26 ottobre 2014

Parigi, oh bigotta

 
La vandalizzazione dell’opera di Paul McCarthy è un fulmine nel ciel sereno di Place Vendôme. Perché, prima dell’artista americano, già vi erano intervenuti il giapponese Kawamata e il catalano Plensa. Per non parlare di Napoleone. E allora? Parigi non è Londra, evidentemente. Dove ogni anno davanti la National Gallery un artista realizza un’opera. Magari contestata, come è stato per Marc Quinn, ma non aggredita. Ma McCarthy si è già preso una rivincita

di

Paul McCarthy, Tree, Place Vendome per Fiac 2014
Place Vendôme, Lunedì 20 ottobre 2014. È troppo tardi. È scomparsa la scultura gonfiabile ed effimera di Paul McCarthy, smontata dopo solo 48 ore di vita. Un intervento leggero di 24 metri di altezza che doveva rimanere qualche settimana, eretto accanto alla colonna napoleonica, alta 46 metri, attualmente in restauro, nascosta dalle gigantografie che illustrano le vicissitudini della sua storia. Rimangono per pochi giorni al suolo le strutture di cemento dalle quali partivano i tiranti che mantenevano in piedi l’opera leggera dell’artista statunitense. I mezzi d’informazione hanno raccontato l’accaduto ma lo spettacolo di desolazione, insolito per questa piazza decorosa, si respira de visu. Contrasta con l’euforia di una settimana eccezionale consacrata all’arte contemporanea: apertura della Fondazione Vuitton, FIAC al Grand Palais e Hors les Murs, riapertura del Museo Picasso, e altre delizie. Intanto, sono stati lasciati a bocca asciutta  fruitori, passanti, studenti, turisti dell’arte contemporanea – e sono tanti – che con piacere apprezzavano nei due anni precedenti l’ironia, la poesia – diciamo anche l’eccellenza – delle opere effimere poste nella piazza, tanto bella quanto austera, disegnata dall’architetto prediletto di Luigi XIV°, Jules Hardouin Mansart. 
Paul McCarthy, di fronte al suo Tree, Place Vendome per Fiac 2014
L’opera Di McCarthy, chiamata Tree, ricorda il titolo dell’intervento di Kawamata progettato per la FIAC del 2013, Tree Huts. Un’installazione poeticamente in contrasto con i parametri classici dell’environnement: cinque “capanne” fatte di tavole di legno, rifugi precari collocati in bilico in mezzo agli Hôtels particuliers settecenteschi e in alto alla colonna. Concepite come nidi di rondini, appaiono come protesi dell’architettura, luoghi della costruzione mentale, riflessione sul mondo attuale. Qualche borbottamento al momento del montaggio c’era stato, ma il risultato aveva convinto molti.
Nell’edizione della FIAC 2012, tre sculture monumentali di Jaume Plensa occupavano una parte della Place Vendôme. Era il primo tentativo molto riuscito di confrontare opere attuali con un gioiello dell’ architettura settecentesca parigina. L’artista mostrava un’opera nuova Istanbul Blues accanto ad altre due, un personaggio inginocchiato su una pietra e una testa poggiata su una lastra di cemento. Plensa usa un linguaggio comune universale: un intreccio di merletti metallicci bianchi composti di lettere di tutti gli alfabeti del mondo e poi numeri, note e segni musicali. Con il riflesso della luce, ogni idea di monumentalità svanisce nell’atmosfera in un’esplosione luminosa. 
L’arte contemporanea aveva vinto una scommessa molto difficile. 
Tadashi Kawamata, Tree huts
Dopo l’aggressione fisica alla propria persona e alla scultura, Paul MacCarthy, per sottrarsi ad un tipo di violenza lontano dal suo lavoro ha deciso di non rimontare l’opera. Atteggiamento dignitoso e comprensibile che McCarthy esprime con queste parole: «Non voglio essere coninvolto in questo genere di confronto e alla violenza fisica, tanto meno fare prendere dei rischi a quest’opera».
Jennifer Flay, direttrice artistica della FIAC dichiara in proposito: «È sconcertante che ci si possa permettere di aggredire un artista. Sono Néo-Zelandese e francese e ho scelto questo Paese, ma sono infastidita per la Francia, anche se non si riconosce nelle idee dell’aggressore. È ovvio che questa opera è polemica, che gioca sull’ambiguità fra un albero di Natale e un plug: non è una sorpresa né un segreto. Ma non è un’offesa per il pubblico, ed è sufficientemente ambigua per non turbare i bambini. Inoltre, la prefettura di Polizia, il Comune di Parigi, il Ministero della Cultura e anche il Comitato Vendôme che raggruppa i commercianti della Piazza, avevano dato tutte le autorizzazioni necessarie. A che serve l’arte, se non crea turbamenti?».
Tadashi Kawamata, Tree huts
Ma facciamo un po’ di storia. Nel 1699 si inaugura nel centro della Place Vendôme, una statua equestre del Re Sole, nell’atteggiamento del Marc’Aurelio romano. Poi i tempi cambiano. Dopo la Rivoluzione, Napoleone fa erigere un monumento sul modello di un capolavoro della storia dell’arte, riferimento eccellente di generazioni di grandi artisti, la colonna Traiana. Sui  basso-rilievi di bronzo che si sviluppano attorno alla colonna Vendôme, il vincitore di Austerlitz ha voluto fare scolpire la storia delle sue guerre di conquista, con un risultato certamente inferiore al livello di perizia artistica dell’antico modello. Durante tutto l’Ottocento, la statua di Napoleone posta alla sommità del monumento ha cambiato vestito con l’alternarsi delle vicende politiche: prima una tonaca augustea, poi la “divisa” da caporale Bonaparte, infine in imperatore romano. Nel 1871 i Communards decidono di abbattere la colonna, espressione del potere che vogliono combattere. Gustave Courbet, Presidente della commissione artistica è dalla parte dei rivoltosi. In uno slancio rivoluzionario inneggia verbalmente alla demolizione del simbolo imperiale. Con il ritorno alla calma, si decide di processare gli autori del gesto. Vittima della sua fama, Courbet, dopo un secondo processo, nel 1873, è condannato, anche se non si hanno prove della sua effettiva partecipazione allo smontaggio in tre pezzi della colonna d’Austerlitz. L’artista deve pagare una somma ingente per il risarcimento e accollarsi tutte le spese di restauro. Esiliato in Svizzera, muore di stenti dopo due anni. Anche se nel frattempo siamo passati alla Repubblica e alla democrazia, i bassorilievi che documentano gli orrori della guerra e la volontà di dominio sono rimasti.
Jaume Plensa, Place Vendome, Fiac 2012
La scultura pop di Paul McCarthy in tela plastificata color verde mela, è polisemica, come tutte le opere. A prima vista, la sua forma è facilmente e allegramente assimilabile a quella di un albero di Natale; più sottilmente, per esperti in materia, ad un sex toy. Queste letture molteplici sono state considerate dai ben pensanti come dissacranti. Ma l’albero di Natale non è un simbolo religioso. La sua integrazione nelle festività natalizie è la testimonianza di una capacità ad integrare ad una ricorrenza cristiana un simbolo del tutto profano. Tanto più che l’artista stesso considera che la sua opera è un’ “astrazione”, “come lo sono le sculture di Brancusi”. 
Ma la colonna d’Austerlitz non ha anch’essa una forma ambigua? Qualcuno l’ha definita il più fallico dei monumenti parigini. Anche se l’ideologia che riflette è molto lontana dagli ideali odierni, nessuno ne chiede la sua distruzione. Meglio così. I parigini hanno perso una partita? Solo per un momento. 
Paul McCarthy, Hôtel de la Monnaie, 2014
Ieri all’ Hôtel de la Monnaie, si è inaugurata una mostra monografica dell’artista, “Chocolate factory”. Attorno alla presentazione nel Salon Dupré delle varie fasi di fabbricazione di sculture in cioccolato, Paul McCarthy ha sostituito la performance inizialmente prevista con una nuova installazione. È l’eco delle ultime vicende parigine: egli ha appeso alle pareti una cinquantina di fogli ricoperti di frasi autografe. Sono quelle pronunciate dai suoi detrattori di Place Vendôme prima e dopo lo sberleffo: ‹‹are you the artist?››, etc. Alcuni video proiettano la mano dell’artista che ricopia ripetutamente e nervosamente le stesse parole, come ad esorcizzarle. Tutto lo spazio è avvolto dalla registrazione della voce irriconoscibile dell’autore, modificata in un perpetuo alternarsi di lamenti e ruggiti.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui