c’è poco da fare. O si cambia strategia, e si decide sul serio di investire sulla cultura, il famoso petrolio del cavolo del nostro Paese, oppure è inutile, anzi criminale spendere 150 milioni di euro per un museo, farsi belli, un ministro dopo l’altro, a farsi fotografare con l’elmetto nel cantiere o a tagliare il nastro, e poi mollarlo. Forse non c’è il complotto orchestrato con la complicità della stampa di cui insinuano al MAXXI e ripreso da altri. Ma la pessima figura fatta in giro per il mondo basta e avanza – chissà perché da noi non arrivano le grandi mostre internazionali come quella di Boetti che è a Londra e prima era a Madrid e poi volerà a New York? – e il far intendere ai privati che è inutile investire nella cultura è un messaggio altrettanto chiaro e disastroso. Tanto della cultura non gliene frega niente al suo ministro e neanche al governo. Anzi sono i primi a delegittimarla. E forse frega poco anche alla gente.

8 Commenti

  1. La cosa più grave è continuare a paragonare forzatamente il MAXXI ad altre istutuzioni internazionali di prestigio e con basi più solide. E non parlo di basi economiche. Parlo di contenuti: storia e presente.

    Il MAXXI come molti musei italiani sorge come una CATTEDRALE nel DESERTO e propone contenuti “raffazzonati” in luoghi che vogliono essere ad ogni costo “moderni” e al passo con i tempi mentre sono semplicemente momumento per l’ego dell’architetto. Questi musei (ma penso anche al mambo o al madre) sembrano solo grandi insegne luminose per dimostrare forzatamente la modernità di chi ci mette il cappello sopra (pubblico e privato)…gli spot prima o poi finisco e le insegne cadono a pezzi se non hanno sotto dei contenuti…

    Questa precarietà della “cultura” in italia rifette il popolo: ma anche un popolo abbandonato colpevolmente da una certo sistema negli ultimi 20 anni (la generazione seniro della Vettese e oggi dei Farronato per intenderci). E ora ci si lamenta perchè vengono costruite cattedrali che poi si abbandonano. A chi interessa del MAXXI? Perchè dovrebbe interessare al pubblico e alla politica??? Quali contenuti propone?

    Spesso è comodo mantenere un pubblico disinteressato e non avere quindi mai critiche forti al proprio operato: l’arte, soprattutto in italia, è il campo del “tutto può andare” calamita per i mediocri.

    LR

  2. altro esempio dello schifo dei politici nostrani ormai in avanzata putrefazione, ansiosi solo di curare gli interessi personali e gonfiare le proprie tasche investe pure l’arte nazionale, cercando di soffocare ciò che, a livello mondiale, esiste soltanto in Italia e non è imitabile: l’arte, l’archeologia, l’ambiente, tutte cose che se adeguatamente gestite potrebbero dare benessere e ricchezza a tutta la nazione! VERGOGNA! VERGOGNA! VERGOGNA! VERGOGNA! VERGOGNA!

  3. Lucidissima analisi di Adriana!
    E’ vero quello che scrive Luca Rossi,ma tutto nasce dalla totale indisponente indifferenza dei nostri gestori dei Beni Comuni, dei diritti collettivi ; non si rapportano mai con gli esponenti della collettività ,proprio perchè non interessa a loro,la cultura!
    Oggi i più lucidi economisti mondiali, concordano nell’affermare che la crisi economica che stiamo vivendo è frutto di un deficit riflessivo-formativo che nasce dalla cultura della rivoluzione industriale , delle macchine per intenderci,combinata con la crisi della democrazia come concetto collettivo e di rappresentanza. Disprezzo degli eletti ,cecità ed ignoranza dei tecnici non eletti.
    Incapacità progettuale,lotta concettuale ignobile tra il mondo antico ed il futuro che inevitabilmente avanza e giustamente grida ,ma forse non troppo , un rinnovamento del pensiero e della gestione economica dei beni e dei diritti collettivi , stridono ancor di più nel nostro paese , destinatario del 75% del patrimonio artistico-culturale dell’intero pianeta.
    Si deve reagire ed ora più che mai attraverso una massiccia informazione e formazione ,in sintonia con con le forze formative e divulgative.
    Noi non abbiamo futuro ma le future generazioni non hanno più la speranza di vivere e lavorare in questo paese e con questa obsoleta e,ribadisco,ignorante visione della politica economica da perseguire .
    Anelo ad un movimento di Lotta Continua Culturale!!

  4. Non abbiatevene a male, ma, sinceramente, 11 milioni (venti miliardi di vecchie lire!) per quel che si è visto finora al Maxxi mi sembrano un po’ troppi.

  5. si parla con tanta superficialità di costi,pochi milioni per gestione,stipendi,a cui si devono aggiungere i costi faraonici di costruzione. Alla fine della fiera succhiano centinaia di milioni tutti assieme,producendo poco o nulla. A fronte abbiamo monumenti,siti archeologici e residenze storiche,meta di milioni di turisti e visitatori e che veramente costituiscono un patrimonio nazionale ammirato e famoso nel mondo intero,che dovrebbe essere tutelato e considerato un vanto,oltre che una fonte di guadagno. Mi sembra scandaloso che non si trovino i fondi per restaurare un Colosseo,questo si unico nel mondo,e poi si buttino trnaquillamente 150 milioni per un museo fine a se stesso,con quel che ne deriva poi in termini di spese di getsione.L’arte contemporanea,per quel che produce in termini sia artistici che economici è sin troppo tutelata!Pensate che solo ora,forse,si è riusciti a trovare quattro euro,per evitare cge crolli POmpei!anche questa meta unica e frequentatissima dai turisti che vengono in Italia proprio per questi gioielli!

  6. L’italia nel contemporaneo potrebbe agire da late comers: rivedere modelli internazionali avviati e correggerne gli errori. Come hanno fatto cina e le tigri asiatiche nel loro percorso di sviluppo (queste cose le avevo scritte su Flash Art nel 2009:http://www.whlr.blogspot.it/2011/11/question-time-flash-art-italia-ottobre.html)

    C’è una una classe di critici, operatori e direttori latitante o incapace; ma anche un linguaggio, quello dell’arte contemporanea che è in crisi perchè si comporta come l’ordine degli avvocati o dei notai…mentre il contemporaneo vive se riesce ad essere divergente e propositivo.

    Il MAXXI è solo una macchina mangia soldi, una grande insegna spot pubblicitario che deve dimostrare forzatamente la modernità di chi lo sostiene…i contenuti sono uno standard che scimmiotta malamente l’estero: per esempio il lavoro di Pistoletto non può permettersi di sostenere una mega-mostra come quella passata al Maxxi; Pistoletto ha fatto solo un’opera interessante mentre in Europa e nel mondo erano molto più avanti. Forse il più sopravvalutato e sovraesposto dell’arte povera (perchè vivo e perchè ha avuto l’intuizione della fondazione in tempi non sospetti con la quale succhia linfa vitale ai giovani residenti). Ma anche le mostre successive…dei pretesti per tutto il baraccone futuristico attorno..

    Questa crisi non può essere risolta perpetuando modelli di crescita che hanno portato alla crisi stessa: nell’economia come nell’arte si tratta di rinegoziare i propri BISOGNI..e quindi ruolo, format e linguaggio. E quindi una nuova idea di museo.

    In occasione di un’imminente intervista a Francesco Bonami su whitehouse verrà lanciato un progetto per la prossima biennale di Venezia 2013 che avrà come tema i BISOGNI/NEEDS: http://kremlino.blogspot.it/
    Chiunque può partecipare previo confronto-dialogo sulla qualità del progetto.

    LR

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