07 dicembre 2007

CURATELE NON CONVENZIONALI

 
Per non perdere tempo aspettando Manifesta 7, Bolzano ha indetto un concorso internazionale per curatori. Il risultato? Una vera e propria indagine sullo stato di salute delle pratiche curatoriali oggi. Per capire che le cose migliori vengono fuori dove si lotta di più per farsi sentire. Ci racconta tutto il curatore del premio, Denis Isaia...

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Oltre Manifesta. Lo sappiamo e lo ripetiamo oramai da qualche anno: il Trentino Alto Adige è un punto caldo per l’arte contemporanea. Talmente caldo che Manifesta qui sembra quasi cadere come pioggia sul bagnato. A un’arte che si muove proprio ai margini si è rivolta invece la prima edizione di un Premio per giovani curatori promosso dalle istituzioni sud-tirolesi. L’attenzione era rivolta ai progetti in “spazi-non-convenzionali” e la giuria, composta di curatori locali a cui si sono aggiunti Andrea Villani, Anton Vidokle e Carlos Basualdo, ha preferito le esperienze di chi opera in luoghi “in difficoltà”, dove forse si è spinti a lottare di più. Niente progetti nostrani interessanti, quindi. A Denis Isaia, giovane curatore che ha diretto l’intero percorso del premio, abbiamo chiesto di raccontarci tutto dall’inizio.

In qualità di curatore del concorso mi hai detto di averne redatto il bando. Quali discriminanti principali hai posto per definire i tratti essenziali del concorso?
La questione è un po’ lunga, ma credo valga la pena raccontarla. Il concorso l’ho ricevuto in committenza all’interno di un quadro territoriale legato all’apertura del nuovo Museion e al lancio di Manifesta 7, due operazioni che, secondo una logica di sistema, la Ripartizione Cultura italiana ha voluto accompagnare con un progetto internazionale. Ci è sembrato che un concorso per curatori, uno dei pochi al mondo se non l’unico con questa formula, potesse essere la via giusta. La committenza ha svolto un ruolo fondamentale nell’individuazione di un premio che valutasse progetti già realizzati negli ultimi cinque anni. È appositamente caricaturale, ma il paragone con un “nobel” per giovani curatori può aiutare a capire i punti da cui siamo partiti e le prospettive che ci siamo posti. Una volta individuato l’oggetto, abbiamo deciso di restringere il campo con un tema. Esposizioni in spazi non convenzionali ci è sembrato il soggetto giusto, vuoi per le ricerche che la Ripartizione Cultura italiana ha portato avanti negli ultimi dieci anni, vuoi per l’accoppiata piuttosto comune giovane curatore/spazio non convenzionale. L’ultimo passo è stato l’abbozzo di un possibile profilo del giovane curatore, di cui abbiamo voluto disegnare solo alcuni tratti in attesa di completare la figura con le candidature che sarebbero poi arrivate. Ecco dunque l’elenco dei materiali da inviare, con la parte critica e teorica a giocare un ruolo importante, e i criteri di valutazione che, oltre a rimarcare gli aspetti di natura più speculativa, insistono su alcuni dei parametri che caratterizzano l’azione della Ripartizione Cultura italiana, fra cui la messa a contatto della cultura con il pubblico, l’innovazione e le esigenze legate alla sostenibilità dei progetti.
The Painting Museum, veduta dell'installazione
Durante l’apertura del concorso è stato attivo sul sito a esso dedicato un forum (all’insegna di una trasparenza inedita per l’Italia) con le risposte alle domande di chi si approntava a partecipare. Nessuno ha avuto esitazioni nell’identificare gli “spazi non-convenzionali” ai quali quest’anno il premio è dedicato. Ci sono invece stati molti dubbi su cosa siano le pratiche curatoriali…

È un dibattito aperto e forse anche un po’ sterile… C’è il pubblico specializzato e non che decide. Da parte nostra, non abbiamo avuto preclusioni. Certificata la compatibilità con le norme del bando, la giuria ha valutato i progetti in sé.

Hai realizzato un progetto espositivo nelle vetrine di un negozio d’abbigliamento tradizionale, una mostra-asta da un ex-barbiere, una mostra dove ogni artista ha dovuto invitare un altro artista. Poi hai curato un premio per curatori chiedendo a giovani curatori che segnalassero altri tre curatori (scusa il gioco di parole) adatti a far parte della giuria. Mi viene da dire che impersoni una figura di “super-curatore”. Ma come dev’essere un curatore oggi?
Un esploratore senza pregiudizi, concentrato sugli oggetti e sulla capacità degli stessi di reagire a fondo con il pubblico e la cultura che li ha generati. Anche se ci vorrei provare, non ho mai portato a termine un progetto che possa rispettare questi presupposti. Come dicevi, mi sono rimesso ai consigli degli altri, così i progetti sono spesso diventati una sorta di prova a porte aperte, in cui l’obiettivo finale è solo una parte o un pretesto per innescare connessioni e moltiplicare le occasioni di confronto.

Dalle risposte al concorso è venuto fuori quanto prevedevi o sono stati posti in evidenza elementi inaspettati?
Rubo le parole a Letizia Ragaglia, che in conferenza stampa -in quanto membro della giuria- ha fatto notare come tutti i progetti vincitori abbiano avuto luogo in posti economicamente e socialmente in difficoltà. Lei ha parlato di una rivincita della cultura. A me l’idea piace molto, soprattutto perché guardando ai progetti si capisce come la serietà di una posizione intellettuale possa essere declinata con ironia.

Le application pervenute dall’Italia sono state circa il 35% sul totale. Eppure su tre premi e cinque menzioni nessuna è andata a un curatore italiano. Alcune settimane fa, alla Civica di Trento in un incontro con Roberto Pinto, hai discusso sulle difficoltà dei giovani curatori italiani rispetto a quelli europei. Queste difficoltà sono venute a galla anche agli occhi della giuria giudicatrice, che tu hai seguito dall’esterno nella fase di esame delle domande? Quali sono?

L’alto numero di progetti italiani è da attribuirsi alla nazionalità stessa del premio, che ha permesso l’accesso anche a candidature di minor peso, che altrove non hanno avuto la possibilità di intercettare il bando. Questo fatto ha aumentato la visibilità della débâcle nostrana, che sarebbe più corretto far rientrare in quella dell’Europa occidentale in generale. Certo, la situazione italiana è aggravata dal fatto di non aver ricevuto le menzioni che a ben vedere sono state date in maggioranza a giovani curatori che hanno frequentato note scuole internazionali. Dunque, un primo problema potrebbe essere proprio la scarsa qualità della formazione. Di certo, e faccio riferimento proprio all’incontro con Roberto Pinto, si è spinto nei molti corsi per curatori nati di recente su questioni strumentali, travasando l’efficacia nella pura efficienza. Così addio poesia, fantasia e addio novità.
René Hayashi, Eder Castillo, Antonio O'Connell - Guatemex - 2006 - zattera sul fiume Suchiate e laptop (lavoro del progetto Frontera)
Parlami dei progetti che hanno vinto.

Incomincio dal terzo premio, che è andato a Eyal Danon, Philipp Misselwitz, Galit Eilat, Reem Fadda per il progetto Liminal Spaces. Liminal Spaces ha cercato di mettere in luce, attraverso una campagna congiunta fra curatori e artisti israeliani e palestinesi, le condizioni di segregazione fisica e psicologica dell’area. Il secondo premio se lo è aggiudicato Florin Tudor con il progetto The Painting Museum, dedicato alle raffigurazioni storiche del dittatore Nicolae Ceausescu, attraverso una serie di ritratti esposti negli spazi non convenzionali del museo di arte contemporanea di Bucarest, come i corridoi sotterranei dove corrono gli impianti dell’edificio. Infine, il primo premio è andato al Laboratorio Curatorial 060 con il progetto Frontiera, una serie di installazioni, discussioni e performance a Frontera Corozal, un paese misconosciuto del Chiapas. Cito una breve sintesi dall’abstract: “Frontiera è un progetto che propone una nuova collocazione di alcuni concetti dell’arte contemporanea e cerca di innescare nuove domande intorno alle sue possibilità ludiche… Esplorare le possibilità per alterare momentaneamente la vita di una comunità attraverso l’arte contemporanea… modificando i ruoli convenzionali degli apparati culturali concepiti come unici strumenti in grado di trasmettere senso”.

articoli correlati
L’annuncio dei vincitori del concorso
La mostra curata da Denis Isaia da Kunst Meran/o Arte

a cura di mariella rossi

*foto in alto: Philipp Misselwitz presenta Liminal Spaces


Best Art Practices
Provincia Autonoma di Bolzano – Alto Adige – Ufficio Cultura italiana
Info: www.bestartpractices.it

[exibart]

2 Commenti

  1. un buon curatore, esattamente come un museo, deve risultare invisibile. un buon progetto curatoriale, esattamente come un buon allestimento museale, deve passare inosservato.

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