22 ottobre 2021

Artisti indigeni rivendicano il loro diritto al Parco Nazionale di Yellowstone

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Il Parco di Yellowstone ha invitato artisti nativi americani a realizzare una serie di installazioni: così l’arte pubblica diventa un simbolo di appartenenza ed eredità per le tribù locali

«Nessuna immaginazione umana, con tutti gli aiuti che le descrizioni possano dare, potrebbe ritrarre la bellezza e il wilderness degli scenari di cui si può essere testimoni giornalmente in questa romantica nazione», afferma il pittore e scrittore americano George Catlin nella sua opera “Letters and Notes on the Manners, Customs, and Condition of the North America Indians”.  Nella cultura americana il concetto di wilderness è presentato come «Il miglior antidoto alla società umana e rifugio da preservare per salvare il pianeta». Di questo si fa emblema il Parco Nazionale di Yellowstone, protetto a livello federale dal 1 marzo del 1872 con il diciottesimo presidente degli Stati Uniti, Ulysses S. Grant, in seguito all’incremento delle miniere e del turismo locale.

La legislazione creata ha rovesciato i precedenti trattati che stabilivano l’appartenenza dell’area a diversi gruppi indigeni, limitando i loro diritti su un territorio che si estende per milioni di acri tra gli stati del Wyoming, dell’Idaho e del Montana. Nominato patrimonio mondiale dall’UNESCO, Yellowstone è stato un vero e proprio punto di svolta nel pensare a come preservare la fauna del territorio, mentre 27 tribù rivendicavano il loro legame ancestrale con la regione.

Ora il Parco intende invitare artisti autoctoni con il fine di creare una serie di installazioni, nell’ambito dell’iniziativa Yellowstone Revealed, un progetto supervisionato dalla MTA – Mountain Time Arts. Fondata nel 2016 dall’artista Mary Ellen Strom, dall’architetto Jim Madden e dallo storico dell’arte Dede Taylor, l’organizzazione no-profit, con sede a Bozeman, si focalizza sul sostegno delle opere d’arte incentrate sulla giustizia ambientale e sociale. Essa ha, inoltre, ricevuto quest’anno una sovvenzione di 100mila dollari dalla Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, in parte destinata a tali lavori e ai programmi pubblici a essi connessi.

Oltre agli artisti, anche antropologi, archeologi e studiosi delle università del luogo collaboreranno per selezionare le commissioni, composte da tre a cinque artisti, e per identificare i siti storici nel parco che ospiteranno le creazioni, da svelare la prossima estate, in coincidenza con il 150mo anniversario di Yellowstone. L’iniziativa arriva mentre la campagna Land Back, un movimento di reclamo dei nativi americani, guadagna slancio.

«Vorremmo che questo progetto aumentasse la consapevolezza e la correzione delle storie nella regione di Yellowstone, collegando la narrazione alla cultura indigena contemporanea», spiega la co-direttrice di MTA, Francesca Pine Rodriguez.

Il primo summit si è tenuto nel giugno di quest’anno, durante il quale un monumentale tepee è stato assemblato e installato accanto al Roosevelt Arch di Gardiner, all’ingresso nord del Parco, accompagnato da una canzone in onore del leader degli indigeni Shane Doyle e del sovraintendente del Parco Cam Sholly. L’installazione ha rivolto l’attenzione all’abitazione e a tutta la storia indigena come metaforica unione di nuovi modi di pensare.

«In Montana questo significa spesso conversazioni sui diritti della terra e dell’acqua, e riconoscimento delle popolazioni come amministratori originali della terra», afferma il co-direttore dell’organizzazione Mary Beth Morand, il cui obiettivo finale è quello di «trasferire la conoscenza» ai visitatori anche attraverso l’esperienza artistica.

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